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"Famiglie, indietro tutta. Reddito diminuito del 2,7%", di Marco Ventimiglia

Il 2009 è periodo recentissimo,ma presi dalle incombenze quotidiane si finisce spesso per dimenticare qualche cosa di importante. Ed allora, di fronte alle cifre mostrate ieri dall’Istat che lo certificano come un anno infausto dell’economia nazionale, sarà bene riportare alla mente il volto che, in quel 2009, esibiva Silvio Berlusconi. Non è una gran fatica, perché si tratta esattamente della stessa faccia che va in onda adesso per negare l’esistenza delle notti di Arcore, solo che allora l’oggetto del diniego era un altro: la crisi. Per il presidente del Consiglio, ed a ruota il governo tutto, semplicemente non esisteva, il solito inganno mediatico mentre le fondamenta dell’economia nazionale erano molto migliori di tante altre nazioni europee. Parole, certifica ora l’Istituto di statistica, che riempivano l’etere mentre gli italiani stavano conoscendo la più significativa contrazione del loro reddito da decenni a questa parte… Dunque, i numeri dell’Istat dicono innanzitutto che nel 2009, per la prima volta in 15 anni, il reddito disponibile è diminuito. E nonsi è trattato di una flessione di qualche decimale di punto, peraltro già di per sé significativa, ma di un autentico crollo. La contrazione del reddito è stata infatti del 2,7%, una drammatica inversione di tendenza se si pensa che nel 2006, cioè prima dell’ esplosione della crisi finanziaria, si era invece registrata una crescita del 3,5%.

DIFFERENZE GEOGRAFICHE Ma l’indagine statistica entra anche nel merito geografico, evidenziando ancora una volta le differenti dinamiche delle principali zone del Paese, anche se stavolta i più colpiti sono stati i cittadini delle regioni settentrionali, dove si produce più della metà del reddito nazionale, mentre nel Meridione si è contenuto maggiormente il danno. In particolare, l’impatto del calo del reddito è stato più forte al Nord (-4,1% nel Nord-ovest e -3,4% nel Nord-est) e più contenuto al Centro (-1,8%) e, appunto, nel Mezzogiorno (-1,2%). Una diminuzione che, in generale, va attribuita essenzialmente alla marcata contrazione dei redditi da capitale, anche se, in alcune regioni (in particolare Piemonte e Abruzzo), un importante contributo negativo è venuto dal rallentamento dei redditi da lavoro dipendente. Ed ancora, tra le varie regioni, Calabria e Sicilia sono le uniche due in cui il reddito disponibile delle famiglie ha mostrato tassi di crescita lievemente positivi. Una diversa incidenza che però non cancella gli squlibri di base: nel periodo 2006-2009 il reddito disponibile si è concentrato, in media, per circa il 53% nelle regioni del Nord, per il 26% circa al Sud ed il restante 21% nel Centro.

REAZIONI ALLARMATE Molto preoccupate, e non poteva essere altrimenti, le reazioni. Per Susanna Camusso, i dati dell’Istat confermano «che la crisi, benché negata, è profonda e non è affatto finita». Il segretario della Cgil sottolinea che «il governo ha fatto e continua a fare male». Il presidente delle Acli, Andrea Olivero, parla di «famiglie ormai schiacciate per le quali occorre intervenire urgentemente », mettendo inoltre in evidenza «la percezione di una progressiva erosione dei redditi a fronte di una contemporanea contrazione dei servizi pubblici». In questo quadro non stupisce, purtroppo, quanto rilevato dalla Confederazione italiana agricoltori: sempre nel 2009 una famiglia su tre è stata obbligata a «tagliare» gli acquisti alimentari, mentre tre su cinque hanno dovuto modificare il menù quotidiano e oltre il 30 per cento, proprio a causa delle difficoltà economiche, ha comprato prodotti di qualità inferiore. «Ancora una volta emerge l’assoluta incapacità del governo di intervenire sul ceto medio – ha dichiarato il deputato del Pd Enrico Farinone, vicepresidente della Commissione Affari Europei -. I consumi sono in calo perché le famiglie non sono state aiutate con adeguati interventi sui redditi».

L’Unità 03.02.11

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«Scivoliamo in basso Più poveri e con una peggiore qualità della vita», Intervista a Chiara Saraceno di Laura Matteucci

Il segno del nord che soffre è una spia socio-economica molto importante. Se nel sud non si è registrato un peggioramento non è certo perchè sta bene: non è lì che si è perso il lavoro, perchè già non c’era, e non si sono erosi risparmi e capitali, perchè non c’è ricchezza diffusa». Un allineamento verso il basso? «Esatto. Il centro-nord resta comunque più ricco e conmeno disoccupazione, mala perdita è notevole. Non sono dati soprendenti: la crisi ha colpito soprattutto in Piemonte, con un calo del reddito da lavoro, e in Lombardia, dove è in flessione il reddito da capitale». La sociologa Chiara Saraceno, dal suo osservatorio di Berlino, dove da anni è impegnata all’Istituto di ricerca sociale, commenta gli ultimi dati sul calo del reddito degli italiani nel 2009: 2,7% di media che contiene il -4,1% del nord-ovest e il -1,2% del sud. Ma il dato più drammatico, ricorda, resta quello sulla disoccupazione giovanile, «un problema enorme, e certo non solo economico». I dati si riferiscono al2009,mail2010 non ha certo invertito la tendenza. «Direi di no. Il fatto è che nel 2008 sembrava che tutto ancora tenesse, la crisi non aveva ancora lasciato il segno. Ma nel 2009 ha colpito eccome, e gli indicatori del 2010 su cassa integrazione e occupazione non ci parlano affatto di una ripresa. In Germania c’è un contenimento dei redditi, una flessione dei consumi, ma l’occupazione è in aumento. In Italia invece si sommano due fenomeni: da un lato la cig resta sì protettiva – anzi, sarebbe urgente una riforma estensiva degli ammortizzatori sociali – ma significa comunque una perdita di reddito, tanto più se prolungata. Secondo punto, il problema dei giovani, i primi insieme alle donne a perdere i contratti precari che avevano. Sono stati i primi a perdere il lavoro, e saranno gli ultimi a riaverlo. Questa è una generazione a rischio, costretta a farsi mantenere dalle famiglie di origine, se possibile, molto più a lungo di quanto vorrebbe. Il ministro Sacconi parla di proteggere il reddito delle famiglie, ma questo non si fa solo con interventi sul fisco, si fa aumentando i percettori. In ultima analisi, creando lavoro. Questo dei giovani privati della loro autonomia, che non è solo un problema economico, è l’indicatore più drammatico, anche perchè non è certo al primo posto nell’agenda di governo». Sacconi esorta ad accettare qualsiasi occupazione. «Ma anche per fare il falegname ci vuole formazione, che invece in Italia non esiste. Il lavoro manuale va benissimo, ma il punto è che ogni vocazione dovrebbe incontrare una scelta formativa adeguata. E questo significa investimenti ingenti, dall’asilo in poi. Non dimentichiamo, peraltro, che l’Italia continua ad avere una formazione medio-bassa, e se perdiamo anche questo treno, se non costruiamo lavoratori qualificati, rimarremo sempre indietro in termini di competitività rispetto agli altri Paesi». Non resta nemmeno la speranza di andare all’estero? «Non può certo essere l’unica, posto tra l’altro che non tutti possono permetterselo. Questo drammadei giovani è legato alla formazione, dove non si fa che tagliare, ma anche al mondo imprenditoriale, che nulla investe nella forza lavoro e nemmeno in ricerca e innovazione. Un ingegnere in Italia prende molto meno di un suo omologo in Germania». Che paese ci avviamo a diventare? Sempre più povero e più diseguale? «Le famiglie hanno ancora riserve di ricchezza,ma fino a quando? Scivoliamo sempre più in basso, e non staremo affatto bene, perché non abbiamo una buona qualità della vita, in termini di relazioni personali e nemmeno con l’ambiente. Si aspetta a metter su famiglia, a comprare il frigo o l’auto nuova, il che certo non aiuta la ripresa. Ai giovani dico: pensate a voi stessi, non aspettatevi niente dal governo in termini di formazione e di sostegni a forme imprenditoriali. Il vostro destino dipende in larga misura da voi».

L’Unità 03.02.11