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"In fabbrica la riscoperta dei contratti di solidarietà", di Luigina Venturelli

La ragione del loro esistere non potrebbe essere più evidente. Si chiamano contratti di solidarietà, puntano a risolvere i problemi in modo solidale tra gli occupati, lavorare meno per lavorare tutti. È meno evidente, invece, il motivo del loro crescente utilizzo in questa fase economica, con la crisi che non demorde e i vecchi pregiudizi aziendali sulla loro rigidità di gestione. «Appena si presenta una difficoltà, la prima tentazione delle imprese è sempre quella, avviare la mobilità e ridurre l’organico» racconta Michela Spera, responsabile dell’ufficio contrattazione della Fiom. «Ma le esperienze positive di questi anni e gli accordi sottoscritti anche da grandi gruppi industriali, dimostrano ampiamente che i contratti di solidarietà sono lo strumento migliore per gestire questa crisi».

TUTELA ED EFFICIENZA Così il ricorso a questo strumento – secondo i dati dell’Osservatorio Cgil sulla Cig – è aumentato del 65% nell’ultimo anno, passando dai 174 accordi applicati nel 2012 ai 286 registrati all’inizio del 2013. Una cifra notevole, ma che non tiene conto delle intese sottoscritte di recente. Solo pochi giorni fa, i contratti di solidarietà sono stati adottati all’Ilva di Taranto, allargando così il loro raggio d’azione a tutta la siderurgia italiana, comprese la Lucchini e la Magona di Piombino e tutti gli stabilimenti del gruppo Riva del centro-nord. E agli inizi di marzo è stato concluso l’accordo alla Electrolux, che ha evitato il licenziamento di quasi 650 lavoratori dell’azienda produttrice di elettrodomestici bianchi, settore tra i più esposti alla crisi di mercato internazionale: i dipendenti dei quattro stabilimenti per i prossimi due anni lavoreranno con turni giornalieri di sei ore a cui si aggiungeranno, se necessario, chiusure a giornate. E l’integrazione del salario sarà pari all’80% delle ore non lavorate. I vantaggi dei contratti di solidarietà, infatti, sono molteplici: non solo garantiscono i livelli occupazionali, mantenendo i posti di lavoro e le professionalità acquisite, ma assicurano anche una retribuzione dignitosa agli occupati, visto che, rispetto alla cassa integrazione, coprono circa l’80% della retribuzione di ogni singolo lavoratore, comprensiva delle componenti variabili, permettendo di maturare anche premi, tredicesime e anzianità. «Le tensioni salariali sono avvertite in misura sempre più drammatica» continua Spera, «è difficile mantenere a lungo una famiglia con la cassa integrazione». E questa crisi durerà a lungo». Inoltre, e qui sta la ragione del loro successo, i contratti di solidarietà «forniscono alle aziende tutta la flessibilità necessaria per assorbire il calo della produzione ma anche per far fronte ad ordini improvvisi». Perchè gli accordi stabiliscono le riduzioni massime dell’orario di lavoro, ma poi vengono applicati stabilimento per stabilimento, reparto per reparto, a seconda delle necessità. «Nel tessile, dove la crisi è iniziata oltre dieci anni fa, si sono ormai affermati. Adesso sono le aziende che ce li propongono» racconta la segretaria della Filctem piemontese, Luciana Mancin. Che può vantare pure un accordo di solidarietà estensiva, nel lanificio del lusso Loro Piana, dove la solidarietà tra i mille dipendenti è stata estesa anche ai precari che così, nel tempo, sono stati stabilizzati. Lo svantaggio – se così si può chiamare la ragione per cui molte aziende li rifiutano – sta nell’accordo sindacale che necessariamente li presuppone, mentre la cassa integrazione può essere chiesta e applicata unilateralmente dall’impresa. Presuppongono «il riconoscimento che le ragioni dell’impresa e quelle dei lavoratori hanno pari dignità », dunque buone relazioni industriali, pratiche di contrattazione che ne assicurino un utilizzo ottimale in ogni sede produttiva. Il che spiega perchè la Fiat non ne voglia sentir parlare.

IL CASO BRESCIANO Eppure anche il rifiuto opposto dal Lingotto conosce la sua eccezione. Non a caso, nel territorio che dei contratti di solidarietà – circa 120 quelli attivi – ha fatto la propria caratteristica sindacale, quello di Brescia: «All’Iveco sono applicati dall’estate 2011 e, dopo l’esclusione della Fiom dalla fabbrica, come in tutto il gruppo Fiat» spiega il segretario provinciale delle tute blu Francesco Bertoli, «sono stati rinnovati dalle altre organizzazioni sindacali. A riprova del fatto che un conto sono le mani libere dell’azienda, un altro la gestione efficiente delle fabbriche». Il problema che si pone per il futuro, piuttosto, è la possibilità di continuare ad utilizzare i contratti di solidarietà, la cui durata massima è di 48 mesi: «In molte aziende stanno scadendo» sottolinea il segretario della Cgil, Damiano Galletti. «Insieme al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali serve una modifica per prolungare a 5 o 6 anni l’utilizzo della solidarietà, che in questo territorio, dove la produzione manifatturiera è calata del 25%, ha consentito di salvare 15mila posti di lavoro».

L’Unità 18.03.13