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Bersani: «No a scambi indecenti con il Pdl», di Simon Collini

Il Pd respinge l’offerta di Alfano. All’ipotesi di uno scambio tra Quirinale al Pdl e appoggio al governo Bersani, risponde no: proposta indecente. Il leader Pd dice no anche ad accordi preventivi per il governo. Pronta la legge sulla riforma del finanziamento ai partiti. Niente accordi preventivi e niente scambi indecenti. Pier Luigi Bersani si prepara alla sfida decisiva, che tra consultazioni al Quirinale, auspicabile incarico e poi incontri con gli altri partiti si gioca tutta questa settimana.
Certo, il successo o il fallimento dell’operazione «governo di cambiamento» si determinerà la prossima settimana, quando se tutti i piani del leader Pd si realizzeranno, le Camere saranno chiamate a votare la fiducia. Ma è soprattutto nelle prossime ore che quella partita verrà preparata. E Bersani lancia dei messaggi piuttosto espliciti agli altri protagonisti in campo. A cominciare dal segretario del Pdl Angelino Alfano, che dice il suo partito potrebbe appoggiare un’ipotesi di governo Bersani se al Quirinale andasse un esponente di area moderata indicato dal centrodestra: «Per scambi indecenti qui non c’è recapito», è la risposta che dal Pd parte a stretto giro di posta.
Ma c’è anche un altro messaggio che, a tre giorni dall’avvio delle consultazioni al Quirinale, Bersani deposita agli atti approfittando di un’intervista a Sky: «No ad accordi politici preventivi, non funzionerebbero». Il leader del Pd sa che un eventuale incarico da parte di Giorgio Napolitano sarebbe condizionato alla ricerca poi dei voti sufficienti ad ottenere la fiducia sia alla Camera che al Senato, dove la sua coalizione dispone di 123 parlamentari.
Bersani, mettendo fin d’ora in chiaro che «accordi politici preventivi non funzionerebbero», vuole non solo chiudere la porta a ogni ipotesi di governo sostenuto da Pd e Pdl, in qualunque forma, ma anche preannnciare che la maggioranza intende cercarla in Parlamento, non prima delle votazioni in trattative con le altre forze politiche. «Bisogna chiedere al Parlamento di sostenere un programma di legislatura», dice il leader Pd insistendo sul fatto che ha ricevuto «un mandato dagli elettori» e che intende rispettarlo dando vita a un «governo di cambiamento» costruito attorno a otto punti qualificati. «Non c’è nessuna pretesa o ambizione ma solo responsabilità», spiega. Ed è quello che dirà, mercoledì, al Capo dello Stato.
La sfida, Bersani, intende giocarla ancora sul terreno del cambiamento. Dopo la scelta vincente di Laura Boldrini e Pietro Grasso come presidenti di Camera e Senato, il leader del Pd fa capire che intende seguire la stessa strategia seguita per il fronte istituzionale anche per il piano governativo. «Questo è il metodo, più o meno bisogna aspettarsi cose così, tenendo conto di tante variabili, di tante esigenze». Bersani punta infatti ad ottenere la fiducia in entrambi i rami del Parlamento con un governo composto da figure di alto profilo, non provenienti dalle file del suo partito, dalle indubbie competenze, e di fronte alle quali sarebbe complicato, per gli esponenti di Scelta civica come per i parlamentari del Movimento 5 Stelle, esprimere un no motivato.
Col metodo Grasso-Boldrini, alla sfida della fiducia, Bersani è convinto di poter incassare il risultato e dar vita a un governo che possa finalmente «dare risposta ai problemi sociali», avviare un misure per il lavoro e l’economia, dare respiro agli enti locali. Un tema, quest’ultimo, da cui il segretario Pd intende partire per provare a costruire un’intesa politica anche con la Lega, che non ha alcun interesse ad andare in tempi brevi alle urne e che con i suoi 17 senatori ha un’importanza non secondaria a Palazzo Madama. E infatti in queste ore nel Pd si seguono con attenzione le mosse del Carroccio, per capire innanzitutto se la delegazione leghista andrà alle consultazioni al Colle da sola o insieme a quella del Pdl.
LA PARTITA DEI CAPIGRUPPO
Ora il colloquio che mercoledì avrà con il Capo dello Stato è in cima ai pensieri di Bersani, che a quell’appuntamento vuole andare senza portarsi dietro fardelli aggiuntivi. Uno rischia di essere quello derivante dalla scelta dei capigruppo, che andrebbero eletti domani pomeriggio. La rinuncia a candidare Anna Finocchiaro e Dario Franceschini a presidenti delle Camere ha fatto aprire nel Pd una partita di non facile gestione. Le diverse anime del partito sono in fermento, come dimostra la quantità di nomi che da ventiquattr’ore inizia a girare per i ruoli di presidente dei deputati e dei senatori. Alla Camera si va da quello di Andrea Orlando a quelli di Marina Sereni e Antonello Giacomelli, al Senato da quello di Maurizio Migliavacca a quelli di Luigi Zanda e di Felice Casson. Bersani vuole andare alle consultazioni avendo alle spalle un partito unito e concentrato sull’obiettivo del governo, e una discussione e una votazione con i tempi forzati rischierebbe di provocare fibrillazioni dannose. Per questo, l’ipotesi che potrebbe mettere sul piatto oggi, quando si inizierà a discutere chi eleggere domani, è quella di prorogare Finocchiaro e Franceschini, con i quali andare alle consultazioni al Quirinale, e rimandato l’elezione dei nuovi capigruppo a dopo la prova della fiducia.

L’Unità 18.03.13

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Finanziamento ai partiti: pronta la proposta Pd, di Simone Collini

Sostituirlo con piccole contribuzioni volontarie dei cittadini. Le novità in una legge da approvare entro luglio, fino ad allora sospendere i rimborsi. Il tesoriere Misiani: «Pensiamo a un modello con libertà di scelta e agevolazione fiscale»
Basta finanziamenti pubblici ai partiti? Bersani prepara un’altra mossa a sorpresa, dopo quella sulle presidenze delle Camere. L’obiettivo è lanciare un altro segnale di cambiamento, mettere i parlamentari del Movimento 5 Stelle di fronte a una scelta che sulla carta è obbligata e togliere argomenti a chi, fuori e dentro il Pd, pensa di poter continuare a utilizzare il tema dei rimborsi elettorali come strumento di polemica ai fini della battaglia politica.
Il leader democratico ha incaricato il tesoriere Antonio Misiani e un ristretto numero di deputati e senatori Pd di preparare un testo sul finanziamento ai partiti da presentare in tempi rapidi in Parlamento. Bersani pensa a una proposta di legge da approvare nei primi cento giorni dopo l’insediamento di quel «governo di cambiamento» a cui sta lavorando. Una legge da far camminare di pari passo a norme per l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione sulla democrazia e la trasparenza interne ai partiti, di fronte alle quali i Cinquestelle sarebbero chiamati ad esprimersi con un sì o con un no.
Un accenno all’operazione, Bersani, lo ha fatto ieri da Brescia, dov’è andato per partecipare a un’iniziativa di mobilitazione sugli otto punti programmatici attorno a cui intende costruire il suo governo. Prima alle telecamere di Sky e poi a militanti e simpatizzanti del Pd, Bersani ha detto che bisogna approvare entro luglio una legge sul finanziamento ai partiti. «Servono solo piccole contribuzioni dei cittadini volontari», è il succo del ragionamento, «non sono disposto a rinunciare al concetto di finanziamento alla politica». E poi l’annuncio: «Fino a quando non si fa questa norma sono disposto a sospendere l’erogazione dei rimborsi elettoriali».
LA PROPOSTA DI LEGGE
La sfida alle altre forze politiche è lanciata, ma ancora di più se ne capirà la portata quando verrà reso noto il testo a cui sta lavorando il Pd. L’impianto è molto simile a quello della proposta di legge di iniziativa popolare messa a punto dall’economista Pellegrino Capaldo, che è stata sottoscritta da oltre 400 mila persone ma che nella passata legislatura non è riuscita ad aprirsi un varco nella discussione parlamentare. Nella bozza a cui stanno lavorando nel Pd si parla infatti della necessità di affidare ai cittadini la scelta di finanziare i partiti, seppur mantenendo in gran parte l’onere a carico dello Stato. Come? Superando il meccanismo attuale, che prevede che a tot numero di voti incassati da ogni partito corrispondano tot euro di rimborsi elettorali, e prevedendo invece forti detrazioni fiscali per i cittadini che volontariamente decidono di finanziare partiti o fondazioni politiche. Nella proposta Capaldo si fissa a 2000 euro il tetto massimo per tali donazioni e il credito d’imposta è pari al 95% della somma versata.
Antonio Misiani considera quel testo come uno dei più interessanti, anche perché prevede una gradualità nel passaggio tra attuale e nuovo sistema. Anche nel Pd si pensa a un cambio di regime graduale spalmato su più anni, magari riducendo del 20 per cento l’anno, per cinque anni, l’ammontare dei rimborsi elettorali e aprendo man mano ai contributi volontari. Spiega il tesoriere del Pd: «Noi riteniamo cruciale il tema del finanziamento e della democrazia interna ai partiti, e vogliamo affrontarlo senza pregiudizi. Pensiamo che lo Stato non debba disinteressarsi del modo in cui le forze politiche vengono finanziate e puntiamo a un modello che favorisca la libertà di scelta e che preveda una significativa agevolazione fiscale». Far marciare insieme la legge sul finanziamento e quella sull’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione su democrazia e trasparenza nei partiti è per Bersani il modo migliore per sfidare gli altri, Grillo in primis ma non solo, sul terreno del cambiamento. «Ora si può fare», è il messaggio che lancia il leader Pd. Sta agli altri decidere se favorire questo percorso o se mettersi di traverso.

L’Unità 18.03.13