attualità, politica italiana

"Dalla piazza al Parlamento", di Nadia Urbinati

La sfida lanciata alla stabilità istituzionale e politica dal voto del 24 e 25 febbraio scorso è terribilmente complessa ma non priva di potenzialità: riuscire a governare un voto di protesta e di movimento (dai toni anche populisti) mettendo i parlamentari del M5S di fronte alle loro responsabilità, che sono prima e sopratutto verso il Paese. La protesta ha a questo punto l’opportunità — e il dovere — di tradursi in fatti e decisioni. È democraticamente legittimo che i parlamentari del M5S provino a fare quanto hanno promesso. Rifiutare questa opportunità metterebbe il M5S nella condizione di dimostrare ai suoi elettori di non produrre quel che promette, di non servire al Paese. Avendo scelto la via della rappresentanza, rispondere a questa sfida sarà inevitabile. E non si tratta di una sfida priva di interesse anche perché ha l’opportunità di far comprendere a tutti il potere del Parlamento, nel quale siedono rappresentanti, come dice la nostra Costituzione, del popolo italiano. Che Beppe Grillo o altri fuori del Parlamento cerchino di imporre le loro visioni ai rappresentanti eletti è prevedibile, ma inutile perché essi hanno la libertà e dunque il potere di decidere seguendo il proprio giudizio.
La sfida per il M5S è conseguente alla decisione di non aver scelto di restare un movimento di protesta, di non aver rifiutato la rappresentanza politica. Come ha fatto per esempio Occupy Wall Street, che ha evitato ogni dialogo con le istituzioni, che ha voluto essere solo movimento di denuncia, che non ha cercato di presentare propri candidati (e che per questo si è sciolto nel volgere di pochi mesi). Ma il M5S ha preso la strada della persistenza nel tempo. Ha scelto pertanto di incardinarsi nelle istituzioni. Porta quindi la responsabilità di rendere possibile il governo del Paese. Ha anche una grande opportunità: far sì che il magma di indignazione e di scontento svolga una funzione innovatrice invece che distruttrice.
Il M5S non esalta la democrazia diretta. Ha intenzione di inaugurare quel che solo un ossimoro può rendere: una democrazia rappresentativa diretta,
cioè senza l’intermediazione del partito politico, e con la promessa di mantenere un filo diretto via Internet tra i cittadini e i rappresentanti. Una democrazia rappresentativa sempre in rete. Questa è la novità più dirompente e complicata da gestire. Il M5S ha l’ambizione di dimostrare che un dispositivo tecnico come il web riuscirà a scalzare l’intermediazione partitica, ce lo dicono Grillo e Dario Fo, lo si legge sul sito del movimento. Con Internet, i grillini vorrebbero tenere in mano il Parlamento, se così si può dire, ecco perché si ostinano a chiamare gli eletti “cittadini” mettendo in secondo piano il fatto, centrale,chesonoinvecedei“rappresentanti”. Come tradurre questo proposito in realtà?
Le espressioni antipartitiche di politica democratica sono una realtà che non si può ignorare, soprattutto quando occupano posti in Parlamento. Come governare questa forma di scontento eletto riportandola nell’alveo delle regole e delle istituzioni, usando al meglio quell’energia che le emozioni hanno messo in circolo e il dispositivo del web reso efficace? La democrazia ha la capacità di essere elastica e di riflettere le trasformazioni magmatiche che vengono dalla società; è capace, quando è matura come lo è quella italiana, di metabolizzare i mutamenti, arricchendosi anche grazie alla sua immaginazione istituzionale e politica. Quindi, lo scontento espresso dal voto al M5S, uno scontento che i partiti della sinistra non sono riusciti a intercettare, va messo di fronte alla sua responsabi-lità: accettare di competere per seggi parlamentari significa mettere in conto la necessità di far funzionare le istituzioni consentendo la formazione di un governo e garantendo stabilità al Paese. Le elezioni fanno quindi rimbalzare la palla nel campo movimentista, che deve sapere dire agli italiani dove vuole stare e che cosa vuole fare per tener fede alla sua promessa di rinnovamento.
Il M5S ha, è vero, uno spiccato spirito populista ma non è un partito e questo lo rende meno immune alle ambizioni cesaristiche del suo leader. Non essendo un partito, in Parlamento non sarà impossibile mettere in campo una pattuglia di suoi eletti per far passare alcune necessarie e buone leggi. Non essendo un partito, ciascun rappresentante sarà davvero libero di seguire la propria coscienza, rappresentando al meglio, se lo vuole, il mandato libero. È infatti proprio il libero mandato che Beppe Grillo oggi teme (e attacca). Così, dopo avere accettato la regola elettorale ora invoca un modello di democrazia diretta, una specie di mandato imperativo. Si deve mettere in conto che Grillo, stando fuori, avverte il rischio di vedersi sfuggire il controllo degli eletti. E si deve mettere in conto anche che egli può trovar conveniente impedire la governabilità perché sa che il suo movimento cresce in misura proporzionale all’emergenza che riesce a generare e non alla risoluzione dei problemi. M5S dentro il Parlamento e M5S fuori dal Parlamento possono divaricarsi ed essere mossi da diverse esigenze.
In aggiunta, cacciare i parlamentari dal blog, com’è avvenuto per gli eletti nelle amministrazioni locali, rischia di non avere alcun effetto poiché quei parlamentari hanno nelle loro mani un potere straordinario che il web non ha: quello di fare le leggi, di determinare per davvero i destini del Paese. Svolgere un ruolo di responsabilità è un segno tangibile di autonomia e di potere.

La Repubblica 05.03.13