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"Fuga dalla scuola. Un ragazzo su cinque senza diploma", di Valentina Santarpia

Due ragazzi su dieci in Italia non riescono a ottenere un diploma. Per combattere la dispersione scolastica, che resta un problema serissimo del nostro Paese, il ministero dell’Istruzione ha pubblicato un bando che punta ad abbattere l’abbandono degli studi nelle regioni più a rischio: Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, dove saranno distribuiti fondi europei per 25 milioni di euro entro il 2014 e investiti altri 75 milioni messi a disposizione dal ministero dell’Interno per risistemare strutture sportive, teatrali, ricreative. I dirigenti scolastici, i sindaci, gli assessori possono chiedere di partecipare fino al 15 settembre (info: www.istruzione.it), elaborando progetti in collaborazione con associazioni culturali: l’obiettivo è quello di seguire e stimolare bambini e ragazzi dai 3 ai 15 anni, fino alla fine dell’obbligo scolastico.
I dati ci dicono che 52 mila ragazzi nel 2011/2012 si sono iscritti a una scuola secondaria (liceo o istituto tecnico) ma poi non hanno portato a termine l’anno scolastico: perché si sono trasferiti e poi non hanno più frequentato (28.800), perché si sono ritirati (2.200), perché hanno abbandonato senza formalizzare la loro scelta (3.600), o perché hanno semplicemente interrotto la frequenza senza una specifica motivazione (1.500). I picchi nelle regioni del Sud: solo in Sicilia oltre 16.600 studenti su 256 mila frequentanti non hanno proseguito gli studi, in Campania sono stati 8.790 su 327 mila studenti, in Puglia 4.127 su 214 mila, in Calabria 2.187 su 102 mila.
In realtà a guardare le percentuali (il 2% la media totale sui 2 milioni e mezzo di studenti) il fenomeno non sembra così preoccupante: ma il dato secco dell’anno scolastico fotografa solo l’entrata di uno studente di un istituto e la sua decisione di lasciarlo di punto in bianco, senza dirci nulla su cosa farà l’anno successivo. Per avere un quadro completo bisogna considerare la percentuale di early school leavers, ovvero i ragazzi che tra i 18 e i 24 anni che, dopo aver conseguito la licenza media, non hanno né un diploma né una qualifica professionale e non frequentano corsi scolastici o altre attività formative. Per l’ultimo rapporto Istat, erano il 18,8% tra il 2004 e il 2010 (più uomini, 22% che donne, 15,4%), molto sopra la media europea del 14,1%, con un Sud indietro (22,3%) rispetto al Centro-nord (16,2%): le regioni più virtuose Umbria (13,4%), Emilia Romagna (14,9%), Veneto (16%), le maglie nere in Sardegna (23,9%), Campania (23%)e Sicilia (26%), dove almeno un giovane su quattro non porta a termine un percorso di formazione dopo la scuola media. Con picchi incredibili non solo nelle aree degradate del Sud (a Scampia 41 ragazzi su 100 non proseguono gli studi), ma anche nelle periferie di Milano, Verona, Torino, Bolzano. Perché c’è un altro fenomeno trasversale alla geografia del Paese, testimoniato dal rapporto della commissione povertà 2008: sono il degrado sociale, l’indigenza, ad allontanare i ragazzi dalla scuola, e quindi sono gli studenti dei quartieri più difficili quelli che avrebbero bisogno di aiuto, allo Zen di Palermo come a Porta Palazzo a Torino, per capirci.
In otto anni la media nazionale di early school leavers è scesa solo di due punti, troppo poco per parlare di inversione di tendenza: il traguardo del contenimento degli abbandoni al di sotto del 10%, fissato dalle linee europee entro il 2010, appare lontano. Non è solo un problema di fondi: «Dove la formazione professionale funziona davvero, come in Veneto, la dispersione è quasi inesistente — dice Maria Grazia Nardiello, capo dipartimento del ministero dell’Istruzione —. I ragazzi hanno bisogno di avere a che fare con l’esperienza diretta del mondo, con la pratica: mentre in Italia c’è una cultura troppo classica, tutti scelgono il liceo senza considerare seriamente le alternative. E le alternative, cioè gli istituti tecnici, quelli professionali, l’apprendistato, la formazione professionale, spesso neanche sono presenti sul territorio. Se seguissimo l’esempio della Germania, dove la formazione diversa da quella umanistica viene valorizzata, potremmo migliorare decisamente il livello generale di crescita del Paese».

Il Corriere della Sera 03.09.12