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"La solitudine di chi subisce molestie sessuali sul lavoro", di Elena Lattuada

Nel 2012 la Cgil ha lanciato un’importante campagna nazionale focalizzata sulla violenza contro donne e ragazze. Questo triste fenomeno è molto diffuso in Italia ed è in costante crescita, nonostante una buona normativa. Sulla facciata della nostra sede centrale a Roma e delle nostre 134 sedi locali in tutto il Paese, abbiamo esposto un grande striscione che recita «La violenza sulle donne è una sconfitta per tutti ». Con la nostra campagna riteniamo necessario sottolineare che le azioni di prevenzione, contrasto e punizione, intraprese da importanti organismi istituzionali, non sono state finora sufficienti a ridurre la violenza. La violenza sulle donne e le ragazze colpisce ora tutti gli strati della società italiana e episodi di violenza fisica, psicologica ed economica vengono rilevati soprattutto nelle famiglie, ma anche nei posti di lavoro. Secondo dati rilevati dall’Istat, il femminicidio e la violenza sulle donne hanno caratteri strutturali: si riducono gli omicidi tra uomini, ma non cala il fenomeno degli omicidi verso le donne: 127 solo nel 2012, per lo più consumati nell’ambito familiare; 840mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito ricatti e/o molestie sul luogo di lavoro: la cifra supera lmilione e 200mila se si contano coloro per le quali il luogo di lavoro ha rappresentato e rappresenta un rischio rispetto alla possibilità di subire reati sessuali. Negli ultimi tre anni di rilevazione, sono stati dichiarati 347mi1a casi di molestie: in particolare donne con più di 35 anni, con alto titolo di studio, per lo più nei settori dei trasporti, delle comunicazioni e della pubblica amministrazione. Le molestie e i ricatti hanno riguardato molte generazioni nel tempo, anche se appare che vi sia una correlazione diretta tra aumento dell’occupazione femminile e riduzione delle molestie. Tassi di occupazione inferiori, precarietà, difficoltà di carriera sono tutti elementi che producono ulteriore vulnerabilità anche per le donne. Nelle interviste viene dichiarato che le molestie e i ricatti sono percepiti in gran parte come gravi; il ricatto è spesso una richiesta di disponibilità sessuale in cambio di assunzioni (19%), progressioni di carriera o mantenimento del posto di lavoro (43%). La maggior parte di donne intervistate esprime difficoltà a rompere il silenzio e denunciare il ricatto/molestia subiti. Le ragioni sono riconducibili ad una scarsa fiducia nella denuncia e nell’avere «prove sufficienti» per poter andare fino in fondo; altre ragioni riguardano il sentimento di vergogna e di auto-colpevolizzazione. Inoltre la molestia viene vissuta in solitudine: 1’81,7% di donne non ne parla con nessuno. L’esito molto spesso è l’abbandono del luogo di lavoro, anche se la crisi degli ultimi anni riduce, ovviamente, questa possibilità. Una forma particolare di «vessazione » riguarda le dimissioni in bianco: all’ atto dell’assunzione la donna firma al datore di lavoro una lettera di dimissioni senza mettere alcuna data, che può essere usata in caso, ad esempio, di maternità. Si tratta di una pratica che ha riguardato 800mila donne. Su questo tema i diversi governi hanno legiferato, riducendo negli ultimi anni la possibilità di controllo pubblico sul fenomeno. In Europa esistono risoluzioni e convenzioni del Consiglio d’Europa che trattano l’argomento della violenza sulle donne; direttive della Commissione europea sul principio della parità e un importante accordo quadro europeo sottoscritto nel 2007 dalle parti sociali europee sulle molestie e la violenza sul luogo di lavoro. Il Parlamento italiano ha varato nel 1966 una legge contro la violenza sessuale (n.66) che però non prevede specificità legate al luogo di lavoro; sono stati adottati strumenti e convenzioni internazionali in materia di tutela di non discriminazione. L’atto più recente è una mozione parlamentare, votata all’unanimità, per la ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne, compresa la violenza domestica (Istanbul 2011), che però non è stata seguita da alcuna norma legislativa da parte del governo Italiano. Le organizzazioni sindacali nazionali hanno proposto recentemente un protocollo, da tradurre in intese nazionali e locali, in materie di molestie nei luoghi di lavoro, a partire dal recepimento dell’accordo quadro di Bruxelles del 2007 che, a causa di resistenze delle controparti datoriali, non ha ancora trovato una traduzione comune e un suo recepimento. L’Italia inoltre, per prima in Europa ha ratificato la Convenzione dell’ Oil (l’Organizzazione internazionale del lavoro) sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici. Nel nostro Paese il lavoro domestico è cresciuto negli ultimi 10 anni del 43%, superando 1, 5 milioni di addetti, di cui le donne sono 1’83%. L’Italia è inoltre l’unico Paese europeo ad avere per queste lavoratrici un contratto collettivo nazionale di lavoro. I contratti collettivi nazionali hanno introdotto norme e protocolli in materia di violenza sessuale e mobbing, in cui: 1. si definisce la fattispecie di «molestia » e si stabiliscono azioni finalizzate alla cessazione della stessa, facendo spesso discendere la norma alla Raccomandazione europea 92/131; 2. si definiscono i doveri dei datori di lavoro, laddove si imputa la responsabilità all’impresa di garantire un ambiente di lavoro rispondente alla Raccomandazione europea e, laddove sussistano denunce di molestie, di porre in atto procedure tempestive ed imparziali di accertamento, assicurando riservatezza ed avvalendosi, laddove esistenti, dei Comitati pari opportunità; 3. si assegna il compito di monitorare il fenomeno, produrre azioni di sensibilizzazione e gestire i singoli casi, soprattutto individuando comportamenti e percorsi idonei alla soluzione del caso attraverso Commissioni, Comitati di pari opportunità o organismi analoghi; 4. nei contratti collettivi nazionali di lavoro di alcuni settori del pubblico impiego sono stati introdotti codici di condotta volti alla lotta alle molestie, che fanno seguito alle precedenti sanzioni disciplinari. Tali codici prevedono: una chiara definizione di molestia sessuale definendo obiettivi di prevenzione del fenomeno; l’introduzione della figura del consigliere o consigliera di fiducia, per l’avvio di una procedura informale per la risoluzione del caso; qualora accertato il fatto, l’amministrazione dovrà attivare il dirigente per la rimozione del fenomeno, comprese tutte le misure organizzative utili a tal fine.

*Intervento all’incontro promosso dall’Organizzazione internazionale del lavoro, su «Violenza di genere nel mondo del lavoro». Segretario confederale CGIL

L’Unità 10.03.13