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“Le lacrime finte delle banche”, di Alberto Bisin

Le banche lamentano il mandato, contenuto nel decreto legge sulle liberalizzazioni, che le obbliga a garantire l´apertura di un conto corrente gratuito e senza spese di deposito e prelievo ai pensionati con una pensione inferiore a 1.500 euro. Tale mandato è un tentativo di ovviare ai costi che la nuova regolamentazione sulla tracciabilità dei pagamenti in contanti imporrebbe ai pensionati.
Peggio la pezza che il buco, dicono in Veneto. Quando il legislatore comprenderà che regolamentazioni che agiscano direttamente sui prezzi sono inutili (perché i costi saranno imposti su altre tipologie di conti e clienti) ed inefficienti (per la stessa ragione), sarà troppo tardi.
Ma le banche hanno poco di cui lamentarsi. Quello bancario in Italia è tra i settori meno competitivi e tra i più dipendenti da elargizioni pubbliche, dirette o indirette. Alla base di tutto stanno le fondazioni bancarie, un´anomalia tutta italiana, una risposta “furba” alle richieste europee di liberalizzazione del mercato del credito. Il trasferimento del capitale delle banche alle fondazioni negli Anni 90 ha infatti permesso l´abbandono solo apparente della proprietà pubblica delle banche (eredità del corporativismo fascista) mantenendone al tempo stesso il controllo da parte della politica e della società civile che alla politica è appoggiata (i consigli delle fondazioni sono tipicamente nominati da comuni, province, regioni, con il contributo di università e altre istituzioni). E così ad esempio si parla di un intervento della Cassa Depositi e Prestiti (al 70% del Ministero dell´Economia) per ricapitalizzare il Monte dei Paschi di Siena, la cui Fondazione, da fine 2010 ha gettato alle ortiche un patrimonio netto di oltre 5 miliardi di euro.
Il risultato è una inefficienza senza paragoni. In molti Paesi conti correnti base gratuiti (per tutti, non solo i pensionati poveri) sono la norma imposta dalla competizione tra banche, non dalla legge. Ma qui non si tratta solo di esagerati costi di gestione dei conti correnti: la mancanza di concorrenza nel mercato del credito è un elemento fondamentale della crisi finanziaria in cui si trova il paese, che è resa più drammatica dal fatto che il prestito bancario alle imprese sta crollando. Se è difficile dire quanto questo sia dovuto anche alla scarsa domanda di investimenti da parte delle imprese, il notevole differenziale tra i tassi a cui le banche si approvvigionano di fondi (dai privati e dalla Banca Centrale Europea) e quello a cui li offrono a prestito suggerisce che il problema provenga fondamentalmente dalla parte dell´offerta. E non è difficile comprenderne il motivo. Le banche italiane hanno capitale limitato, in parte perché sono entrate nella crisi detenendo in portafoglio grandi quantità di titoli del debito pubblico, che hanno perso valore. Esse sono quindi sottocapitalizzate e per questo faticano a finanziare le imprese. In un mercato concorrenziale le banche, per uscire da questa situazione, sarebbero costrette a ridurre più o meno rapidamente il proprio portafoglio di titoli del debito pubblico e a ricapitalizzarsi sul mercato azionario. Sta avvenendo invece esattamente l´opposto: le banche utilizzano la liquidità loro offerta a tassi estremamente favorevoli dalla Bce per acquistare ancora più titoli e si oppongono con forza a ricapitalizzarsi (anche utilizzando “creativamente” la stessa liquidità della Bce), nel tentativo di non diluire i propri azionisti e di proteggere il proprio management. Ma questo comportamento è anomalo solo in apparenza: le banche infatti non guardano ai mercati ma al governo; si procurano benemerenze in attesa di un salvataggio, qualora necessario, a spese dei contribuenti.
Il Tesoro infatti miopicamente ringrazia, perché il comportamento delle banche lo aiuta a meglio piazzare titoli (cioè ad abbassare lo spread coi titoli tedeschi) nel breve periodo. Ma senza un mercato del credito concorrenziale ed efficiente l´uscita dalla crisi e dalla recessione, e soprattutto l´agognato ritorno alla crescita, diventano una corsa in salita. Non vi è alcun dubbio che il mercato del lavoro richieda interventi strutturali di riforma; ma quanto giova alle imprese un´offerta di lavoro meno costosa e più flessibile senza avere contemporaneamente facile accesso anche al credito con cui finanziare gli investimenti?
A dire il vero, problemi simili ai nostri (anche se non così estremi) sono abbastanza comuni in Europa, in Francia così come in Germania. Anche negli Stati Uniti, il potere di mercato delle grandi banche e la loro capacità di lobby presso il Tesoro sono stati responsabili in modo determinante del pessimo funzionamento nel mercato del credito privato, dopo la crisi del 2008. E una situazione simile, che si è protratta per anni, è una delle cause principali per cui la recessione dell´inizio degli Anni 90 in Giappone è ancora in gran parte irrisolta. Mal comune mezzo gaudio. Ma ciò non toglie che la liberalizzazione del settore bancario debba essere considerata una assoluta priorità e debba quindi essere affrontata con decisione e rapidità.

La Repubblica 28.02.12