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"Comuni, ecco come deve cambiare il patto di stabilità", di Pier Paolo Baretta

Il Partito democratico ha posto tra gli otto punti prioritari per il governo del paese lo sblocco dei pagamenti della pubblica amministrazione, soprattutto per gli enti locali. Finalmente il problema dei ritardati pagamenti delle pubbliche amministrazioni è all’ordine del giorno della discussione politica. Dopo lunghe battaglie parlamentari – non c’è provvedimento economico nel quale non abbiamo provato ad inserire il tema dell’allentamento del patto di stabilità – oggi, a causa della gravitá drammatica della crisi, ci si rende conto di quanto pesi nella recessione economica questa anomalia economica e, senza esagerare, democratica.

Se vogliamo incidere sulla ripresa bisogna smontare al più presto il patto di stabilità. Le scelte di bilancio effettuate da regioni, province e comuni, anche a seguito del taglio dei trasferimenti, hanno fortemente ridotto la spesa in conto capitale. I vincoli del patto, poi, provocano il blocco dei pagamenti arretrati per lavori regolarmente eseguiti, anche in presenza di risorse disponibili in cassa. Bisogna svincolare gli enti locali, a cominciare dai comuni, e consentire loro di poter agire, a partire dalle risorse disponibili, almeno su tre grandi aspetti che si intrecciano tra loro.

E cioè: il dissesto idrogeologico e la cura del territorio; la manutenzione degli edifici pubblici, a cominciare dalle scuole; la regolarità dei pagamenti.

Il Partito democratico ha posto questo tema, a partire dallo sblocco dei pagamenti della pubblica amministrazione, soprattutto per gli enti locali, come uno degli otto punti prioritari per il governo del paese che saranno sottoposti all’attenzione di tutte le forze politiche. Il nuovo governo dovrà agire senza indugi, anche a fronte della disponibilità, manifestata in questi giorni, in sede europea, per un possibile allentamento delle regole del patto di stabilità per le spese di investimento.

Ma adesso non c’è nemmeno il tempo per attendere la soluzione politica della crisi. L’emergenza economica è tale che almeno sui pagamenti bisogna agire ora. Infatti, delle oltre 30 aziende che falliscono ogni giorno nel nostro paese, più della metà lamenta, tra le cause, il ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione. È, dunque, in gioco la sopravvivenza stessa del tessuto produttivo.

A fronte di questa urgenza la soluzione prospettata in questi giorni dal governo non basta. È dilatoria nei tempi, rinviando di mesi i pagamenti e non è chiara nelle risorse. L’Anci, nella recentissima assemblea dei sindaci, ha parlato di 9 miliardi subito, che sono disponibili nelle casse dei comuni… ben meno dei 40 di cui parla il governo, ma senza averli a disposizione.

Per questo ho presentato una proposta di legge semplice, di un solo articolo: «I comuni possono escludere dal saldo rilevante ai fini del rispetto del patto di stabilità interno relativo all’anno 2013, i pagamenti dei residui passivi in conto capitale per un importo corrispondente all’avanzo di cassa risultante dal rendiconto dell’esercizio 2012».

Così facendo, si raggiunge subito lo scopo richiesto dal sistema delle imprese e dai comuni, di permettere ai comuni stessi di pagare i loro arretrati, con i soldi che hanno già in cassa.

Che, infatti bisogna muoversi immediatamente è chiaro dai dati, impressionanti, divulgati dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture: i tempi di pagamento arrivano tranquillamente e superare i due anni; il doppio rispetto a quanto si registra nel resto dell’Unione europea.

Secondo la Corte dei conti (in un audizione tenutasi alla camera già un anno fa, il 13 marzo 2012 e, nel frattempo, le cose sono peggiorate) il debito della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese è stimato in circa 60-70 miliardi di euro, di cui 17,9 miliardi di euro a carico dello stato centrale ed il resto degli enti locali.

Le difficoltà finanziarie del bilancio pubblico, che pure pesano, non giustificano questo stato di cose. Ad aggravarlo ci pensa anche l’eccesso di burocrazia, talvolta dovuta a buoni motivi, come gli oneri organizzativi legati alla nuova normativa sulla tracciabilità dei flussi finanziari che se, da un lato, ha la virtuosa finalità di prevenire le infiltrazioni della criminalità organizzata nel mercato degli appalti pubblici, dall’altro implica ulteriori ritardi nelle procedure di pagamento. Ma, più spesso da lungaggini ingiustificate. Col risultato, doppiamente negativo, che l’insolvenza degli enti determina un crescente, pesante contenzioso, con un ulteriore aggravio dei costi.

Non c’è tempo da perdere, dunque. Se si agisce subito si può tamponare l’emorragia, si sblocca lo stallo e si avvia una inversione di tendenza salutare, presupposto decisivo per una ripresa di fiducia da parte delle imprese, soprattutto medio piccole, strozzate da troppi fattori negativi (credito, produttività, innovazione) per sopportare che tra questi ci sia anche lo stato.

da Europa Quotidiano 27.03.13