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"Università, i test inutili di medicina", di Eugenia Tognotti

A dispetto delle sacrosante critiche che, da anni, ormai, piovono da ogni parte sui test di Medicina, i 90 mila aspiranti camici bianchi si troveranno di fronte, domani, alla solita sequenza di domande a risposta multipla (18 di biologia, 11 di chimica, 11 di Fisica e Matematica, 40 di Logica e cultura generale), cui ci si affida, qui da noi, per reclutare i futuri medici. Nessun test psicoattitudinale, non uno straccio di colloquio per accertare le predisposizioni, le attitudini specifiche, la «vocazione», che non appare un termine obsoleto e sorpassato, trattandosi di medici che dovranno rapportarsi alla malattia e al dolore, e confrontarsi non solo con «casi clinici», ma con «persone».

In mancanza, anche, di una valutazione legata al percorso degli studi superiori e al voto finale – almeno in alcune materie – è, dunque, alla prova d’ammissione che è affidata la funzione di «filtro». Ma basta scorrere la lunga sequenza di domande di cultura generale, incongrue, se non dissennate – improbabili anche se riguardate dal punto di vista della preparazione media degli studenti italiani – per rendersi conto quanto sia malsicuro e inadeguato. Può aiutare, per dire, a valutare i saperi scientifici degli aspiranti medici, le qualità cognitive connesse col ragionamento, la capacità di risolvere i problemi, la domanda sul nome dell’architetto che progettò la Reggia di Caserta? O sul limite massimo a cui si spinsero le conquiste di Alessandro Magno, che riuscì a sconfiggere il re persiano Dario III e a conquistarne il regno.

Si potrà davvero essere sicuri che gli studenti più motivati ad intraprendere gli studi medici sono quelli che ricordano quale «entità politica» – tra la Repubblica di Venezia, il Ducato di Parma, il Regno di Sardegna, lo Stato della Chiesa e il Granducato di Toscana – è sparita dalla geografia (sic) della penisola italiana dopo il Congresso di Vienna (1814-15)? O che sono in grado di dare un ordine cronologico ad alcuni eventi (lo scoppio della guerra civile spagnola, l’entrata in guerra dell’Italia nella prima guerra mondiale, la Rivoluzione d’ottobre, il crollo di Wall Street)?

E si potrà, ancora, essere certi che la scelta degli studenti «giusti» per la professione di medico possa avvenire sulla base della capacità di abbinare a Cesare Pavese (e non a Sandro Penna, Umberto Saba, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo) i versi «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi». E, ancora, di ricordare in quale romanzo italiano è importante un albero di nespole? O che i patriottici, ma non eccelsi versi della «Spigolatrice di Sapri» – Eran trecento, eran giovani e forti e sono morti, Sceser con l’armi e a noi non fecer guerra, ma s’inchinaron per baciar la terra – sono riconducibili alla sciagurata impresa di Carlo Pisacane e non ad altri consimili tentativi insurrezionali nel Risorgimento italiano?

Al di là di qualsiasi altra considerazione sulla capacità dei Test di fornire qualche indicazione sulle attitudini degli aspiranti medici, sulla loro capacità di «prendersi cura» e di comunicare, c’è da dire che a scorrere l’elenco delle domande di cultura generale, si ha l’impressione di trovarsi in un altro tempo e in un’altra scuola. Quanti studenti, anche tra i più brillanti, sono in grado di rispondere, in pochi minuti, a domande come queste, scelte, a caso, come le altre, tra quelle degli anni scorsi: «Contro la pratica diffusa delle detenzioni arbitrarie, una norma ha imposto la sollecita conduzione dell’imputato al cospetto di un magistrato che potesse, valutate le motivazioni dell’arresto, convalidarlo oppure annullarlo» (Placet, Non expedit, Exequatur, Habeas corpus, Dictatus papae)? E, ancora: «Come si definisce un provvedimento di carattere generale con il quale lo Stato rinuncia a punire i soggetti che hanno commesso dei reati o rinuncia ad eseguire la pena già comminata» (amnistia, indulto, grazia, indulgenza, perdono)?

Nello scorrere la lunga sequenza di domande, l’occhio cade sulla parola «stetoscopio». Una domanda sul ruolo che questo primo strumento diagnostico, inventato nel 1816, ha avuto nel trasformare la pratica della medicina e il rapporto medico-paziente? No. Il candidato doveva solo specificare a quale categoria di beni appartiene per la scienza economica. Un bene durevole, non durevole, strumentale, complementare o succedaneo?

Limitare gli accessi è indispensabile, si sa. Ma occorre ripensare a come fare. Da anni si parla di una modifica delle procedure per l’ammissione alle Facoltà di Medicina. Non se n’è fatto niente, ancora. In Italia, si sa, niente è più definitivo del provvisorio.

La Stampa 01.09.10