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«Presto l’Europa ci chiederà il conto E il governo cadrà», intervista a Vincenzo Visco di Bianca Di Giovanni

Silvio Berlusconi resta. Così almeno dichiara «a reti unificate». Per l’Italia si prospetta un futuro di estenuanti mediazioni parlamentari. In questa situazione, dove andrà l’economia? Quanto costerà al Paese il declino del centrodestra? Secondo Vincenzo Visco il Paese sta pagando già da un decennio le scelte sbagliate di una destra miope, che «non ha capito i problemi veri del Paese, qui siamo di fronte a una crisi di sistema, politici e economico». Così l’ex ministro, che parla di «Paese senza futuro, che si sta mangiando il passato».
Quanto resta ancora da «mangiare»? Chiediamo.
«Mah, dopo il Rinascimento l’Italia ci ha messo un secolo per consumare la ricchezza accumulata, nel ‘500 eravamo i più ricchi del mondo. Oggi le cose vanno più in fretta, ma è difficile dire quando si arriverà al fondo». Presto però l’europa chiederà il conto.
Cosa accadrà?
Bella domanda. A quel punto penso che faranno come hanno già fatto con le pensioni. Ci sarà la crisi di governo, e lasceranno il conto da pagare a chi viene dopo».
Torniamo a oggi, a Berlusconi costretto a cercare voti in Parlamento.
«È una cosa che sa fare molto bene: si è visto come da minoranza è riuscito a diventare maggioranza. Prevedo che ci saranno più voti di fiducia, più decreti. Ma non è che finora abbiano governato diversamente.
Comunque, in tutto il mondo si può governare anche con un voto di vantaggio. Il problema da noi è un altro: qui siamo di fronte a una crisi di sistema e dell’economia molto seria, e loro fanno finta di non
vederlo. Il problema non è quest’anno, ma quello che hanno fatto negli ultimi dieci anni, con una visione sbagliata dei problemi del Paese».
In che senso sbagliata.Qual è stata la formula?
«In sostanza c’è stata una spinta verso il lassismo e la finanziarizzazione. Ricordiamo le misure: abolizione del falso in bilancio, condoni, abolizione della dit in favore della detassazione delle plusvalenze delle holding, la finanza creativa, la tassazione dei redditi da capitale più bassa di quelli da lavoro, l’abolizione dei crediti d’imposta automatici. Tutto questo partendo dall’idea che allentando le regole l’economia riparte, un’idea che riaffiora anche oggi con la riforma dell’articolo 41 della Costituzione. Ma non è così: il liberismo non è che ognuno può fare quello che vuole. È l’esatto contrario. Insomma, c’è un misto di inconsapevolezza, malafede e visione non corretta
dell’economia».
Il governo continua a dire che abbiamo
affrontato la crisi meglio di altri.
«Già è tanto che cominciano a riconoscere che la crisi c’è – finora per Berlusconi non c’era – e anche che c’è il debito. Di fronte alla crisi si doveva approfittare per chiamare il paese a raccolta, creando condivisione. Invece loro hanno puntato alla divisione, sia delle opposizioni che del sindacato.
Questo ha indebolito i cittadini: siamo tornati al reddito pro capite del ‘99, a più di 10 anni fa, le famiglie sono impoverite, i giovani non hanno lavoro. La verità è che ci vorrebbe una mobilitazione eccezionale di forze consapevoli».
Come mai non c’è?
«Questo non funziona con Berlusconi, perché c’è la manipolazione della consapevolezza. Il Paese è depresso e rassegnato, perché ritiene che questa sia l’unica opzione possibile. Perché emerga la consapevolezza dei problemi veri serve coraggio: bisogna dire cose scomode, che fanno male proprio alla base del centrodestra.
Ma il coraggio non c’è perché dire la verità, oggi, espone ad attacchi furibondi. Loro sono sempre alla ricerca di un nemico da attaccare». Il premier dice che ora, senza Fini, potrà finalmente fare le liberalizzazioni perché se ne sono andati gli statalisti.

L’Unità 17.02.11