attualità, politica italiana

Napolitano: non ho offerto nessuno “scudo”

Gentile Direttore, nell’articolo “Un premio ai sediziosi”, Massimo Giannini ha dato una versione arbitraria e falsa dell’incontro con una delegazione del Pdl da me tenuto in Quirinale martedì mattina. E’ falso che mi siano stati chiesti “provvedimenti punitivi contro la magistratura”: nessuna richiesta di impropri interventi nei confronti del potere giudiziario mi è stata rivolta, come era stato subito ben chiarito nel comunicato diramato alle ore 13.00 dalla Presidenza della Repubblica. Comunicato che Giannini ha ritenuto di poter di fatto scorrettamente smentire sulla base di non si sa quale ascolto o resoconto surrettizio. Né la delegazione del Pdl mi ha “annunciato” o prospettato alcun “Aventino della destra”. L’incontro mi era stato richiesto dall’on. Alfano la domenica sera nell’annunciarmi l’annullamento della manifestazione al Palazzo di Giustizia di Milano (poi svoltasi la mattina seguente senza preavviso, da me valutata “senza precedenti” per la sua gravità).
L’incontro in Quirinale con i rappresentanti della coalizione cui è andato il favore del 29 per cento degli elettori, era stato confermato dopo mie vibrate reazioni — di cui, del resto, il suo giornale aveva ieri dato conto — espresse direttamente ai principali esponenti del Pdl per la loro presa di posizione.
Quel rammarico, ovvero deplorazione, è stato da me rinnovato, insieme con un richiamo severo a principi, regole e interessi generali del paese che, solo con tendenziosità tale da fare il giuoco di quanti egli intende colpire, Giannini ha potuto presentare come “riconoscimento al Cavaliere di un legittimo impedimento automatico, o di un ‘lodo Alfano’ provvisorio”. Nell’incontro di ieri sera (martedì serandr) con il Comitato di Presidenza del Csm — incontro da me promosso, in segno del mio costante rispetto verso la magistratura e il suo organo di autogoverno (e semplicemente omesso nell’articolo di Giannini) — è risultato ben chiaro che nessuno “scudo” è stato offerto a chi è imputato in procedimenti penali da cui non può sentirsi “esonerato in virtù dell’investitura popolare ricevuta”.
Mi auguro che da parte di Giannini, anziché deplorare aggressivamente il Capo dello Stato per non avere manifestato lo “sdegno” e la “forza” che il bravo giornalista avrebbe potuto suggerirgli, ci siano in ogni occasione rigore e zelo nei confronti di tutti i sediziosi, dovunque collocati e comunque manifestatisi.
Cordialmente. Giorgio Napolitano

La Repubblica 14.03.13

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di seguito l’articolo apparso ieri su Repubblica a cui fa riferimento il Presidente Napolitano

“UN PREMIO AI SEDIZIOSI”, di MASSIMO GIANNINI
C’È RIMASTO solo un faro, a illuminare questa lunga notte della Repubblica. Negli ultimi giorni del suo settennato, Giorgio Napolitano deve guidare il Paese fuori dalla crisi. Il “peso” di questa consapevolezza ispira ogni riga del comunicato con il quale il Capo dello Stato invita la politica e la magistratura a ritrovare il senso della «comune responsabilità istituzionale», in uno dei tornanti più critici della storia repubblicana. Ma questa volta l’appello del Colle, insieme alla condivisione istituzionale, riflette una
“sproporzione” politica. La condivisione istituzionale è ovvia. In un’Italia lacerata dal conflitto permanente tra i poteri dello Stato, innescato negli anni Novanta da Tangentopoli ed esasperato nel quasi Ventennio berlusconiano dalle torsioni cesariste del Cavaliere, il «ristabilimento di un clima corretto e costruttivo nei rapporti tra politica e giustizia» è davvero il minimo che si possa esigere. Napolitano non si è mai stancato di chiederlo, con equilibrio e con determinazione, nell’intera traiettoria del suo mandato. Che ci riprovi oggi è logico e giusto.
È giusto invocare che politici e magistrati non si percepiscano come «mondi ostili». È giusto pretendere che si evitino «tensioni destabilizzanti per il nostro sistema democratico », vista soprattutto «l’estrema importanza e delicatezza degli adempimenti istituzionali che stanno venendo a scadenza». È giusto ricordare al Cavaliere e ai “caimani” in grisaglia schierati davanti al tribunale di Milano che nessuna «investitura popolare ricevuta» può esonerare un politico dal «più severo controllo di legalità », che è e deve restare «un imperativo assoluto per la salute della Repubblica». Ed è altrettanto giusto rammentare ai magistrati che non si devono mai sentire depositari di «missioni improprie», ma devono limitarsi al rispetto scrupoloso dei «principi del giusto processo sanciti dal 1999 nell’articolo 111 della Costituzione».
Parole incontestabili. Suggerite dal buon senso e dal senso dello Stato. Ma Napolitano non si ferma qui. Questa volta pronuncia altre parole, che nella contesa in atto tra la “destra di piazza” e la magistratura configurano un’evidente sproporzione politica. Il presidente della Repubblica, sia pur respingendo quasi con disprezzo «l’aberrante ipotesi» del complotto delle toghe rosse evocato dal Cavaliere e dalle sue truppe cammellate, giudica «comprensibile» la preoccupazione del Pdl di «veder garantito che il suo leader possa partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale già in pieno svolgimento ».
Il movente che spinge Napolitano ad accogliere questa «preoccupazione» è chiaro. Di qui alla metà di aprile si susseguiranno appuntamenti fondamentali, per trovare una via d’uscita dalla crisi. L’insediamento delle nuove Camere, l’avvio delle consultazioni, l’elezione dei presidenti dei due rami del Parlamento. Il messaggio implicito ai giudici che stanno indagando o processando Berlusconi è il seguente: fate in modo che gli appuntamenti giudiziari che lo riguardano non intralcino o non si sovrappongano con queste scadenze, dal buon esito delle quali dipendono le sorti politiche della nazione.
L’effetto pratico di questo “monito” è rilevante. Nei fatti, è come riconoscere al Cavaliere un “legittimo impedimento” automatico, o un “Lodo Alfano” provvisorio, che da qui ai prossimi mesi gli fa scudo ai processi nei quali è ancora coinvolto, e dai quali ancora sistematicamente si sottrae, non più nella sua veste di presidente del Consiglio, ma in quella di leader «dello schieramento che è risultato secondo, a breve distanza dal primo, nelle elezioni del 24 febbraio».
L’effetto politico è ancora più eclatante. E non è un caso che gli “arditi” del Pdl, appena rientrati dalla “marcia su Milano”, ora festeggino il comunicato del Colle. Gli “atti sediziosi” di questa destra italiana, pronta a sfidare un Palazzo di giustizia per salvare il suo leader dai “giudici-cancro da estirpare”, non solo non vengono sanzionati come meriterebbero. Ma alla fine risultano addirittura premiati. Il comunicato del Quirinale arriva il giorno dopo quella che Christopher Lasch definirebbe un’impensabile «rivolta delle élite ». Un “assedio” simbolico, ma fino a un certo punto, di un gruppo di eletti del popolo che si ribellano contro un potere dello Stato. Un fatto enorme, mai accaduto dal 1948 ad oggi, che avrebbe dovuto sollevare una reazione sdegnata di tutte le istituzioni e di tutte le forze politiche.
E invece il presidente della Repubblica ha ricevuto una delegazione del Pdl guidata da Alfano, salito sul Colle per chiedere provvedimenti punitivi contro la magistratura e per annunciare altrimenti l’Aventino della destra. Quasi un ricatto, al Paese e alle sue istituzioni. Comunque un “atto di forza” intollerabile, che andava respinto con sdegno e con altrettanto forza. E che invece ha raggiunto il suo scopo. Assicurare un improprio “salvacondotto” a un cittadino che, per quanto “popolare”, è e dovrebbe essere uguale a tutti gli altri di fronte alla legge. Rilanciare il padre-padrone di questa destra, impresentabile perché irresponsabile, dentro uno schema politico che ora gli consente persino di rivendicare il Quirinale, oltre che di giocare a viso aperto la partita delle “larghe intese”. Nel silenzio, assordante e colpevole, della sinistra e del Pd, che difende il suo fortino mentre i vecchi “arci-nemici” e i nuovi “falsi-amici” saccheggiano quel che resta del-l’Italia.

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“Il Quirinale non è cerchiobottista le toghe evitino tentazioni di piazza”, di Liana Milella

Non è una giornata come le altre al Csm. La tensione si taglia a fette. La voglia di protestare tra i togati è fortissima. Dice il vice presidente Michele Vietti: «È il momento di tenere i nervi saldi».
Non era mai accaduto che nel plenum non si discutesse di un fatto rilevante come la nota di Napolitano e la manifestazione del Pdl a Milano. Perché il presidente ha chiesto di soprassedere e lei ha insistito perché si facesse così? C’era il timore di dure contestazioni?
«Per la verità il presidente non ha chiesto nulla e tantomeno di rinunciare a una discussione. È stata una scelta autonoma, condivisa da tutti i consiglieri, quella di evitare, in un momento così delicato per la vita politica e istituzionale del Paese, un dibattito che avrebbe rischiato di dare all’esterno l’immagine di una magistratura o assediata o all’attacco».
Avete discusso a lungo prima del plenum, e anche litigato. Due consiglieri, Di Rosa e Carfì, sono usciti. Non le pare che il Colle stia giocando troppo a favore del Pdl e contro i giudici?
«In due anni e mezzo non ho mai litigato con nessun collega consigliere e non l’ho fatto neanche oggi. Non so se qualcuno è uscito perché non l’ha messo a verbale. La posizione di Napolitano è ineccepibile e non può essere accusata di partigianeria».
Un ex vice presidente del Csm come Grosso si chiede, ma non è il solo, cosa sarebbe successo se un gruppo di magistrati fosse andato a protestare davanti al Parlamento.
Il passo del Pdl non andava sanzionato più duramente? Perché lei non lo ha fatto subito?
«Quando il presidente del Csm parla, il vice tace. Il capo dello Stato ha definito la manifestazione politica all’interno del palazzo di giustizia di Milano di una gravità senza precedenti. Per fortuna i magistrati non fanno sit-in davanti alle Camere».
Le toghe non hanno giudicato affatto bene la nota di Napolitano. C’è chi lo accusa di cerchiobottismo…
«Consiglio a costoro di leggere bene tutte le dichiarazioni del presidente, da quella successiva all’incontro con il Pdl, a quella fatta dopo il vertice con il comitato di presidenza. Certo il capo dello Stato, in questo momento, deve farsi carico della gestione del difficile passaggio post elettorale ed è comprensibile che tra le sue preoccupazioni ci sia anche quella di evitare turbative ai già precari equilibri politici».
Non è un cattivo segnale per i cittadini comuni che Berlusconi ritenga di aver ottenuto una moratoria ai processi avallata dal Quirinale?
«Non ho sentito nessuno, e tantomeno Napolitano, parlare di moratoria. Si è detto che un leader politico deve poter “partecipare adeguatamente alla fase politicoistituzionale in pieno svolgimento” ».
Napolitano ha sempre richiamato i magistrati all’equilibrio. Ma farlo adesso non diventa una reprimenda?
«L’equilibrio è una qualità sempre indispensabile, in particolare per la giurisdizione. Richiamarlo non fa mai male e i magistrati non devono interpretarlo come una ramanzina».
Le sembra forse che i due fatti — la manifestazione del Pdl e il comportamento dei magistrati di Milano e di Napoli — possano essere messi sullo stesso piano?
«No, tant’è che non mi pare nessuno l’abbia fatto. Quei magistrati hanno rispettato le regole, né ciò viene loro contestato. Ho sentito solo considerazioni di opportunità cronologica che attengono ai tempi delle decisioni processuali rispetto al contesto politico».
Ma quando Napolitano parla di «missioni improprie» delle toghe, a cosa si riferisce?
«La citazione è estrapolata da un discorso più generale sui rapporti tra politica e giustizia. Napolitano ricorda ciò che ha detto negli anni anche al Csm, premettendo che “il più severo controllo di legalità è un imperativo assoluto per la salute della Repubblica da cui nessuno può considerarsi esonerato in virtù dell’investitura popolare”. E chi ha orecchie per intendere, intenda».
L’invito del capo dello Stato a rispettare i diritti delle difese è una critica alle visite fiscali di Milano e alla decisione di Napoli di andare al giudizio immediato per Berlusconi?
«No».
Eppure tutti hanno pensato a quelle scelte processuali.
«Invece anche in questo caso di tratta di espressioni riferite a precedenti interventi di Napolitano che vanno lette nella continuità del suo magistero in materia di giustizia e non le ridurrei a notazioni di cronaca».
Ma è vero che lei ha mediato con Napolitano per ammorbidire la nota?
«La nota è sua. E non dico altro».
Come giudica la richiesta di un magistrato — Andrea Reale di Proposta B — all’Anm di chiedere subito un incontro urgente al Colle?
«L’Anm è una libera associazione che ha una libera dialettica con i propri iscritti. Se deciderà di chiedere un incontro al capo dello Stato non ho ragione di dubitare che gli verrà concesso».
E quella di manifestare sotto il Quirinale con la Costituzione in mano?
«I magistrati esercitano una funzione che ha come presupposto indispensabile l’autorevolezza. Non credo che iniziative di piazza la rafforzino».

La Repubblica 14.03.13