attualità, politica italiana

"Quei rapporti malsani fra politica e istituzioni", di Stefano Rodotà

Cogliamo quasi ogni giorno i frutti avvelenati di una ormai troppo lunga stagione di rapporti malsani tra politica e istituzioni. È una storia che non può essere identificata solo con il tempo del berlusconismo, e che ha molti attori. Picconatori, cultori delle spallate referendarie, riformatori inconsapevoli degli effetti “di sistema” delle loro iniziative, idolatri di un bipolarismo contemplato senza tener conto della crescente personalizzazione della politica e del ruolo determinante giocato dal sistema dell´informazione… È una storia destinata ad accompagnarci ancora se si continuerà a parlare molto di riforme istituzionali da fare e si rifletterà poco sugli effetti di quelle fatte. E l´accelerarsi della crisi rende più urgente la riflessione su questi problemi, che sarà più libera se si scioglierà il nodo della riforma elettorale.
Qualche sprazzo di consapevolezza si è appena manifestato, tra mille prudenze e imputando ogni male alla “porcata” elettorale, ma cominciando comunque a registrare l´impossibilità di continuare a vivere nell´attuale forma del bipolarismo aggressivo. Se non è l´ammissione di un fallimento, è qualcosa che gli assomiglia molto. E tuttavia si tratta di analisi ancora inadeguate e che rischiano di riprodurre i vizi del passato, visto che sono condotte in chiave assai politologica e poco storico-politica. Non si tratta di contrapporre modello a modello, ma di andare a fondo nei processi reali che hanno portato a quella che, con formula assai ambigua, viene chiamata “Seconda Repubblica”.
Non è una storia lineare. Anzi, in un momento decisivo, conosce uno spettacolare rovesciamento. Nella lunga transizione italiana, già prima della caduta del Muro, si era pensato che alla crescente debolezza della politica si potesse supplire trasformando integralmente la questione politica in questione istituzionale. In questo modo la politica cercava di allontanare le responsabilità sue proprie. Non nella politica, ma nelle istituzioni era il problema: sì che, modificate queste, ogni questione sarebbe stata risolta. In uno slancio fideistico, si affidava alla riforma istituzionale una palingenesi politica – la stabilità dei governi, l´efficacia della decisione, la fine della frammentazione partitica, la scomparsa della corruzione.
Al riparo di questa rimozione, la politica si consegnava all´”ingegneria costituzionale”, abbandonando così una visione d´insieme che avrebbe avuto bisogno d´un vero rinnovamento culturale. Da qui le difficoltà nell´approdare a qualche soluzione condivisa e il nascere della tentazione delle “spallate”. Fu, questa, la stagione dei referendum elettorali, aperta dall´eliminazione delle preferenze e approdata all´abbandono del sistema proporzionale. Ma nulla si fece poi sulla via degli indispensabili aggiustamenti di un sistema costituzionale che aveva nella sua filigrana proprio una legge elettorale proporzionale, e che su questa premessa aveva costruito suoi essenziali equilibri. E si chiusero gli occhi sui rapporti tra queste novità e la nuova funzione politica del sistema dei media, evidente già prima che s´incarnasse nel proprietario della Fininvest.
Saltati gli equilibri costituzionali, con la crisi politica che precipitava nella scomparsa di partiti storici al tempo di Tangentopoli, la transizione italiana cambiava volto, e con essa si capovolgeva il rapporto tra politica e istituzioni. Si esauriva la delega all´ingegneria costituzionale. Nel deserto istituzionale, nato dal riduzionismo elettorale, si creavano le condizioni per il ritorno di una politica affrancata non tanto dai “riti” della Prima Repubblica, ma da contrappesi e controlli necessari per l´esercizio democratico del potere. Sì che il bipolarismo all´italiana non seguiva i ritmi e le regole proprie di un sistema dove l´alternarsi di partiti e coalizioni si realizza sul terreno della diversità dei programmi, Si esauriva, invece, nel modo d´intendere l´esercizio del potere. Il berlusconismo trovava la sua forma nell´esasperare l´ostilità a controlli, pesi e contrappesi, nel portare a conseguenze estreme decisionismo e personalizzazione del potere. Nasce proprio da qui, dall´irriducibilità a un denominatore comune delle diverse forze in campo, l´asprezza distruttiva del bipolarismo. Con due ulteriori conseguenze, una spiccatamente istituzionale, l´altra più immediatamente politica.
Alterato nel suo complesso il sistema delle garanzie e dei controlli, questa ineliminabile funzione democratica si è concentrata, da una parte, nella Presidenza della Repubblica e nella Corte costituzionale; e, dall´altra, nella magistratura e nell´informazione. Sono queste, oggi, le frontiere della democrazia: e, come sempre accade alle istituzioni di frontiera, sempre soggette a tensioni, a tentativi di sfondamento da parte di chi vuole istituire un potere autocratico, utilizzando anche la categoria della “costituzione materiale”, di cui non dovrebbe essere dimenticato l´originario obiettivo, appunto la legittimazione di ambigui poteri di fatto. Tutto questo produce anche paradossi, come quello riguardante il nostro bicameralismo perfetto, del quale giustamente si reclama l´abbandono, ma che in questa stagione difficile ha avuto la benefica funzione di bloccare pericolosi colpi di mano grazie alla navette tra le due camere. Peraltro – ed è la seconda conseguenza – nessuna delle promesse del bicameralismo è stata realizzata: il sistema politico si decompone, la corruzione è regola, la formale stabilità governativa non ha prodotto efficienza. E la regressione culturale cancella la condizione di base d´ogni buona politica.
Da qui bisogna ripartire, perché le stesse questioni oggi più discusse, riforma elettorale in testa, esigono la costruzione di un diverso ambiente nel quale le persone possano riconoscersi e ritrovare il senso politico delle grandi questioni. Non un sogno da vendere, ma una cultura da costruire, capace di dare anche alle vecchie parole il senso adeguato ai tempi mutati. La forza delle cose ci indica quali siano le questioni da affrontare. Lavoro e istruzione non solo come diritti, ma come condizione della libertà. Laicità come autonomia. Cittadinanza come pienezza dei diritti d´ogni persona. Legalità costituzionale come effettivo equilibrio tra i poteri e funzionalità dei controlli formali e informali. Europa come dimensione quotidiana. Istituzioni dell´economia non risolte nella pura delega al mercato. Essenzialità dei legami sociali e riconoscimento dell´altro. Consapevolezza di una nuova antropologia delle persone, immerse nel flusso della tecnoscienza e proprio per questo bisognose di un più forte diritto all´autodeterminazione. Sguardo su un futuro che è già presente, che si chiama mondo globale, beni comuni, informazione liberata, Internet, accesso alla conoscenza, e così ci trasmette una nuova idea di eguaglianza.
Qui si costruisce l´agenda politica, non solo dell´opposizione, anche se proprio affrontando chiaramente questi temi l´opposizione può promuovere un rinnovamento culturale, trovare una identità percepibile e, con essa, un consenso finalmente convinto.

La Repubblica 14.09.10