memoria

"Per Lino, Angelo e Maria", di Manuela Ghizzoni*

ieri, 66 anni fa, questa comunità viveva una delle pagine più cupe e dolorose dell’occupazione tedesca, che negli ultimi mesi del conflitto, con la piena complicità dei fascisti, si fece più feroce, più accanita e fanatica.
L’11 febbraio 1945, tedeschi e fascisti compiono nel territorio di Budrione violenze e razzie; il giorno successivo, l’azione di contrasto dei partigiani approda all’assedio di una casa colonica in cui si era riparato un plotone di tedeschi proveniente da un rastrellamento a Rolo.
Durante il combattimento perdono la vita i partigiani Lino Bassoli e Angelo Cavalletti; insieme a loro cade anche Maria Guandalini, una vittima civile trucidata dai tedeschi per convincere i partigiani ad abbandonare l’azione.
Non ho vissuto quei tragici eventi, ma ne ho raccolto la testimonianza diretta da mia madre, che allora bambina provò la paura delle violenze, lo sgomento per l’uccisione di persone vicine, care, l’indignazione per i soprusi subiti e la rabbia per la dignità umana calpestata e vilipesa.
Sentimenti ed esperienze poi elaborati in un codice etico e trasfusi in un orizzonte di ideali, che hanno orientato le scelte della vita adulta.
Come tanti di voi che siete qui oggi, mi madre ha fatto testimonianza di quei sentimenti e di quelle esperienze, perché dimenticare avrebbe significato tradire il martirio di Angelo, Lino, Maria e di tutti coloro che caddero nella Lotta di liberazione.
Allo stesso modo dobbiamo fare noi e i ragazzi di oggi, perché i giovani protagonisti di allora, inesorabilmente, ci stanno lasciando e non possiamo permetterci che si disperda la memoria di chi si fece partigiano e resistente sulla spinta di un dovere avvertito come naturale e impellente, per sete di giustizia e di equità sociale, per ridare dignità a sé e all’intero popolo italiano, per far trionfare la ragione e la civiltà in tempi di barbarie.
Dobbiamo cioè perpetuare nelle nostre scelte attuali il valore civile intrinseco alla decisione di Resistere che tanti uomini e tante donne hanno compiuto allora.
L’esercizio della memoria non è collezionare ricordi, ma attualizzare la lezione del passato perché la dignità umana sia sempre affermata come valore assoluto, perché i diritti inalienabili delle persone siano rispettati e difesi sempre e ovunque. Anche oggi, nel nostro Paese.
Che domande ci siamo fatti, come abbiamo reagito davanti alla morte dei quattro bimbi rom, arsi in un rogo in un campo abusivo a Roma meno di una settimana fa? Ieri sono comparse delle scritte terribili su un muro di cinta: «Roma -4» e «Rom Raus» accompagnate dal disegno di una svastica. Fosse anche il gesto di pochi fanatici, non dovremmo noi sentirci tutti chiamati in causa?
Nell’esercizio della memoria, è sempre in agguato il rischio di cadere nella retorica o nella rassicurante sebbene sterile ritualità: dobbiamo compiere ogni sforzo per sfuggire questo rischio, soprattutto per far giungere alle ragazze ed ai ragazzi d’oggi la forza dell’etica civile che animò i giovani di allora, affinché possano riconoscersi nei valori fondanti della pace, della libertà, della giustizia e della solidarietà, affinché sia forte la loro capacità di indignarsi, sia potente il desiderio di mettere a disposizione il proprio impegno civile per il bene comune. Più che mai, abbiamo bisogno di queste virtù nel nostro Paese, nel quale sempre di più i diritti sociali e civili segnano il passo; le disuguaglianze economiche aumentano, mentre il sistema della formazione è un motore sociale bloccato; i talenti dei giovani sono mortificati tanto da comprimerne le speranze e le sane ambizioni di futuro; l’ostilità e l’intolleranza per le diversità culturali e religiose si estendono, anche in nome di una malinterpretata idea di identità, che si fa coincidere con ambiti territoriali sempre più circoscritti, mentre la globalizzazione è ormai un fenomeno inarrestabile; il discredito delle istituzioni e la perdita di senso del ruolo della politica sono ormai convincimenti diffusi, così che la pericolosa idea di semplificare la rappresentanza democratica si propaga e la deriva populista pare inarrestabile; in cui l’etica pubblica vive una crisi inedita, che mina il nostro stesso patto sociale. Queste sono le sfide che abbiamo di fronte, dal cui esito dipende la qualità della nostra democrazia.
Sfide di portata epocale per le quali, come da tempo suggerisce il Presidente Napolitano, occorre un grande sforzo collettivo, una comune assunzione di responsabilità, un più forte senso di identità e unità nazionale.
Ancora una volta può orientarci nelle scelte da compiere l’eredità della Resistenza, l’eredità del suo “beneficio morale” – evocato da Benedetto Croce – e del sentimento nazionale e patriottico di cui fu pervasa idealmente connesso al Risorgimento e all’Italia che unendosi si era fatta Stato.
Oggi, nel centocinquantenario dell’Unità d’Italia – che ancora qualcuno si ostina a negare come elemento identitario da celebrare con una festa nazionale – dovremmo riflettere di più e meglio sulle “motivazioni patriottiche dell’impegno e del sacrificio di tanti partigiani”: l’interesse nazionale e l’atteggiamento unitario potrebbero così prevale a beneficio della risoluzione dei problemi del nostro Paese.
Sarebbe anche il modo migliore per ricordare Lino Bassoli, Angelo Cavalletti, Maria Guandalini e i tanti altri che purtroppo non videro il Giorno della Liberazione.

*Sintesi dell’intervento alla celebrazione 66° anniversario della Battaglia di Budrione, 13 febbraio 2011