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«L’identità perduta e il branco come rifugio». Intervista a Giuseppe De Rita, di Paolo Conti

«Negli anni ho visto criminalizzare algerini, marocchini, albanesi… Adesso tocca ai romeni. L’Italia, pur essendo abituata da secoli al passaggio di popoli più o meno barbari, continua a considerare chiunque si avvicini alle coste o ai confini come un potenziale nemico. Unica eccezione, gli americani che ci liberarono dal nazifascismo».

Professor Giuseppe De Rita, sociologo e responsabile del Censis, gli ultimi episodi di stupri legati alla presenza di romeni hanno scatenato nuove e forti forme di rifiuto…
«Qui non c’entra né il razzismo né la politica della Lega. È un dato endemico della nostra società che svela uno schema istintivo di protezione, come l’antica accensione dei fuochi sulla penisola sorrentina: “mamma, li Turchi!” Il tentativo impaurito di mantenere un impossibile equilibrio interno. Per di più, e non è un dettaglio, i romeni a molti appaiono come emigrati “facilitati”. Non hanno dovuto correre il rischio di morire di sete nel deserto o di finire affogati in un barcone nel bel mezzo del Mediterraneo perché adesso, grazie all’Unione Europea, basta un comodo viaggio in macchina… Tutto questo corrobora le forme estreme del rifiuto».

Ma gli ultimi episodi di stupro, a Guidonia, come a Cosenza, riguardano cittadini romeni. Possibile che sia solo colpa della paura italiana, della diffidenza verso l’immigrazione?
«Vorrei ricordare a tutti che la massima parte dei cittadini romeni residenti ora in Italia rappresenta ottime e indispensabili badanti per i nostri anziani, bravi artigiani per le imprese edili, affidabili portieri di stabili propensi all’integrazione».

E i romeni «altri», allora, chi sono?
«Chi invece arriva carico di rabbia e tensione incarna l’incapacità di integrazione proprio perché arriva da una società disintegrata. Alcuni miei collaboratori sono andati recentemente in Romania e hanno analizzato una Nazione in cui i romeni sono quasi scomparsi e destinati alla fine demografica, sostituiti da altre etnìe. La società non ha più un’identità precisa. Quindi queste schegge di emarginazione tendono a organizzarsi in gruppi, in branchi».

Per quale motivo, professor De Rita?
«Perché il gruppo protegge il singolo nel momento in cui c’è una destrutturazione sociale. Vorrei ricordare il primo stupro di un branco in Italia, il famoso caso del Circeo nel 1975. Il meccanismo, nella sua diversità, era analogo: un gruppo di ricchi pariolini che si sono protetti a vicenda convinti com’erano di trovarsi al di fuori delle regole in un momento in cui la coesione sociale era fortemente in bilico…».

Fatto sta che uno stupro resta uno stupro, professore. E che certi episodi allarmano anche i più propensi all’integrazione.
«A me sembra che il peso di questi stupri venga drammatizzato. Vorrei ricordare che il Parlamento ha appena approvato una legge sullo stalking… a proposito, a chi è venuto in mente di usare una parola incomprensibile alla massima parte degli italiani?… E lo stalking, ovvero la molestia grave e ripetuta, riguarda quattro milioni di donne italiane. Se fossimo onesti dovremmo dire: dio, dio, dio! Allora siamo noi italiani, ricchi ed educatissimi, i veri stupratori e non quel gruppetto di romeni che fa notizia sulle prime pagine!».

Fatto sta che a Roma, per esempio, aumenta la sensazione di paura e la richiesta di sicurezza. Cosa suggerisce?
«Sia sotto il sindaco Veltroni che ora, con Alemanno, certe vicende sono state politicamente rimpallate e sfruttate. Fa parte del gioco delle parti. Ma alla fine cosa ci rimane in mano? Solo una esasperazione della paura e della rabbia. Che, in poco tempo, potrebbe portare a episodi di linciaggio».

Lei parla di linciaggio, professore. Viene da pensare alla folla che circondava i sei romeni appena arrestati a Guidonia.
«Ecco, anch’io penso a quella scena. Schierare sempre di più incolpevoli alpini e soldati per le strade o rincarare le pene non significa rassicurare ma, al contrario, alimentare la percezione di una grave insicurezza diffusa. Vuol dire de-responsabilizzare la società e affidare a qualcun altro, appunto l’esercito, un compito sostanzialmente impossibile in queste condizioni. È la certificazione della nostra incapacità di autocontrollo come società e realtà vitale ».

Ma torniamo alla questione del linciaggio, professore.
«Ecco, il pericolo è che al branco romeno si risponda con la formazione di un branco italiano, deciso a risolvere il problema col linciaggio del primo. Bel risultato, sul piano della convivenza e dell’integrazione dell’altro. Saremmo proprio alla frattura di qualsiasi coesione».

Sembra quasi che lei faccia poca differenza tra l’azione e la reazione. È così, professor De Rita?
«Ho appena letto la risposta data da un figlio stupratore al padre italiano che gli chiedeva perché non avesse pensato alle conseguenze del suo gesto: “La verità, papà, è che non ho proprio pensato”. È l’abdicazione della riflessione. La prova della società- mucillagine di cui parlavamo nel rapporto Censis dell’anno scorso. Cosa c’è di diverso dagli stupratori romeni? E cosa, in fondo, rispetto alla disgregazione della società romena?».

Corriere della Sera 1.2.09

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