cultura

"Scrittrici scollate", di Flavia Amabile

Dopo il botta e risposta con Vespa a Michela Murgia diranno di tutto a questo punto. La definiranno vetero-femminista o, come Vespa, una donna con poco umorismo. Sarà. Che umorismo volgare, però. Chissà quali salotti ha frequentato Bruno Vespa per giudicare divertenti frasi che non sarebbero ammesse se non in ambienti non particolarmente eleganti.
Immagino anche che cosa diranno a Silvia Avallone. Se non desiderava commenti sul suo decolleté bastava non indossare un vestito così scollato. Di fronte a simili obiezioni viene da ridere se non ci fosse da piangere. Chi risponde in questo modo non ha idea di che cosa sia un abito da sera e un’occasione come quella della premiazione per il Campiello. Sarebbe come se alla serata finale degli Oscar un’attrice indossasse un abito scollato e il presentatore invece di parlare dei suoi meriti professionali decantasse il suo fisico. Mai visto qualcosa del genere? Mai.

E, comunque, bisogna per forza ridere, anche di fronte alle battute da caserma che non fanno ridere nemmeno un po’ solo provare un po’ di compassione per chi le pronuncia? E se una persona è stata cafona, e non riesce nemmeno ad avere l’eleganza di ammetterlo, non si può dirlo per far capire che il limite della comune decenza è stato superato?

Sì che si può dire secondo me, perché se in diretta televisiva di una finalista di un prestigioso premio letterario si parla solamente della sua meravigliosa scollatura e della pelle fremente intorno al suo tatuaggio, qualcosa non va. Ed è meglio gridarlo chiaro e forte.

La Stampa 07.09.10

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“Se anche la scrittrice è trattata da velina”, di GAD LERNER

Ero seduto anch’io sul palcoscenico della Fenice di Venezia, sabato sera, quando d’improvviso abbiamo visto illuminarsi la faccia di Bruno Vespa: “Assegniamo ora il Premio Campiello opera prima a Silvia Avallone, autrice del romanzo ‘Acciaio’, e prego la regia di inquadrare il suo strepitoso décolleté”. Non pago, quando s’è ritrovato al fianco la giovane scrittrice vestita di chiffon, Vespa ha indugiato sul tatuaggio che ne orna una spalla, gliel’ha cinta e – rivolto alla platea degli industriali veneti promotori del Campiello – ha soggiunto: “La sto toccando e vi assicuro che nonostante il grande successo già conseguito, vibra ancora d’emozione”.
A quel punto ho incrociato lo sguardo con quello allibito di Michela Murgia, la trionfatrice dell’edizione 2010, seduta accanto a me. Con la sua autorizzazione, riferisco l’istintivo commento sussurratomi dall’ottima autrice di “Accabadora”: “Ma come è possibile? Vespa si comporta come un vecchio bavoso!”.

Per ciascuno degli altri scrittori intervistati fino a quel momento, naturalmente, le domande di Vespa vertevano sul contenuto dell’opera presentata, con brevi divagazioni riguardanti l’attualità o le esperienze di ciascuno. Davanti alla Avallone (classe 1984, dunque giovane, ma non certo una bambina) l’atteggiamento è cambiato. Il libro è passato decisamente in secondo piano, quasi che il maturo maschio italiano di successo e benpensante – dimentico della sua professione – in un tale frangente si ritenesse autorizzato alla deroga protocollare: la pupa ha ben altro da mostrarci, cosa volete che me ne importi se è una scrittrice di valore? Sciambola, mica perderemo tempo a intervistarla come un Carofiglio, un Pennacchi o una Pariani qualsiasi!

Naturalmente in un premio letterario francese, tedesco o americano sarebbe stato inconcepibile una simile disuguaglianza di trattamento; e il professionista che per avventura vi fosse incorso, si sarebbe beccato una rispostaccia seduta stante. Silvia Avallone invece vive in Italia, dunque si è limitata a confidare più tardi il disagio provato in quella cerimonia, trasmessa su Raiuno. Noiosa, forse, ma non meritevole di essere vivacizzata da arrapamenti senili in una sede impropria. Al Premio Campiello, senza dubbio uno dei più seri e prestigiosi concorsi letterari del nostro paese, non sono mai state richieste le misure seno-vita-fianchi degli scrittori. E il fatto che quest’anno lo abbiano vinto due giovani donne di indubbio talento come la Murgia e la Avallone, conferma l’anacronismo di cui Vespa è portatore inconsapevole.

Riteneva di effettuare una modernizzazione del linguaggio televisivo, ormai più di dieci anni fa, quando inaugurò la moda di invitare signorine taciturne e ornamentali come sottofondo dei dibattiti fra uomini politici. A differenza di centinaia di migliaia di lettori, per lui la toilette della scrittrice viene prima del suo romanzo.

P. S. Vorrei prevenire una eventuale replica fuori luogo di Vespa: “Tu mi attacchi perché non hai vinto il Campiello”. Gli faccio notare che la mia mancata vittoria era largamente prevedibile, giustificata dal valore di Michela Murgia e degli altri concorrenti. Il suo comportamento invece non era né prevedibile né tanto meno giustificabile.

La Repubblica 07.09.10