partito democratico

Colpi di teatro

“Il governo sta andando avanti a colpi di teatro ma sulla sicurezza non sta facendo nulla di concreto”. Con queste parole il ministro dell’Interno del Governo ombra del PD Marco Minniti boccia senza mezzi termini la politica degli slogan messa in atto dall’esecutivo in materia di sicurezza. Il giudizio sul governo, i rimpianti per quanto il centrosinistra non è riuscito a fare in passato, le derive di destra delle ultime settimane, le politiche sull’immigrazione, la lotta alla mafia e alla criminalità organizzata. Tutto questo si mescola nella lunga e interessante intervista a Minniti, condotta dal giornalista de ‘La Stampa’ Fabio Martini in occasione della Festa Democratica di Firenze.

In verità si sarebbe dovuto trattare di un confronto tra l’esponente del PD e il ministro dell’Interno Roberto Maroni che ha dato forfait all’ultimo per problemi familiari. Ma tant’è. Il pubblico della sala dibattiti Giorgio La Pira, situata al centro della Fortezza da Basso di Firenze, alla fine non rimarrà deluso. L’intervista di Martini sarà profonda ed incalzante, e le analisi di Minniti – appassionate e lucide allo stesso tempo – finiranno per soddisfare il pubblico democratico.

Si parte – e non poteva essere altrimenti – dall’atteggiamento assunto dalla destra, prima in campagna elettorale e poi al governo, riguardo al tema della sicurezza. Un punto sul quale Berlusconi e soci hanno alimentato una vera e propria strategia della paura, diffondendo inquietudine tra i cittadini per poi cavalcarla senza scrupoli. Senza contare che i dati sul numero di delitti commessi in Italia nell’ultimo anno parlano di un trend in netta diminuzione, come fa notare Martini. “La destra – afferma Minniti – sta mettendo in campo la politica del colpo di teatro, ma finora non ho ancora visto una cosa vera in materia di sicurezza”.

Ciò che di concreto è stato messo in campo è il risultato di un piano – l’ormai celebre ‘pacchetto sicurezza’ – preparato dal centrosinistra e approvato dalla destra non appena salita al governo. In questo senso, l’ex viceministro dell’Interno non nasconde il suo rimpianto: “Avevamo fatto un tentativo inedito nella storia repubblicana, volevamo mettere in campo la strategia del centrosinistra in materia di sicurezza per sfatare il luogo comune (falso) che la destra sia più brava sulle politiche per la sicurezza”. La storia, in questo caso, non fu favorevole. Il governo dell’Unione non riuscì ad approvare il ‘pacchetto’ per le avversioni della sinistra radicale e poco dopo cadde per le ormai insanabili lacerazioni interne.

Mesi dopo, la beffa. “La destra ha preso il pacchetto a firma Prodi, Amato, Minniti e l’ha letteralmente copiato, a partire dal famoso decreto che conferisce più poteri ai sindaci”. Copiato al 90%, perché l’azione del governo Berlusconi non si è fermata al clone del pacchetto. E qui, invertendo i termini del famoso detto, verrebbe da dire, ‘oltre alla beffa, il danno’. Si perché la politica dei colpi di teatro sta degenerando in “derive di destra e autoritarie” che nulla hanno a che fare con la sicurezza. “Noi – spiega Minniti – siamo d’accordo nel conferire più potere ai sindaci, a patto naturalmente che questo venga utilizzato con intelligenza. Ci sono temi, come l’integrazione sociale, l’accoglienza, lo sviluppo urbanistico che non possono competere solo al Viminale”.

Non siamo d’accordo invece “sul reato d’immigrazione clandestina, sul prendere le impronte a minori rom, sull’esercito nelle strade”. A questo proposito, Minniti attacca senza mezzi termini il governo, specie quando Martini fa notare che i tremila militari di cui si è parlato, in realtà, si riducono a 925 ch operano in contemporanea. “Il problema – sottolinea il ministro ombra dell’Interno – non sono i militari invisibili ma il messaggio sbagliato che questa operazione d’immagine trasmette: l’idea che vi sia una situazione fuori controllo in Italia”. Minniti cita l’esempio di Londra, dove dall’inizio dell’anno sono morti 24 ragazzi uccisi tra di loro all’arma bianca: “Se succedesse in Italia cosa faremmo? Chiameremmo la Nato?”.

Un’operazione demagogica e pericolosa, che, come la maggior parte delle prime misure adottate da questo governo, nasconde un grande bluff. “Mentre si manda l’esercito nelle strade, si tagliano i fondi a forze dell’ordine e polizia per un valore attorno a 3,4 miliardi di euro. Avremo nelle città italiane un migliaio di militari in più per sei mesi od un anno, e nel frattempo avremo diecimila poliziotti in meno per i prossimi tre anni”.

Populismo, strumentalizzazioni, sciacallaggio, inadeguatezza. Di tutto questo la storia della destra sulla sicurezza. E l’ultima dimostrazione l’abbiamo avuta in occasione del dramma di due turisti olandesi aggrediti, derubati e violentati alle porte di Roma. Occasione nella quale il sindaco di An Gianni Alemanno ha parlato di “turisti incauti”, ventilando l’ipotesi del concorso di colpa. “Alemanno ha perso il lume della ragione”, dice Minniti, che invita tutti a non strumentalizzare su temi delicati come quelli della sicurezza dei cittadini. “Il ministro Maroni dice che l’omicidio Reggiani (la donna violentata e uccisa a Roma lo scorso anno da un cittadino rumeno) non ci sarebbe stato se ci fosse stato l’esercito nelle strade? Alla stazione de La Storta (dove fu commesso il delitto) oggi non ci sono militari e tutto è rimasto com’era. Le bugie hanno le gambe corte”.

Quando si parla di sicurezza, d’altronde non si può non parlare di immigrazione. A questo proposito Minniti giudica strategicamente positivo l’accordo raggiunto in questi giorni tra il governo italiano e quello libico (“accordo tra l’altro già raggiunto dal governo Prodi, ma che ora, per avere Calderoli come ministro, è costato ai cittadini 5 miliardi di dollari”), anche se pensa che “non tutti i flussi migratori verso il nostro Paese siano in mano alla Libia”. Secondo l’esponente democratico, la partita dell’Occidente in materia di immigrazione si gioca tutta sul tema della “cooperazione per lo sviluppo” dei paesi produttori di immigrazione perché “dobbiamo creare le condizioni per cui un cittadino di quei paesi non sia disposto a morire in mare durante il viaggio verso l’Italia pur di scappare dal posto in cui vive e in cui sa di non avere un futuro”. Il governo invece che fa? “Taglia i fondi per la cooperazione stanziati dal governo Prodi. Anche negli USA – osserva Minniti – stanno capendo che vanno investite meno risorse nella guerra e più risorse per lo sviluppo dei popoli”.

Per concludere l’intervista non si poteva non parlare del problema della mafia. Minniti, segretario del PD calabrese da sempre impegnato nella battaglia contro la criminalità organizzata, parla chiaro. “Oggi è possibile dare un colpo definitivo alla mafia e alla ‘ndrangheta perché sono molto indebolite”, ma nessuna soluzione duratura si può trovare se prima non “si affronta il tema del rapporto tra mafia e politica”. A proposito del teorema tanto diffuso al sud per cui ‘la mafia vota e fa votare’, tornano alla mente le parole pronunciate da Walter Veltroni in campagna elettorale in Sicilia, in Calabria, in Campania, in Puglia: “La mafia decida per chi votare ma non voti Partito Democratico perché noi le faremo la guerra, noi la vogliamo annientare”. Più tardi, alcune intercettazioni telefoniche tra esponenti di spicco della malavita calabrese rivelarono che il messaggio era arrivato, forte e chiaro. “Sono orgoglioso – dice Minniti – di stare in partito che parla in questi termini, che vuole recidere il potere mafioso. Sarebbe bene che tutti lo facessero”. Certo che, conclude, “se persone come Mangano, lo stalliere di Arcore, vengono portate come esempi di eroe civile, Falcone e Borsellino che sono?”. Evidentemente non tutte le forze politiche di questo paese hanno ancora compreso la portata epocale della battaglia contro la mafia.

Articolo e foto di Stefano Cagelli
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