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"Basta stereotipi, difendiamo la dignità", lettera della giornaliste del Sole 24 Ore

Caro direttore,
ti scriviamo per prendere nettamente le distanze dal fondo del giornale di domenica 13 febbraio che, a cominciare dal titolo “Sciarpe e mutande e in mezzo il niente”, riteniamo cerchiobottista, qualunquista e soprattutto offensivo di quanti/e non solo domenica, ma nella quotidianità della propria vita, difendono non a parole, ma con i fatti, la dignità della persona, del lavoro, della politica e di un’etica della responsabilità divenuta ormai rara. Prendiamo le distanze da chi si permette di dubitare persino che esista un’idea o un pensiero forte dietro la rivendicazione del rispetto e della dignità della persona e non ha altri argomenti da offrire se non gli stereotipi del “sotto il vestito niente”, del “mettete dei fiori nei vostri cannoni”, dell’eskimo degli anni 70.
Non si tratta di essere pro o contro Ferrara, pro o contro le donne che scendono in piazza, ma di abbandonare pregiudizi, stereotipi, qualunquismi, per prendere una posizione. Trasparente, laica. Un giornale che ha la pretesa di essere leader proprio sul fronte delle idee non dovrebbe rinunciare ad averne una, precisa e riconoscibile, in un momento così difficile per il paese. Né può pensare di continuare a irridere la piazza (altro stereotipo) e i simboli che la rappresentano, piuttosto che ascoltare la voce di chi vi partecipa. La storia, anche recentissima, dimostra che questo è un atteggiamento miope, politicamente e culturalmente.
Le migliaia di persone presenti in piazza domenica hanno da dire molto di più di quanto spesso si legge in intere pagine di giornale, e non meritano di essere etichettate a priori come “il niente”. Per noi, che di mestiere facciamo i giornalisti e in questo mestiere continuiamo a credere, c’è infatti una regola fondamentale e inderogabile, che è quella di commentare i fatti solo dopo esserne stati testimoni, diretti o indiretti, non prima che i fatti siano accaduti, com’è successo in questo caso. E poiché riteniamo che la giornata di domenica non sia stata una mera esibizione narcisistica, che gli slogan non sono – come si legge nel fondo – “un po’ vuoti” e che non è vero che dietro i cortei ci sia solo “una guerra di trincea”, ti chiediamo la pubblicazione di questa nostra lettera.

Donatella Stasio, Barbara Fiammeri, Celestina Dominelli, Anna Del Freo, Francesca Padula, Laura Serafini, Antonella Olivieri, Francesca Cerati, Cristina Casadei, Rossella Cadeo, Eliana Di Caro, Sissi Bellomo, Antonella Scott, Antonella Moro, Federica Micardi, Franca Deponti, Micaela Cappellini, Mariolina Sesto, Silvia Sperandio, Rosalba Reggio, Chiara Bussi, Laura Cavestri, Alessia Maccaferri, Nicoletta Cottone, Chiara Somajni, Lara Ricci, Francesca Barbiero, Anna Maria Luccarini, Francesca Barbieri, Valentina Maglione, Lucilla Incorvati, Federica Pezzatti, Cristina Battocletti, Ilaria Vesentini, Elena Ragusin, Mara Monti, Filomena Greco, Paola Dezza.

Il Sole 24 Ore 15.02.11

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«La prima volta tutta al femminile», di Maria Luisa Colledani

«Se questo è il risultato di venti giorni di lavoro, chissà che cosa si potrebbe costruire in un’intera legislatura». È l’interrogativo che resta a Francesca Izzo, una delle promotrici della manifestazione che domenica ha portato le donne nelle strade d’Italia e del mondo, da Roma a New York.

Hanno lavorato tre settimane all’associazione “Di nuovo”, donne diverse per provenienza, professione, estrazione e hanno scoperchiato un sentimento profondo che attraversa l’altra metà del cielo: «Sul palco, con quella fiumana femminile davanti – continua Izzo – ho capito che ci sono un sentimento comune, problemi e bisogni di tutte che vanno oltre la vicenda Ruby».
La voce di Francesca Izzo, docente di Storia delle dottrine politiche all’Orientale di Napoli, è pacata, i picchi li lascia alle emozioni: «L’Italia ha visto una mobilitazione di popolo guidata dalle donne, come non era mai successo nella storia repubblicana: non pretendiamo di risolvere i problemi del paese ma i cortei di domenica dicono che le difficoltà esistono e che si possono risolvere solo se le voci diventano una». Ai piedi del palco di piazza del Popolo le ragazze erano migliaia: «Le ho trovate bellissime – continua la docente – perché, per la prima volta nella loro vita, hanno capito che non porta lontano l’individualismo in cui sono cresciute, ma sono la forza comune, l’essere un’unica anima a saper superare il degrado anche materiale che caratterizza la condizione femminile in Italia». Senza la faziosità di cui ha parlato il presidente Berlusconi: «Non ci sono stati attacchi, non ci sono state parole scomposte. Se il premier definisce faziosa la manifestazione significa che non conosce il paese che guida: domenica le donne hanno solo detto ciò che hanno dentro».

Tanta energia va canalizzata, non deve rimanere un fuoco fatuo: «Ora la responsabilità è grande, anche se non ci vogliamo sostituire alla politica: il prossimo appuntamento è per l’8 marzo e lavoriamo agli stati generali delle donne aperti pure agli uomini». Questo è il vivere insieme: «La politica apre il cuore, costruisce, include, allarga, coinvolge mentre il volto odierno dell’Italia è un volto maschile ostile, chiuso, oppresso, che vivacchia di pigrizie intellettuali. Ancor più appariscente se si guarda il nostro paese da lontano».
Ma sotto c’è una ricchezza carsica e silenziosa, che ha portato le donne in piazza: «È il momento di mettere insieme i pezzi del puzzle – conclude Francesca Izzo -, è il momento del coraggio». Se non ora, quando?

Il Sole 24 Ore 15.02.11