attualità, politica italiana

"Il lungo viaggio di Laura ridà nobiltà alla politica", di Adriano Sofri

Succede a volte di dirsi: non avrei voluto vivere fino a vedere… Non avrei voluto vedere l’Italia trasformata nel “paese dei respingimenti in mare”, e di troppe altre bandiere triste. Ieri ero incredulo e grato di poter vedere una donna giovane, emozionata e risoluta, che diceva dal seggio più alto di Montecitorio le cose più belle che si possano augurare al proprio paese, al mondo e a se stessi. Era un repertorio scrupoloso e imperterrito, e consentiva di reinterrogarsi sulla differenza fra la correttezza politica e la nobiltà politica. La differenza, se si eccettuino le sciocchezze dello zelo fanatico, che sono solo sciocchezze, non riguarda tanto le cose dette, ma il loro rapporto con chi le dice. Il pulpito. Laura Boldrini, deputata quasi per caso e appena dopo presidente della Camera dei deputati quasi per caso, stava argomentando principi e propositi cui si è ispirata e che ha perseguito nel lavoro e nella vita. In bocca ad altri, le belle parole sarebbero suonate stridenti come un gesso nuovo su una vecchia lavagna. L’assemblea, con le doverose eccezioni – innoblesse oblige – l’ha molto applaudita, e dalla seconda o la terza volta in poi si è sentito che gli applausi non erano più riservati a lei, ma andavano a chi applaudiva, e si sentiva incoraggiato a prendere sul serio quei nobili propositi, che si trattasse di navigati marpioni o di giovani donne e uomini al primo imbarco.
Il primo giorno di un parlamento può promettersi una vita nuova, come la prima pagina di un quaderno — di un file di testo, per chi non voglia più saperne dei quaderni. E quando il parlamento sia andato troppo oltre nella propria mortificazione, l’impressione di un riscatto possibile sarà tanto più forte e trascinante. Cose così succedono nei film, dal discorso finale del piccolo barbiere ebreo sosia del Grande dittatore a quello del fratello matto, cioè savio, del segretario del partito; i film di Hollywood sono maestri di questo genere di sostituzioni di un attore a un presidente alla Casa Bianca, finché ci arriva davvero un presidente nero che sembra un attore.
Un regista che avesse noleggiato l’aula di Montecitorio per mettere in scena un risarcimento alla depressione del pubblico italiano non avrebbe potuto fare meglio di così. E ora paragonate la giornata di ieri — in ambedue i rami del parlamento, per giunta – alla fretta rassegnata o ingorda con cui il giorno prima si era dichiarato indecente lo spettacolo offerto da una maggioranza che votava scheda bianca, e ammettete che si possa sbagliare anche per un piacere del disastro, e che il regista dello spettacolo reale cui abbiamo assistito – chiamiamolo Napolitano, che ha rimandato Monti dietro la lavagna, o Bersani e Vendola, per semplificare — ha avuto uno sguardo più lungo di quello dei critici indignati. Il Dario Franceschini che salutava i giornalisti dicendosi «l’ex presidente della Camera» faceva simpatia, naturalmente più che se l’avessero eletto.
La giornata di ieri ha confermato che ci sono due circostanze in cui si è forti: quando si è forti, oppure quando si è molto deboli. Il Pd è molto debole, dallo scorso 25 febbraio, e i 5Stelle molto forti. Ieri le parti si sono invertite, con la felice misurata eccezione del voto al Senato. Prendiamo la miglior formulazione – a me pare, soprattutto se la si confronti col delirante filmato su Gaia e i miliardi di morti e il Nuovo Ordine Mondiale e il Grande Fratello finale – di progetti di Grillo e Casaleggio, quella affabilmente esposta nella conversazione con Dario Fo: se se ne ricavasse il ritratto ideale di un candidato e del suo discorso di apertura, non se ne troverebbero migliori di Laura Boldrini e delle sue parole di ieri. Ora proviamo a immaginare che la legge demenziale non avesse dato al Pd la larghissima maggioranza che gli ha dato, e che l’elettorato di Laura Boldrini non fosse autosufficiente: che cosa avrebbero fatto i bravi giovani deputati e deputate di 5Stelle? Avrebbero lasciato passare un altro autorevole candidato, non so, Giovanardi?
Ci siamo rassegnati in molti, quanto alla vita pubblica, alla pazienza e alla riduzione dei danni: ieri, per un giorno almeno, le cose sono andate nel modo migliore. Un giorno di festa, e poi la quaresima di sempre? Probabile. Però un giorno in cui l’invidia per il conclave, che aveva tirato fuori da una crisi precipitosa un papa straniero e Francesco, è stata compensata da una presidente della Camera abbastanza straniera anche lei e donna – peculiarità alla quale la Chiesa non è ancora pronta. Non è la prima volta, ma è avvenuto nel parlamento più in bilico di sempre, e però quello in cui la presenza di donne, specialmente giovani, è significativamente cresciuta, nel Pd in primo luogo. Il quale Pd ha vinto le elezioni perdendole, o le ha perse vincendole, come preferite, ma, scalcagnato com’è, e ridotto troppo spesso al centro e nei famosi territori a cordate e clientele in cagnesco, ha impedito di un soffio che a vincere le elezioni – e vincendole – fosse Berlusconi. E tutte le meditate analisi sulla consunzione dei partiti vacillano fino a rovinare quando si traducono in una rinuncia o un dileggio del voto “utile”.
Detto questo, il discorso di Laura Boldrini di ieri ha dato, a chi guardava e ascoltava, la sensazione rara e commossa che il voto possa, oltre che scansare il peggio, tradursi in una realizzazione preziosa. Da domani (non) si fa credito, naturalmente. Ma sentire commemorare le migliaia di morti senza nome del Mediterraneo non da una fervida commissaria delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ma da quello scranno alto di Montecitorio, valeva davvero la pena. Anche se fosse stata storia di un solo giorno. Lei però ha concluso: «Stiamo cominciando un viaggio». Allora buon viaggio.

La Repubblica 17.03.13