attualità, partito democratico

"Processo ai 101 traditori e a un Pd che va rifondato", di Andrea Marini

Chi l’avrebbe detto, solo tre mesi fa, alla vigilia del voto, che in una domenica mattina di aprile i circoli e i dirigenti del partito cittadino, provinciale e regionale si sarebbero incontrati per “processare” il gruppo parlamentare Pd, prendere atto che il partito è a un passo dello sgretolamento e con la prospettiva di ritrovarsi “imprigionati” in un governo del presidente Napolitano a braccetto con Alfano, Monti e Berlusconi… Ma tant’è questa è la situazione. E ieri mattina in una delle più dure riunioni di partito è andato in scena un incrocio tra una sorta di psicoterapia di gruppo (di partito ndr) e un processo ai parlamentari, anche quelli modenesi. Doveva essere una riunione per i soli segretari di circolo cittadini, ma alla porta della sede sono poi giunti segretari dalla zona di Carpi e amministratori, sono stati invitati il sindaco Pighi, gli ex-parlamentari Bastico e Barbolini. Erano presenti due soli “reduci” dall’«entusiasmante» elezione di Napolitano: Stefano Vaccari e Manuela Ghizzoni. Certo le critiche principali hanno colpito i “vigliacchi”, i “traditori” coloro che affossando Prodi hanno messo a rischio la sopravvivenza del Pd. Ma ce ne è stato anche per la scelta tutta emiliana di rimangiarsi il via libera a Marini, sotto il pressing dei social network, dimostrando scarsa capacità di saper affrontare critiche ed insulti. Per poi arrivare a valutare come uscirne e come avviare una svolta che a questo punto è indispensabile per sopravvivere. Vaccari e Ghizzoni hanno ricostruito le drammatiche fasi romane. Spiegando come la scelta della candidatura Marini sia da imputare a difetti che si potrebbero definire organizzativi. «Per Marini il via libera è stato dato a Bersani solo da 200 parlamentari su 450, gli altri erano usciti e non ci si è visti prima del voto come si doveva fare. – ha detto Ghizzoni – Mentre l’unanimità dell’applauso per Prodi non ha impedito ai vigliacchi di agire». Vaccari ha puntato sui 101 traditori «che hanno distrutto in poco tempo anni di militanza. Ma noi vogliamo ripartire attorno a un’idea di stare insieme in un soggetto collettivo». Poi è stata la volta di chi a Roma non c’era. Stefano Bonaccini ha difeso la decisione di lanciare il suo «fermatevi» rispetto alla prospettiva di eleggere Marini, incassando però qualche appunto da Mariangela Bastico e dell’ ex-senatore Barbolini che hanno ricordato come quando si è in un partito ci deve essere una certa disciplina che impone di accettare scelte prese democraticamente, anche se non si è d’accordo. Barbolini ha aggiunto «In questo partito, ci sono troppi “grillismi” e “berlusconismi” tra le nuove leve. Le regole si rispettano». Pesante lo sfogo di Giorgio Pighi durissimo con i traditori e con un partito che «se continua così fa venir voglia di mollare tutto e andarsene». Bonaccini ha analizzato le prospettive: «Non avrei problemi dopo le dimissioni di Bersani a mettere sul tavolo anche le mie – ha detto – Ma in questo momento è meglio rimanere ognuno al proprio posto e dare la possibilità ai nostri iscritti di sfogarsi stando in mezzo alla gente. Poi i congressi devono arrivare velocemente». Sergio Rusticali ha parlato di «fase drammatica. Il partito deve essere rifondato, si deve creare una identità versa, forte e depurata dalle correnti dannose» E dai segretari dei circoli è arrivata la richiesta di stanare i traditori. Patrizia Villani (Madonnina): «Queste cose fanno molto male, non vediamo l’unità del partito in queste decisioni. Basta: il tempo della vecchia politica è finito». O Anna Maria Vandelli: «hanno affossato il progetto del Pd, ma non hanno affossato le idee». Dalla riunione l’impegno ad avviare le procedure per rinviare i congressi comunale e provinciale. Prima il nazionale, con l’auspicio che sia un congresso concreto di merito per arrivare a varare un partito vero e non quello che è apparso in questi giorni. E ancora tenere aperti i circoli per accogliere iscritti e simpatizzanti ascoltarli e dialogare con loro per garantire quel contatto con la gente che non può essere delegato a facebook e twitter. A questo proposito Antonino Marino ha sottolineato «le colpe non sono dei socialnetwork , nè di Sel, la colpa va cercata nel nostro interno e in particolare tra i capi correnti più propensi a difendere le loro meschinità di potere che gli interessi del Paese.

La Gazzetta di Modena 22.04.13