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“Non solo una bacheca”, di Claudio Sardo

Le bacheche de l’Unità smantellate negli stabilimenti Magneti Marelli di Bologna e Bari non sono purtroppo un accidente. Sono parte di uno scontro politico, di un’involuzione culturale, di una crisi che non è soltanto economica. L’Unità è uno degli strumenti attraverso cui si esprime il pluralismo sociale.
Ma è anche una delle radici che affondano nella storia nazionale e nelle passioni civili e democratiche della nostra comunità.
Certo, l’espulsione de l’Unità da queste fabbriche del gruppo Fiat non ha un valore sindacale paragonabile al gravissimo vulnus nella rappresentanza provocato dall’esclusione della Fiom, oppure alle discriminazioni subite dai lavoratori iscritti alla Cgil, o ancora al rifiuto di rispettare la sentenza del giudice sul reintegro dei tre operai di Melfi. Eppure contiene un significato che non è solo simbolico. La questione riguarda la considerazione dei lavoratori nella realtà aziendale, riguarda il loro spazio di libertà e di autonomia, insomma i loro mondi vitali.
La crisi di competitività che ha investito l’Italia e l’Europa ci induce quotidianamente a parlare delle regole del mercato del lavoro, degli strumenti di flessibilità e di protezione sociale, delle norme che devono presiedere ai rapporti tra chi dà lavoro e chi lo presta. È il terreno di una battaglia sulla distribuzione dei redditi e dei sacrifici, oltre che sulle opportunità per il Paese e sulla giustizia sociale. Ma al fondo il conflitto riguarda l’idea stessa di persona, in particolare il diritto di uscire dalla dimensione individuale di cittadino o di lavoratore per essere parte attiva di quelle «formazioni sociali» che la nostra Costituzione considera l’orizzonte inalienabile della personalità umana.
Si può e si deve discutere dei piani industriali di Sergio Marchionne, dei suoi impegni non mantenuti, delle aspettative che il nostro Paese ripone verso una delle sue più grandi industrie. Tuttavia lo stesso Marchionne non nasconde la propria
ragione politica, la propria visione, il desiderio di mutare profondamente i rapporti di forza. E, a dispetto di compiacenti narrazioni, la sua strategia non ha nulla di eccentrico. Anzi, è Marchionne ad additare come eccentrici, come dannosi, tutti i condizionamenti alla libera dialettica tra le forze del mercato. Che sia la politica, che sia il sindacato, che sia chiunque altro provi a segnalare un interesse generale colpito o minacciato, questi vanno zittiti in ossequio al primato dell’impresa. Serve a poco replicare che la politica è il solo strumento in mano ai popoli per ridurre gli squilibri e che il primato dell’impresa è seriamente minacciato dal primato della finanza. Purtroppo è tornato di moda il ritornello dei regimi autoritari: la politica è sporca, cattiva, pericolosa.
Dalla crisi non usciremo come siamo entrati. Non tornerà il mondo di prima. Dovremo cambiare, rischiare, anche compiere rinunce. Ma ciò che è inaccettabile per un democratico è la condanna dell’uomo alla solitudine davanti al mercato, allo Stato, ai poteri globali. Rischia di essere travolta quell’idea di persona che i costituenti hanno posto al centro della nostra Carta fondamentale. Le bacheche de l’Unità saranno pure una piccola cosa. Ma alludono a valori più grandi. Al desiderio, appunto, di andare oltre la dimensione individuale. Di sviluppare un pensiero critico. Di costruire una rete di solidarietà umana, e dunque politica. Non è un’alternativa alla solitudine essere audience o generica moltitudine. È nelle relazioni tra gli uomini che nascono la solidarietà e il cambiamento.
Ringraziamo con grande amicizia e fraternità i tantissimi lettori che in queste ore ci hanno manifestato solidarietà e affetto. Non lo hanno fatto per un riflesso antico. L’Unità oggi è cambiata. Ma la storia di una comunità reca impronte indelebili. Noi siamo quelli che credono che la politica possa rinnovarsi, siamo quelli che si battono per rinnovarla e che sanno che sono indispensabili le persone e i corpi intermedi per costruire politiche di uguaglianza e di sviluppo sociale. In fondo, è questa la vera sfida che abbiamo di fronte. Costruire un nuovo patto sociale e riportare in Europa un’Italia europeista, solidale, innovativa. È lo stesso bivio che ha di fronte il governo: non segua Mario Monti le sirene della rottura sociale.
Un ringraziamento di cuore anche a tutte le personalità politiche e sindacali che ci hanno dimostrato la loro simpatia. Un grazie particolare al segretario della Cisl di Bologna, che si è impegnato ad ospitare l’Unità nelle bacheche della sua organizzazione, dove i lavoratori vorranno. È un riconoscimento che vale molto per chi come noi considera l’unità sindacale un valore prezioso.

L’Unità 26.02.12

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“Schiaffo alla democrazia”, di Luciano Gallino

Dinanzi all´ordine di rimuovere le bacheche che espongono l´Unità, sulle prime uno pensa che Fiat abbia deciso di estromettere la democrazia dai suoi stabilimenti. Un segno non da poco. Il cammino era già tracciato con i contratti ferrei di Pomigliano e Mirafiori, il licenziamento di alcuni operai che avrebbero disturbato la produzione a Melfi, infine l´esclusione della Fiom dai reparti. Ora si aggiunge il divieto di esporre un quotidiano. Il che fa pensare ad altro. Infatti la democrazia non è morta sempre con un gran botto. In diversi casi è morta anche a piccoli passi, compiuti nelle fabbriche, nelle scuole, in piccole città, fino a che ci si è accorti che era scomparsa in un intero Paese. Per questo motivo il segnale che arriva da Bologna e altrove preoccupa sotto il profilo politico più che sotto quello delle relazioni industriali.
D´altra parte è possibile che Fiat non abbia affatto intrapreso i passi anzidetti per cancellare la democrazia industriale. Magari ha già deciso di lasciare l´Italia, come parrebbe anche dai contraddittori annunci circa i modelli da costruire o forse no nel quadro del fantomatico piano Fabbrica Italia e dai milioni di ore di CIG a Torino e Pomigliano. E vuol mostrare che vi è costretta perché con la Fiom non si ragiona, troppi osano criticare il Piano che non c´è mentre gli americani lo ammirano, e qualcuno pretendeva pure di esporre nei suoi impianti un quotidiano che in un angolo reca tuttora la scritta “fondato da Antonio Gramsci nel 1924”.

L’Unità 26.02.12