attualità, memoria, politica italiana

"Dalla battaglia del ’48 al sì al maggioritario così il 18 aprile è un simbolo della Repubblica", di Filippo Ceccarelli

Vorrà dire qualcosa che si comincia a votare proprio il 18 aprile? Nella storia ci sono infatti date non solo memorabili, ma così ricorrenti e perfino insistite nella loro risonanza che è quasi impossibile far finta di nulla.
Così dopodomani la corsa per il Quirinale finisce per collocarsi sulla scia di altri significativi 18 aprile, richiamandone implicitamente le luci e le ombre in una specie di cabalistico calendario storico della Repubblica.
Il primo è com’è ovvio quello del 1948, «Con Cristo o con Stalin», vale a dire lo scontro elettorale che diede la maggioranza alla Democrazia cristiana segnando la storica sconfitta del Fronte popolare costituito, all’insegna di Garibaldi, dal Pci e dal Psi. Ed è curioso dopo 65 anni ricostruire il clima, i timori, il turismo primaverile bloccato, gli stranieri che anticipavano le partenze, il mercato immobiliare che crollava per paura che i comunisti
distribuissero le case sfitte ai poveri; chi ritirava i risparmi dalle banche, chi rimandava acquisti, villeggiature e perfino matrimoni «a dopo il 18 aprile».
A Cinecittà corre voce che alcuni film in produzione abbiano due diversi finali, a seconda del voto. C’è un unico sondaggio, Doxa, che assegna il 36 per cento alla Dc, il 20 al Fronte, il 14 alla destra, il 13 ai laici e un altro 13 agli indecisi. Dc e Comitati civici spingono per la partecipazione: «Vota anche se piove». Domenica è una giornata nuvolosa, ma senza gli scrosci dei giorni precedenti. Dopo la vittoria, con gioiosa metafora meteorologica, il segretario dc Piccioni commenta: «Credevo che piovesse, ma ha grandinato ».
Qualche anno fa Cossiga raccontò che a Sassari arrivarono delle armi, per precauzione. Ma nel delizioso «Al Viminale con il morto» (Baldini&Castoldi, 1996) Ugo Zatterin rende noto che l’unico fatto d’armi verificatosi il 18 aprile avviene a Pievepelago, Modena, dove un marito geloso minaccia con un revolver la moglie che si è fatta accompagnare al seggio da un giovanotto. Per il resto, a Milano, comunisti e cattolici si litigano i vecchietti da portare al voto; a Torino una coppia di sposi pastrocchiano sulle schede e si mettono a piangere; a Palermo il prefetto dispone un rimborso di denaro per i molti elettori che, borseggiati nei seggi, non hanno più soldi per tornare a casa. Lo spoglio dura fino al 20 aprile. I comunisti fanno finta di aver vinto. Vittorio Sereni, in una poesia, ricorda Umberto Saba «un giorno o due dopo il 18 aprile» girovagare per Milano «inseguito dalla radio. / Porca – vociferando – porca. Lo guardava/ stupefatta la gente./ Lo diceva all’Italia. Di schianto, come una donna/ che ignara o no a morte ci ha ferito».
Ma i poeti non fanno la storia. E nemmeno i brigatisti fasulli. Però: «Oggi 18 aprile 1978 si conclude il periodo “dittatoriale” della Dc che per ben trent’anni ha tristemente dominato con la logica del soppruso». Sì, «soppruso”, con due “p”, come si legge nel volantino tarocco che in pieno sequestro Moro spedisce uomini, mezzi, ministri e giornalisti in alta quota appenninica, a 1800 metri, confini
tra Lazio e Abruzzo, precisamente sul lago della Duchessa, peraltro ghiacciato – per le più infruttuose e grottesche ricerche che sia dato immaginare.
Mentre a Roma, non lontano da via Fani, con congruo e controverso ritardo per via di una doccia che perde proprio quel giorno si scopre una base brigatista davvero piena di materiale molto interessante: in quel di via Gradoli, non Gradoli paese, come invano suggerito da spiritisti molto ben informati. E insomma, ecco anche qui e allora l’eterno dramma, ma anche la commedia dell’Italia.
Passano altri 15 anni. E il 18 aprile del 1993, mentre sta andando in pezzi la Prima Repubblica, gli italiani votano una sventagliata di referendum di vario genere, anche se il più importante è sulle leggi elettorali, che in ogni caso assesta al sistema il colpo finale. Il vincitore è Mariotto Segni. Che stappa champagne e festeggia a piazza Navona con Occhetto, Pannella, Ayala e un migliaio di entusiasti referendari che sfoggiano distintivi su cui è scritto: «Sfida finale alla partitocrazia».
Falcidiato dagli avvisi di garanzia, il governo semi-tecnico di Amato deve solo formalizzare le dimissioni al Quirinale. Arresti, giunte regionali che cadono. «Mi sembra che la situazione politica – commenta il presidente della Camera Napolitano – sia molto imprevedibile ». Dalla Procura di Palermo, proprio quel 18 aprile arrivano altre carte su Andreotti, che pure trova il tempo di commemorare un francobollo sul bimillenario di Orazio. Il pentito Di Maggio racconta di aver accompagnato Totò Riina dall’esattore Salvo, dove lo aspettavano Lima e appunto Andreotti, con cui si è baciato. Dopo l’esito referendario Martinazzoli ha ormai perso il controllo della Dc. Di lì a qualche giorno proporrà di scioglierla. Tutti si aspettano Segni, vincitore morale di quella stagione, a Palazzo Chigi. Occhetto prenota il posto di vice. Ma Scalfaro risolve diversamente, con Ciampi.
Il 18 aprile del 1996 è l’ultimo giovedì della campagna elettorale che per la prima volta porterà il centrosinistra al governo. Cambio di direzione a
Repubblicae La Stampa.
In serata tele-duello Berlusconi-Prodi da Mentana. Il Polo della libertà chiude al Palatrussardi: «Siete bellissimi!» è l’esordio del Cavaliere. L’Ulivo si raccoglie a Roma, sul palco presenta Miriam Mafai: «Ammazza – apre Rutelli – quanto è bella Piazza del popolo!». D’Alema cita la Turandot, «là dove c’è la famosa aria “All’alba vincerò”». In realtà in politica si vince e si perde, mai essere troppo sicuri.

La Repubblica 16.04.13

1 Commento

    I commenti sono chiusi.