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"Una tenaglia di leggi ad personam e il Cavaliere soffoca la sentenza Mills", di Liana Milella

Il primo colpo dalla Cirielli, poi Lodo e legittimo impedimento
La prescrizione per la corruzione in origine scattava dopo 10 anni. Ma nel 2005 il tempo è stato limitato a 7 anni
Alfano firmò lo “scudo” che bloccò per mesi la causa. Norma bocciata dalla Consulta come quella sulle assenze in udienza. Grazie Cirielli. O per essere più precisi ex Cirielli, visto che il suo estensore, l´ex An oggi presidente della Provincia di Salerno, nel 2005 scaricò la sua creatura proprio quando diventò il contenitore, per mano del forzista Luigi Vitali, della più micidiale delle leggi ad personam, il killer della prescrizione. La ridusse dal massimo della pena più la metà ad un quarto. Il miracolo era fatto. La corruzione, dai dieci anni di tempo in cui la magistratura poteva perseguire il delitto, scendeva a poco più di sette. Le proteste, pur dure, non valsero a nulla. Se oggi non c´è una sentenza sul caso Mills lo si deve a quella legge.
IL METODO SALVA-SILVIO
Incassato il grosso risultato, il Cavaliere e i suoi esperti giuridici, l´avvocato Niccolò Ghedini in primis, non si sono messi tranquilli. Superata la pausa forzata del governo Prodi hanno ripreso con il massimo vigore nel disperato tentativo di cancellare i processi. Per tre anni la fabbrica delle leggi «Salva Silvio» ha funzionato di continuo. Ghedini, Longo, Paniz, al contempo autori e sponsor, le menti giuridiche. A Milano arrancavano i processi Mills, Mediaset, Mediatrade, Ruby, a Roma spuntavano le leggine per tentare di bloccarli. Una rincorsa continua. Indifferenti al fatto che per salvare Silvio si buttano a mare centinaia di altre inchieste. Con aspetti grotteschi come l´exploit dell´anno scorso quando, nel disperato tentativo di stoppare la sentenza Mills, tra Camera e Senato continuavano a rincorrersi la prescrizione breve, il processo lungo, la blocca-Ruby. Un delirio in cui finivano per confondersi pure gli addetti ai lavori. La fabbrica è entrata in funzione con la nascita del quarto governo del Cavaliere, l´8 maggio del 2008. Ha chiuso i battenti un paio di settimane prima del 16 novembre quando Berlusconi ha gettato la spugna.
SI PARTE CON LA BLOCCA-PROCESSI
Il governo è in carica da nemmeno due mesi ed ecco la prima mossa. Quella che prosegue la tradizione del precedente esecutivo del Cavaliere, il quinquennio 2001-2006 quando, per azzerare i processi Sme, Imi-Sir, lodo Mondadori, si rimpallano le leggi capestro su rogatorie, falso in bilancio, legittimo sospetto (la famosa Cirami), la Cirielli, la Pecorella per cancellare l´appello, il lodo Schifani (il primo scudo congela processi). Nel 2008 lo scatto è felino. Nel decreto sulla sicurezza, firmato dal titolare dell´Interno Bobo Maroni, c´è la norma blocca-processi. Prevede che siano «immediatamente sospesi per un anno quelli relativi a fatti commessi fino al 30 giugno 2002 e che si trovino in uno stato compreso tra la fissazione dell´udienza preliminare e la chiusura del dibattimento di primo grado». È un “lodino Schifani”, ma con la prescrizione bloccata. Esplode la collera dell´Anm («Qui muoiono 100mila processi») e a ruota quella di Napolitano. Si mette di traverso la presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno, che diventerà la spina nel fianco del collega Ghedini. Lui escogita leggi per salvare il suo assistito, lei individua il tranello e lo ferma. I due saranno protagonisti dello scontro epocale sulle intercettazioni, la legge per imbavagliare la stampa.
L´INUTILE CORSA DEL LODO ALFANO
Sulla blocca processi si tratta disperatamente. Berlusconi strappa la promessa di varare un nuovo scudo per congelare i dibattimenti delle alte cariche. Dentro i presidenti della Repubblica, del Consiglio, di Camera e Senato. Resta fuori quello della Consulta. Il Guardasigilli Angelino Alfano firma l´unica legge per cui finirà nei libri di storia, il lodo Alfano. Il 23 luglio 2008 lo scudo viene licenziato da Napolitano con una nota che cita la sentenza 24 del 2004 con cui la Consulta bocciava lo scudo Schifani del 2003. Il presidente, preoccupato, previene le critiche di chi, come Di Pietro, avrebbe preteso lo stop del Colle. Il Quirinale sostiene che, pur senza varare una legge costituzionale come scrive la Corte, esiste «un apprezzabile interesse a garantire il sereno svolgimento delle funzioni». Berlusconi può dormire tranquillo, i suoi processi si fermano. Ma un appello di cento costituzionalisti, il milione di firme per il referendum messo insieme da Di Pietro che le deposita il 7 gennaio 2009, il ricorso alla Corte dei giudici di Milano, producono la bocciatura del lodo, che la Consulta cassa il 7 ottobre 2009.
LA SFIDA DEL PROCESSO BREVE
È durata poco la «pace» del Cavaliere. Che ricomincia ad agitarsi. La sfida di un lodo costituzionale appare irrealistica, tant´è che un nuovo testo viene presentato solo a maggio 2010. Ben altro ha in mente il Pdl. Si scopre quando al Senato, è il 12 novembre 2009, i capigruppo Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello formalizzano il ddl sul processo breve, bizzarra alchimia per cui i dibattimenti devono durare in tutto non più di sei anni e mezzo. Pure quelli già in corso, pur partiti in base alle vecchie regole. Il 20 gennaio il Senato lo approva. Fuori protesta il Popolo viola. La norma prevede di cancellare i processi in corso che, a far data dal maggio 2006, quello dell´indulto di Prodi, per pene fino a dieci anni, non abbiano rispettato i vincoli temporali, tre anni in primo grado, due in secondo, uno e mezzo nel terzo. Una regola costruita a pennello per le cause di Berlusconi. Falcidiati Mills e Mediaset. A rischio Mediatrade.
LA VIA DEL LEGITTIMO IMPEDIMENTO
Dal Colle trapela il chiaro messaggio che così il processo breve non sarà mai controfirmato. I processi premono, Mills soprattutto. Berlusconi tratta di nuovo, come prima del lodo Alfano. Promette di rinunciare al processo breve in cambio di un nuovo scudo. Si ripete la storia della blocca-processi. L´ancora di salvataggio gliela butta l´Udc che s´inventa il legittimo impedimento, legge a tempo per 18 mesi per congelare i processi del premier. L´esile «ponte tibetano», come lo battezza Michele Vietti, diventa legge il 7 aprile 2010. Ma i consiglieri giuridici del premier lo caricano troppo, ci mettono pure i ministri e un meccanismo di sospensione talmente automatico da ledere l´autonomia di decisione del giudice, che per giunta deve fidarsi di un´autocertificazione di palazzo Chigi. Tant´è che la Consulta lo azzoppa meno di un anno dopo, il 13 gennaio 2011.
MINACCIA PRESCRIZIONE BREVE
Berlusconi è di nuovo nudo. Non resta che l´offensiva finale. Il 17 marzo ecco il colpo di scena alla Camera, per mano di Maurizio Paniz ed Enrico Costa. Spunta la prescrizione breve, nuova invenzione della fabbrica Ghedini-Longo. È un emendamento al contestato processo breve, nel frattempo arenato alla Camera, cucito addosso al caso Mills. Si fa un regalo agli incensurati riducendo ancora la prescrizione dopo il «trattamento» Cirielli, dal massimo della pena più un quarto la si porta a un sesto per chi ha il casellario giudiziario pulito. Il Csm calcola fino a 15mila processi «defunti». L´Anm concorda. Ma la Camera lo vota il 13 aprile, Alfano lo difende pubblicamente, il presidente dell´Anm Luca Palamara parla di «amnistia mascherata».
NIENTE PROCESSO LUNGO
Il Pdl stavolta decide di giocare su più tavoli. Un ddl leghista per stoppare il rito abbreviato ai mafiosi diventa il contenitore per un´altra «Salva Silvio». Fa il suo ingresso sul proscenio il processo lungo. Che recita: il giudice deve per forza accettare la lista testi delle difese, non si possono utilizzare le sentenze passate in giudicato in nuovi processi. Giusto il caso Mills. Il Senato lo vota. Ma sulla testa di Silvio cade la tegola Ruby. Tentativi blocca RubyLa stagione delle leggi ad personam sta per chiuderesi, ma con i fuochi d´artificio finali. Ancora Paniz cerca di stoppare l´inchiesta della Boccassini con un conflitto di attribuzione votato dalla Camera il 5 aprile 2011 che sostiene la ministerialità del reato. Due settimane dopo, al Senato, spunta la norma del capogruppo Pdl Franco Mugnai per rendere obbligatoria la sospensione del dibattimento (oggi ne ha diritto solo il giudice) se la parte si rivolge alla Corte. Due conflitti, per Ruby e Mediaset, due stop. Per non lasciare niente d´intentato ecco perfino il tentativo di far passare la norma, nella ratifica della convenzione di Lanzarote, per far andare nelle piccole procure i reati sullo sfruttamento sessuale dei minori. Il Rubygate da Milano finirebbe a Monza. Tutto inutile. La maggioranza è sempre più in crisi. L´alternativa tra processo lungo e prescrizione breve diventa oggetto di vignette satiriche. Il governo cade. I processi vanno avanti.

La Repubblica 26.02.12