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"Perché serve il governo politico", di Ruggiero Paladini

“Contrordine compagni”, di sarebbe detto un tempo. Ciò che sembrava semplice si mostra complicatissimo. Proviamo a mettere in ordine i tasselli. Partiamo dal fatto che le regole comunitarie di Eurostat stabiliscono che le somme dovute dalle amministrazioni pubbliche per fornitura di beni e servizi non entrano né nel conto economico (deficit), né in quello patrimoniale (debito). In condizioni normali dovrebbe essere un fondo che si rinnova con vecchie fatture che escono e nuove che entrano.
Anche nel mondo delle imprese questo fenomeno esiste come fatto fisiologico.
Ma nel nostro Paese il fenomeno, in particolare negli ultimi anni, diventa patologico: le somme lievitano fino a raggiungere, e forse superare, i 100 miliardi. Intanto il Paese affronta il secondo anno di recessione, con previsioni che già superano quella appena rivista (in peggio) dal ministero dell’Economia (-1,3%), e che indicano almeno un -1,8. Nel frattempo il credit crunch si stringe su famiglie e imprese.
Bene, perché non incominciare a pagare un po’ di debiti? Anche la Commissione europea sollecita l’Italia in questo senso, sulla base di una considerazione semplice: le regole di contabilità pubblica dicono che gli acquisti di beni e servizi di conto corrente vengono registrati come spesa e vanno a determinare il deficit della pubblica amministrazione, nel momento in cui diventano degli impegni, secondo criteri di competenza economica. Invece per quanto riguarda le spese per investimento, che impiegano molti anni per essere realizzate, è più logico che diventino spese iscritte a bilancio (e quindi deficit) secondo un criterio di cassa, cioè a mano a mano che l’opera procede.
Dunque saldare un debito per una fornitura di beni e servizi in conto corrente, inscritta a bilancio nel 2012 o prima ancora, non ha nessun effetto sul deficit del 2013. Ha solo un effetto sul debito, in quanto a fronte di questo pagamento l’ente pubblico si deve essere procurato i mezzi finanziari necessari. Saldare invece un debito per un’opera pubblica d’investimento, ancorché riferita a impegni di anni precedenti, fa aumentare sia il deficit 2013 che il debito. La composizione dei crediti delle imprese sembra essere, all’incirca, di un 80% di parte corrente e di un 20% di parte capitale. Pertanto saldare nell’arco di due anni una quarantina di miliardi fa aumentare il debito di oltre due punti di Pil, ma impatta sul deficit per soli otto miliardi. Poco male per il debito, visto che tanto dell’esistenza di questi miliardi di impegni non saldati sono al corrente tutti gli operatori finanziari, e quindi sono già assorbiti dal nostro spread. L’importante però, ammonisce l’ineffabile Oli Rehn, il guardiano dell’austerità teutonica, è di rimanere entro il 3% per quanto riguarda il deficit.

Il governo, che a differenza di Francia e Spagna non si è mosso per vedere di ottenere un rinvio nel folle obbligo di equilibrio strutturale già entro quest’anno, finalmente si muove e prepara un provvedimento, che la Commissione speciale della Camera approva addirittura all’unanimità (ebbene sì, malgrado la capogruppo grillina avesse definito la cosa una «porcata di fine legislatura»), rinunziando ad allargare il discorso su temi caldi come l’aumento dell’Iva a luglio, gli esodati, il rifinanziamento della cassa integrazione, la Tares, ecc.
È a questo punto che le cose si complicano; la maggior parte dei debiti sono delle Regioni (sanità soprattutto) e degli enti locali. Se l’ente ha in cassa le somme, può procedere, ma che fare in caso contrario? Il Tesoro deve anticipare le somme e vuole avere certezza di avere i soldi indietro. Sembra che al ministero dell’Economia avessero pensato anche ad anticipare gli aumenti dell’addizionale Irpef regionale, che scatteranno l’anno prossimo, a quest’anno; forse volevano imitare l’atteggiamento della Troika con Cipro.
Non proprio una brillante figura per il governo dei tecnici. Avrebbero potuto muoversi ben prima, invece di finire in questi pasticci. Ma per contrattare, con molta energia con la Commissione (e quindi con Angela Merkel), ci vuole un governo politico a tutti gli effetti.

L’Unità 04.04.13