partito democratico

«Voto disgiunto? No, grazie», di Stefano Ceccanti

Per capire il senso del voto dobbiamo anzitutto comprendere bene l’offerta politica di questa tornata elettorale per le Politiche. Viste le caratteristiche oggettive del sistema elettorale, belle o brutte che siano, ci sono solo due voti che oltre a determinare l’elezione di parlamentari servono per scegliere il Governo perché farebbero scattare i premi di maggioranza: il voto che va a sostegno della candidatura di Veltroni, una proposta nuova ed omogenea intorno a un programma, e quello che ripropone il replay della quinta candidatura di Berlusconi, intorno ai programmi eterogenei di Pdl, Lega e Mpa. È pertanto alquanto ovvio che chi ragiona in termini di “voto per il Governo” (concetto molto più chiaro di quello di “voto utile”) lo voglia dare congiunto, cioè identico, sia alla Camera sia al Senato. Alla fine il Presidente del Consiglio sarà Veltroni o Berlusconi: molto probabilmente, chiunque sia, con una maggioranza più ampia in seggi alla Camera e più ristretta al Senato.

Alla fine il Presidente del Consiglio sarà Veltroni o Berlusconi: molto probabilmente, chiunque sia, con una maggioranza più ampia in seggi alla Camera e più ristretta al Senato. Se anche si verificasse il non augurabile paradosso di maggioranze opposte tra i due rami del Parlamento, questo non determinerebbe affatto un potere di coalizione post-elettorale dei minori. Si accelererebbe piuttosto il ritorno al voto dopo una necessaria riforma, in cui sarebbe comunque non aggirabile il consenso di Pd e Pdl, perché ognuno in grado di bloccarla, avendo gli uni la maggioranza alla Camera e gli altri al Senato.

Le altre opzioni elettorali rispetto a Pd e Pdl sono quindi solo relative alla composizione del Parlamento, non a quella del Governo, ad avere alcuni seggi per testimoniare una identità minoritaria, dalla Sinistra Arcobaleno, all’Udc, alle forze ancora più piccole. Bertinotti e Casini saranno comunque minoranze parlamentari, non saranno alla base né della maggioranza di Governo né costituiranno la principale forza di opposizione, candidata al ricambio futuro. L’elettore incerto che va in quella direzione rinuncia a esprimere una scelta di Governo e indirettamente favorisce la scelta opposta: chi è incerto tra Pd e Sinistra Arcobaleno e vota quest’ultima, si astiene di fatto dalla scelta di Governo e favorisce l’affermazione di Berlusconi. Può piacere o non piacere, ma non è un invenzione di un commentatore, è la logica tipica di ogni sistema elettorale che non sia proporzionale puro. Non c’è dubbio, ad esempio, che l’esito delle elezioni spagnole sia stato largamente determinato da elettori incerti tra il Psoe e Izquierda Unida che hanno votato per il primo perché scegliere il secondo avrebbe favorito il “Pp”. Questo ragionamento del “voto di Governo”, cioé del voto “per Veltroni presidente” in alternativa all’unico reale candidato alla stessa carica, Berlusconi, vale per tutte e due le schede e sarebbe peraltro scorretto e poco sensato per dirigenti, iscritti ed elettori del Partito Democratico diffondere messaggi schizofrenici diversi da territorio a territorio, come se non fosse un’elezione politica nazionale e non ci fosse comunicazione oltre i confini regionali. Alcune persone che non sono dirigenti, iscritti ed elettori del Pd, e che quindi non hanno il necessario vincolo morale e politico di lealtà reciproca nel voto, ma che si collocano a cavallo tra Pd e Sinistra Arcobaleno, pur non negando che quella sia la regola, si pongono il problema di cosa fare al Senato nelle poche Regioni in cui la vittoria sarebbe sicura (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria).

Premesso che le certezze sino allo spoglio dei voti veri sono sempre soggette a dei margini di rischio, vale la pena segnalare ad essi tre questioni, cioè un giudizio di valore e due di fatto.

Quello di valore è che noi chiediamo a tutti gli elettori un voto per governare con Veltroni, non un voto contro un Governo Berlusconi e chiediamo quindi di approvare la nostra scelta di andare liberi con un programma omogeneo di Governo, non chiediamo agli elettori di ragionare in termini di desistenza, di artifici solo per impedire la vittoria altrui. Scelgano ovviamente gli elettori, ma sarebbe ben strano se proprio noi abbassassimo subito la soglia della richiesta: altrimenti non si capirebbe perché siamo andati liberi, perché abbiamo evitato forme di desistenza con liste civetta o altro.

I giudizi di fatto, spiegabili anche questi agli elettori, sono i seguenti: è vero che se il Pd vince in quelle Regioni con meno del 55% dei voti usufruisce del premio andando al 55% dei seggi e che il Pdl, se qualche forza minore supera l’8%, è costretto a spartirsi con queste ultime la torta del 45% restando danneggiato. Tuttavia è anche vero che se troppi elettori fanno quella scelta potrebbero paradossalmente e insperatamente far arrivare primo il Pdl: siete sicuri di voler correre il rischio di far vincere Berlusconi, anche solo nella vostra regione?

Infine: chi può escludere che lì il Pd possa andare oltre il 55% dei voti validi (al netto di quelli gettati per le forze che non raggiungono lo sbarramento) e quindi oltre il 55% dei seggi, senza aver bisogno del premio? In quel caso i seggi in più restano al vincitore. Perché privarsi di tale possibilità eleggendo i candidati che a ridosso di quelli sicuri si sono spesi nella campagna elettorale?

Queste sono le nostre ragioni congiunte per un voto anch’esso congiunto per il Governo Veltroni. Ovunque: Camera e Senato. Le risposte arrivano quando le ragioni sono esposte in modo convinto e chiaro.

L’Unità