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Più Bibbia a scuola

È facile prendersela con la Gelmini, e lei non ci fa mancare certo gli spunti. A volte però rischiamo di infervorarci inutilmente anche le rare volte che dice qualcosa di ragionevole. Persino l’orologio fermo, si sa, dice la verità almeno una o due volte al giorno. Il Ministro Gelmini potrebbe anche avere la competenza di un orologio scarico, ma se chiede che a scuola si studi la Bibbia non è che possiamo stracciarci le vesti e fingere che la richiesta sia insensata. Perché mai non si dovrebbe studiare la Bibbia a scuola? Sul serio, perché l’Odissea sì, l’Eneide sì, la Commedia dantesca sì… e la Bibbia no? È un testo meno importante? Si stenta un po’ a crederlo.

In questa battaglia per portare Antico e Nuovo Testamento nella scuola, Maria Stella Gelmini è in buona compagnia. In calce alla petizione dell’Associazione “Biblia” ci sono fra le altre le firme di Claudio Magris, Tullio De Mauro, Umberto Eco, Amos Luzzatto, Margherita Hack. A occhio non ha l’aria di una lobby di integralisti cattolici. Forse dobbiamo intenderci su cosa significhi “studiare la Bibbia a scuola”.

Per i leghisti si tratta di portare negli istituti pubblici un altro simbolo identitario, accanto al crocefisso e al sole delle Alpi (quest’ultimo un po’ pagano, ma fa l’istess). In quanto simbolo, non credo che abbiano nessuna intenzione di aprirlo, col rischio di scoprire che racconta la saga di un popolo terrone e sfaticato che per non costruire le piramidi d’Egitto, fugge al di là del Mar Rosso e si dà al nomadismo. Una storia di zingari, figurati. Non è certo quello a cui pensa Zaia quando dice che ha già trovato “un imprenditore disponibile a stamparle in breve tempo”. A proposito: quanto è costato tappezzare le scuole coi Soli delle alpi? Quanto costerà ficcare nell’armadietto di ogni scuola un altro librone che prenderà polvere insieme ai dizionari? Tanto paga il popolo somaro. La Bibbia in ogni scuola, per i leghisti, è un affare come un altro.

Per gli intellettuali, la Bibbia a scuola è una garanzia di laicità. Significa che il Libro dei Libri si può studiare, analizzare e smontare. Proprio quello che la Chiesa cattolica ha sempre preferito evitare: e del resto, se c’è qualcuno in Italia che ha ostacolato la diffusione della Bibbia è stata proprio la Chiesa, dalla Controriforma in poi. Per molto tempo le traduzioni si sono ritrovate addirittura all’indice dei libri proibiti. Ancora oggi a catechismo non si studia la Bibbia (si studia il Catechismo). Le gerarchie cattoliche sanno bene quanto sia potenzialmente pericoloso lo studio di quel libro. Solo chi lo ha sfogliato appena può riempirsi la bocca di parole come “cultura” o “identità”. Studiare la Bibbia è immergersi in un mondo e in una cultura radicalmente diversi dai nostri. È impossibile non diventare un po’ antropologi, un po’ filologi, un po’ studiosi della religione, mentre si sfoglia un libro che dispensa contraddizioni e ambiguità a ogni pagina. Dovremmo privarci di questa possibilità per scongiurare il rischio che qualche insegnante la usi per fare propaganda religiosa? Per lo stesso motivo dovremmo bandire dai programmi scolastici tutte le opere letterarie che possono essere usate allo stesso scopo. La divina Commedia, la Gerusalemme liberata, i Promessi sposi… tutte opere in fondo più cattoliche della stessa Bibbia. Dovremmo privarcene?

Nel frattempo, la Bibbia a scuola c’è già. Posso testimoniare che nei libri di testo di prima media (pardon, “secondaria di primo grado”) si trova sempre qualche pagina biblica, nella sezione “mito”. Di solito si tratta della Creazione e del Diluvio (spesso messi in confronto con miti analoghi di altre culture). A volte c’è anche la leggenda di Sansone, primo kamikaze integralista della Storia. Tre pagine sono poche? Sono tante? Anche l’epopea di Gilgamesh occupa più o meno lo stesso spazio. È una storia lontanissima dalla nostra cultura e identità, che nessuno ha più letto per millenni. La Bibbia ha avuto più fortuna, e forse meriterebbe più spazio sui nostri manuali. Ma a danno di chi?

Perché il vero problema è questo. Ogni volta che un Ministro spiega ai giornali che a scuola bisognerebbe studiare la Bibbia, o le foibe, o l’amore per gli animali, dà l’impressione di considerare i programmi scolastici come un involucro vuoto che si può riempire a piacere. Bisognerebbe una volta tanto avere il coraggio di spiegare cosa dobbiamo togliere dai programmi, per farci entrare la Bibbia (o le foibe, o gli animali). A meno che il Ministro non voglia allungarci l’orario scolastico… ma no, la tendenza è quella di aggiungere carne al fuoco e tagliare il combustibile. Vogliono più inglese, e ci tolgono i pomeriggi. Vogliono più internet, ma non ci danno un’ora in più. Vogliono che si studi la Bibbia, che è un testo letterario: e intanto tolgono lezioni agli insegnanti di italiano. Vogliono tutto, non danno nulla. Soltanto qualche gadget ogni tanto; quest’anno, un librone stampato da un imprenditore che conosce Zaia. Se lo apri verso la fine c’è scritto: “Gli scribi e i farisei siedono sulla cattedra di Mosè. Fate dunque e osservate tutte le cose che vi diranno, ma non fate secondo le loro opere; perché dicono e non fanno”. (Matteo 23,2).

da http://leonardo.blogspot.com