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"Il cortocircuito dell’insulto", di Nadia Urbinati

Beppe Grillo è sceso in campo contro gli “aizzatori di professione” nei suoi confronti e nei confronti del MoVimento 5 Stelle, denunciando il linguaggio “fragoroso” e “indecente” che non alimenta la discussione sulle cose, ma ha per obiettivo l’insulto, l’isolamento, la distruzione dell’avversario. Odio e violenza verbali hanno scandito la nostra storia politica in questi anni di transizione. Anni di transizione incompiuta dalla democrazia dei partiti di massa a qualcosa di cui nessuno sa ancora vedere i contorni, da quando odio e violenza erano domati all’interno di narrative ideologiche che consentivano a chi le condivideva di imbastire discorsi, nei quali gli avversari non erano le persone ma le idee per le quali le persone si spendevano. La politica delle idee è una politica di civiltà perché induce i cittadini a trascendere la dimensione personale — a comportarsi e sentirsi come rappresentanti delle idee che condividono; ad avere avversari, mai nemici da distruggere. Dalla fine dei partiti tradizionali questa civiltà della rappresentanza, della separazione tra dimensione personale e dimensione politica è decaduta. L’antipolitica è una conseguenza di questa decadenza, e il MoVimento 5 Stelle uno dei suoi artefici.
I candidati, i leader e i cittadini che con loro si identificano hanno in questi anni di decadenza della politica dei partiti cominciato a “metterci la faccia”, come si sente dire spesso, la loro faccia personale, a parlare in prima persona sfoderando le emozioni più intime e gusti privatissimi, cose dalle quali non si può né dissentire né convenire, proprio perché personali e non mediabili. Tutti come sovrani assoluti in un gioco di parole al massacro che non fa prigionieri. Le trasmissioni di “approfondimento” hanno fatto la loro fortuna mettendo in scena questo tremendo circolo vizioso di istigazione alla violenza verbale e denuncia dei suoi effetti devastanti. La pubblicità è assicurata in entrambi i casi. E allora, i gusti, le opinioni di pancia, le caricature dell’avversario, la distruzione del carattere, il dileggio e il disprezzo sono diventati le componenti del discorso, che discorso ovviamente non è.
Questa privatizzazione del linguaggio politico ha spalancato le porte alla pratica dell’insulto, con l’uso delle parole brandite come clave e dei decibel usati come strategia per imporre il silenzio. L’arena politica come un Colosseo. E la società civile stessa, dalla carta stampata ai blog, come un ring nel quale non si valutano e discutono le preferenze o le opinioni, ma si manda a ko o si distrugge moralmente chi non la pensa allo stesso modo. Tutto questo per fare spettacolo, per attirare l’attenzione, per crescere nei sondaggi. Fino a quando… un esagitato tira una statuina del Duomo di Milano contro Silvio Berlusconi. Fino a quando… Beppe Grillo vede cambiare il clima intorno a sé, e dopo aver vestito i panni del lupo indossa quelli dell’agnello e scatena una campagna a rovescio. Dopo aver armato tastiere e menti di parole violente, di offese, di denigrazioni. Dopo aver tirato il sasso. Le favole di Esopo sono la miglior griglia interpretativa.
Il fatto nuovo di questi giorni è però un altro. Il fatto nuovo è che questi metodi non sono più circoscritti a chi sta fuori, non sono più volti solo ad attaccare gli avversari. Il mutamento di clima è ora anche all’interno del Movimento 5 Stelle. Anzi, forse questa nuova campagna a rovescio lanciata sul blog («I due minuti dell’odio») serve a celare quel che sta avvenendo tra i blogger, quel dissenso che non può essere più fermato. Succede dunque che abitare in una società democratica allena anche senza premeditazione alla riflessione, al pensare con la propria testa, al rivendicare i limiti del potere, quale che esso sia. Ci troviamo di fronte a un caso interessante di un movimento che è punito dalla democrazia per averla male usata e abusata – né partito né movimento, e quindi senza regole e statuti che ne scandiscano la dialettica interna, è la stessa pratica democratica alla quale i cittadini sono ormai abituati a mettere in crisi il Movimento 5 Stelle. E dove la pratica della democrazia è forte e consolidata, come in Emilia Romagna, la crisi interna è dirompente.
Con un certo sollievo teorico osserviamo che in democrazia non c’è proprio modo di ingessare una condizione per sempre, di replicarla senza rischio di vederla contestare, di accumulare consensi senza pagare il costo del dissenso, di vincere solo e mai perdere, di crescere e mai calare nei sondaggi. Grillo è contestato all’interno del suo movimento, dai suoi seguaci, sul suo blog. E non uscirà indenne da questa contesa democratica. Il fatto è che siccome questo non-partito e non-associazione, questa proprietà della “Casaleggio e Associati” non ha regole scritte, né leader eletti, ma solo la volontà del blogger, allora il dissenso non ha altro modo di esprimersi se non con i toni usuali della violenza verbale, e poi, quando non c’è altro da fare con la defezione, la scomunica, e infine la denuncia legale. Non c’è spazio per il dialogo deliberato. È interessante vedere come il referente della denuncia che è seguita all’espulsione di Filippo Boriani, sia il garante della concorrenza e del mercato, ovvero un organismo che presiede alle relazioni economiche delle società che operano nel mercato. Il Movimento 5 Stelle è a tutti gli effetti privato dunque, sia per il linguaggio che ha messo in uso e di cui si avvale, sia per i metodi di gestione del dissenso al suo interno, sia infine per le norme alle quali chi dissente si deve affidare. E i simpatizzanti o la pensano come vuole il blogger o sono epurati e si rivolgono alla giustizia civile. Il metodo è dispotico a tutti gli effetti proprio perché privato. Si discute nei forum, con gli attivisti arrabbiati per l’espulsione di Boriani, eletto in un quartiere a Bologna e poi licenziato con un post scriptum dal blog di Grillo! Una battaglia di libertà e di democrazia a tutti gli effetti, perché libertà di esprimere e far valere le proprie idee come cittadini autonomi, non come dipendenti che rischiano il licenziamento.
La Repubblica 03.09.12