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"Un paese con troppe ingiustizie. Giovani esclusi e famiglie in crisi", di Marcella Ciarnelli

Cambia il metodo di valutazione ma il risultato nella sostanza non cambia. Istat e Cnel hanno messo a punto un nuovo indicatore, il Bes per misurare il «Benessere equo e sostenibile», per monitorare la situazione socio-economica del Paese, attraverso l’esame di 12 campi d’indagine, dalla salute al lavoro, dall’ambiente alle relazioni sociali. Il Bes, il cui primo rapporto è stato presentato a Roma alla presenza del presidente della Repubblica, è stato pensato come uno strumento per affiancare nella valutazione il «vecchio» Pil che comincia a mostrare qualche difficoltà di interpretazione di una situazione senza precedenti. Dunque, dati alla mano, sono 6,7 milioni le persone in Italia in grave difficoltà economica, cioè coloro che non sono in grado di affrontare una spesa imprevista anche inferiore ai mille euro, che non possono riscaldare adeguatamente casa o sono in arretrato con i pagamenti dell’abitazione o non riescono a fare un pasto a base di proteine ogni due giorni. Poca carne, molta pasta. Più obesi. In un solo anno, nel 2011, il dato sugli individui in grave difficoltà è peggiorato passando dal 6,9 per cento della popolazione pari a 4,2 milioni di persone a 6,7 milioni pari all’11,1. I più ottimisti, nonostante tutto, sono i giovani, pur protagonisti della crisi. La crisi ha fortemente intaccato il potere d’acquisto delle famiglie italiane. Il reddito disponibile in termini reali si è ridotto in 4 anni, dal 2007 al 2011, del 5%, portando molti a intaccare i risparmi per far fronte alle esigenze, risparmiano meno o addirittura indebitandosi: la quota di persone in famiglie che hanno ricevuto aiuti in denaro o in natura da parenti non coabitanti, amici, istituzioni o altri è passata da115,3% del 2010 al 18,8% del 2011 e, nei primi nove mesi del 20121a quota delle famiglie indebitate è passata dal 2,3% al 6,5%. Solo il welfare familiare ha consentito di resistere. Finora. Tanto più che alcuni segmenti di popolazione e certe zone del Paese sono stati particolarmente colpiti dalla riduzione dei posti di lavoro. La percentuale degli individui in famiglie senza occupati è passata, tra il 2007 e il 2011, dal 5,1 al 7,2 per cento, con una dinamica più accentuata tra gli under 25, per i quali è cresciuta dal 5,4 all’8 per cento e nel Mezzogiorno, dove dal 9,9 si è passati al 13,5 per cento. L’ascensore sociale, di conseguenza, è fermo ai piani bassi. Mentre cresce la disuguaglianza e i ricchi lo sono sempre di più mentre i poveri marcano una sempre più sofferente difficoltà. Il ritardo rispetto alla media europea e il fortissimo divario territoriale si riscontrano in tutti gli indicatori che rispecchiano istruzione, formazione continua e livelli di competenze. La quota di persone di 30-34 anni che hanno conseguito un titolo universitario è del 20,3% in Italia a fronte del 34,6 dell’Unione europea a 27 Paesi. Il livello di istruzione e competenze che i giovani riescono a raggiungere dipende in larga misura dall’estrazione sociale, dal contesto socio-economico e dal territorio. Il divario nelle competenze di italiano e matematica tra gli studenti dei licei e quelli degli istituti professionali è ampio e non semplicemente giustificabile con il diverso indirizzo formativo; a questo si aggiunge la qualità del sistema educativo, che è profondamente diversa tra Nord e Sud. La famiglia inoltre influenza fortemente i risultati, tanto che i figli di genitori con al massimo la scuola dell’obbligo hanno un tasso di abbandono scolastico del 27,7% che si riduce al 2,9 per i figli di genitori con almeno la laurea. Restano comunque molte criticità. In primo luogo, a causa della crisi economica che ha colpito più duramente i giovani, è aumentata la quota di Neet, ossia di giovani 15-29enni che non lavorano e non studiano (dal 19,5% del 2009 al 22,7 del 2011). Inoltre è in netta diminuzione la partecipazione culturale delle persone; dopo un periodo di stagnazione, nel 2012 l’indicatore presenta un decremento molto marcato, passando al 32,8 per cento dal 37,1 del 2011. In Italia il patrimonio storico e artistico soffre delle contenute risorse economiche destinate al settore (la spesa pubblica che l’Italia destina alle attività culturali è pari allo 0,4% del Pil) e dell’insufficiente rispetto delle norme: oltre 15 abitazioni abusive ogni cento costruite legalmente. LA PIAGA ABUSIVISMO E la costruzione di edifici non risparmia le zone tutelate: la loro densità è cresciuta del 23,6 per cento nelle aree costiere e 26,6 per cento sulle pendici vulcaniche. Il disagio che ne deriva è avvertito da una quota non marginale della popolazione. Anche se non mancano i comitati pro abusivismo, ad esempio in Campania, che nelle scorse elezioni si sono fatti sentire. Gli italiani non hanno alcuna fiducia nei partiti politici. La fiducia media dei cittadini verso i partiti, su una scala da O a 10, è pari ad appena 2,3 e si estende al Parlamento, ai consigli regionali, provinciali e comunali, nel sistema giudiziario. Le sole istituzioni verso le quali i cittadini esprimono fiducia sono i Vigili del fuoco e le Forze dell’ordine, che insieme raggiungono il 7,1.

L’Unità 12.03.13