Il divario tra l’occupazione maschile e quella femminile è ancora molto ampio: solo il 3% dei padri lascia l’ufficio per restare a casa: “Il sistema italiano non fornisce servizi alla famiglia. Perciò le donne non entrano nel mercato del lavoro”, sostiene il Cnel. Amano lavorare, ma preferiscono lasciare il posto di lavoro per badare alla famiglia. Tra i motivi di abbandono del posto di lavoro da parte delle donne al primo posto, per il 40% c’è la volontà di curare la famiglia, mentre è solo del 3% la percentuale dei padri che fa la stessa scelta. “Il 40,8% delle ex lavoratrici dichiara di aver interrotto l’attività lavorativa per prendersi cura dei figli e circa il 5,6% per dedicarsi totalmente alla famiglia o ad accudire persone non autosufficienti”, è quanto emerge da uno studio dell’Isfol condotto su un campione rappresentativo delle donne italiane in età compresa tra i 25 e i 45 anni. Ma gli affetti non sono l’unico motivo di riduzione dell’occupazione femminile che, nel 2011, ha fatto registrare un netto calo: a fronte di un “modesto recupero” generale del mercato del lavoro, infatti, si è registrato un”ulteriore peggioramento per le giovani, con – 45 mila occupate nella media dei primi tre trimestri”.
Pochi servizi. Stando a quanto sostiene il Cnel, “il sistema italiano non fornisce servizi alla famiglia e di conciliazione, di conseguenza le donne non entrano nel mercato del lavoro o ne escono dopo il primo figlio o per assistere parenti anziani”. Basti pensare che, alla luce delle ricerche presentate nel corso degli Stati generali sul Lavoro, “tra le donne in età compresa tra i 25 e i 45 anni, dopo la nascita di un bambino il tasso di occupazione femminile passa bruscamente
dal 63% al 50%, per crollare ulteriormente dopo la nascita del secondo, evidenziando come il ruolo femminile nel mondo del lavoro sia sacrificabile alla cura dei figli e all’attività domestica”.
Non solo la famiglia. La ricerca, presentata in occasione degli Stati generali sul Lavoro delle donne organizzati al Cnel, fa però notare anche come ci sia “una buona parte delle ex lavoratrici che dichiara di aver dovuto terminare l’attività lavorativa per cause non volontarie”. Dall’indagine risulta che “oltre il 17% segnala la scadenza di un contratto a termine o stagionale, il 15,8% il licenziamento o la chiusura dell’azienda”.
Tra casa e ufficio, le donne lavorano di più degli uomini. In Italia la ripartizione dei carichi domestici e di cura, si deduce dai dati della ricerca, è ancora “molto sbilanciata” a sfavore delle donne. Roberta Zizza della Banca d’Italia riporta, infatti, dati Istat secondo cui le donne svolgevano nel 2008-2009 il 76% del lavoro familiare (la quota era del 78% nel 2002 e del dell’85% nel 1989). L’esperta di Palazzo Koch evidenzia come “l’Italia sia l’unico paese occidentale in cui le donne lavorano, considerando lavoro retribuito e lavoro domestico, significativamente più degli uomini (secondo alcuni dati riportati da Zizza si tratterebbe di ben 75 minuti in più al giorno). Sulla stessa linea la ricerca dell”Isfol (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori), presentata dal responsabile del servizio statistico Marco Centra: “La giornata media lavorativa degli occupati con almeno un figlio, tenendo conto del lavoro retribuito, del lavoro familiare e degli spostamenti da casa al lavoro, è di circa 15 ore. La maggior parte del tempo dei padri, circa 10 ore su 24, è dedicato al lavoro retribuito, mentre il tempo delle madri è diviso tra lavoro familiare, 8 ore e 35 minuti, e lavoro retribuito, 7 ore e 9 minuti”. Ecco che, spiega Centra, “in generale la giornata lavorativa femminile, rispetto a quella maschile, è più lunga di 45 minuti. Le donne dormono circa 10 minuti meno degli uomini, hanno meno tempo da dedicare alla cura di sè e al tempo libero, ma soprattutto dedicano molto più tempo al lavoro domestico”.
Le ‘scoraggiate’ italiane sono 4 volte di più che in Europa. La quota di donne inattive che “non cercano attivamente lavoro, ma sono subito disponibili a lavorare”, in Italia, è quasi 4 volte più elevata che in Europa (16,6% rispetto al 4,4%). Sono “donne scoraggiate”, dice Linda Laura Sabbadini, direttore del dipartimento Statistiche sociali e ambientali dell’Istat. La distanza, secondo l’Istat, è ancora più forte in confronto ai principali Paesi europei.
da www.repubblica.it