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"Riforma Gelmini, dottorandi senza risposte e nel frattempo i concorsi non si fanno", di Manuel Massimo

L’Adi denuncia di non aver ottenuto nessun chiarimento dal ministro, malgrado l’impegno assunto il 19 gennaio scorso. Ora si parla di “apposito regolamento di imminente emanazione”. Ma gli atenei e gli enti di ricerca sono fermi. Tutti i nodi vengono al pettine: anche quelli contenuti nelle pieghe della riforma dell’università in materia di dottorato di ricerca, ancora in attesa di essere sciolti. Lo denuncia l’Adi (Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani) in una nota sottolineando come “anche dopo l’entrata in vigore della legge 240/2010 che porta il suo nome, il ministro Gelmini non sa ancora fornire un’interpretazione univoca dell’articolo 19, relativo al dottorato”. Una situazione che si trascina ormai dal 19 gennaio scorso, quando la dottoranda Valentina Maisto – rappresentante al Cnsu e socia Adi – nel corso di un incontro aveva posto al ministro precisi quesiti, con la promessa di una pronta risposta scritta. Risposta che, a tutt’oggi, non è ancora arrivata.

Tante domande, zero risposte. Le delucidazioni richieste dall’Adi riguardano alcuni aspetti particolarmente problematici e “oscuri” contenuti nella Legge Gelmini, in particolare: l’articolo 19 (Disposizioni in materia di dottorato di ricerca) prevede l’eliminazione della figura del dottorando senza borsa (anomalia tutta italiana, ndr) oppure la possibilità di bandire posti privi di borsa senza più alcun limite? E ancora: i dottorandi rischiano di perdere la remunerazione per l’aspettativa nel corso del dottorato di ricerca? Con quale tipo di contratto saranno assunti i vincitori del bando Firb (Futuro in Ricerca, ndr)? Infine: è previsto un rapporto numerico obbligatorio tra ricercatori a tempo determinato al primo contratto e quelli al secondo
contratto?

Il ministro prende tempo. Davanti a questa serie di quesiti precisi e circostanziati la Gelmini – dopo più di tre settimane – non solo non ha inviato la risposta promessa e tanto attesa dall’Adi, ma non sembra avere affatto intenzione di farlo, almeno non direttamente. Lo chiarisce un breve messaggio della sua segreteria particolare: “La materia verrà affrontata in un apposito regolamento sui dottorati di imminente emanazione”. Intanto, in assenza di questo regolamento, le università e gli altri enti di ricerca non potranno bandire i nuovi concorsi per il dottorato. E, come sottolinea l’Adi, “il blocco dei dottorati fa il paio con il blocco delle procedure di attribuzione degli assegni di ricerca”. Un’ulteriore stretta su figure e professionalità già fortemente penalizzate all’interno del mondo accademico.

Scenari futuri. Nella legge precedentemente in vigore, la 210 del 1998, la norma non lasciava adito a dubbi: i posti banditi dovevano essere coperti dalla borsa di dottorato almeno per il 50%. Ma nella legge attualmente vigente l’eliminazione della formula “comunque non inferiore alla metà dei dottorandi” rende la norma ambigua. E, in assenza di un’interpretazione autentica da parte del legislatore, si aprono molteplici scenari: nella migliore delle ipotesi non potranno più essere banditi posti di dottorato non coperti da borsa (in pratica un taglio netto del 35% rispetto alla situazione attuale); nella peggiore ci sarà di fatto una “deregulation” del dottorato senza borsa e dunque gli atenei, già provati dai tagli, cercheranno di massimizzare le entrate centellinando i posti con borsa e ampliando la platea dei dottorandi “a pagamento”.

L’impasse del sistema. Il delicato e complesso ingranaggio che regola il funzionamento dei dottorati di ricerca in Italia sta subendo un rallentamento forzato a causa di queste mancate risposte ministeriali e – in attesa dei decreti attuativi e in mancanza di norme transitorie o almeno di circolari interpretative – università ed enti di ricerca hanno bloccato l’emanazione di nuovi bandi. Una situazione insostenibile soprattutto per le nuove leve della ricerca dal futuro incerto – che rappresentano l’anello debole della catena – come conferma l’Adi: “Molti progetti di ricerca, anche già finanziati, dovranno fare a meno di giovani ricercatori. Gli stessi giovani ricercatori aspetteranno mesi prima di poter contare nuovamente su una qualche forma di finanziamento”.

Promesse e paradossi. Alla luce di questi fatti la dichiarazione-spot del ministro Gelmini pronunciata in conferenza stampa a Palazzo Chigi il 25 gennaio scorso dovrebbe essere rubricata ancora una volta sotto la voce annunci: “Rilanciare i dottorati di ricerca per potenziare i percorsi accademici è un fatto importante: per questo sono a disposizione 170 milioni di euro e stiamo lavorando a un regolamento attuativo”. Ma le promesse non bastano più, per l’Adi è tempo di risposte: “Dov’è la riforma propagandata per limitare i poteri dei baroni e favorire la strada dei giovani ricercatori? Ad oggi continuiamo a denunciare che nell’università definita dalla riforma ci sarà sempre meno spazio per i dottorandi e per i giovani ricercatori e aspettiamo risposte chiare ai problemi che l’applicazione sta sollevando”.

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