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"Ai docenti universitari servono criteri flessibili", di Eugenio Mazzarella

Dopo il peregrino esito dei test per il Tfa e il flop del concorso a dirigente scolastico, si annuncia un altro probabile fallimento per le abilitazioni a professore universitario. Nel vizio di costituzionalità eccepito dal professor Onida sui criteri per l’accesso all’abilitazione, fondamentalmente l’aver previsto ora per allora criteri privilegiati per l’accesso alla carriera universitaria, ci sono i presupposti dei binari sbagliati su cui verrà posto il futuro della ricerca italiana. I criteri, se recepiti in modo stabile, determineranno un potente effetto di conformismo della ricerca scientifica: ci si costruirà la carriera sui parametri e gli indicatori di presunto merito indicati ex ante: tutti avranno interesse a pubblicare nelle stesse riviste e collane, e ad adeguarsi agli indirizzi culturali e di ricerca che diventeranno dominanti. Più che concentrarsi sull’innovazione della ricerca, ci si concentrerà sul sistema di relazioni che serve a costruire un curriculum tipo Anvur. L’effetto depressivo per il sistema è prevedibile, e ben noto con la retromarcia a livello internazionale che si sta facendo sulla valutazione bibliometrica, o a essa assimilabile, dove è stata applicata. Ma a parte questo rilievo, i criteri Anvur realizzano effetti paradossali. Guardiamo ai settori umanistici. Dovendosi superare una soglia di produttività articolata su tre tipologie di «prodotto» (monografie, articoli e capitoli di libro, articoli su riviste «eccellenti»), ed essendo la mediana per la fascia A bassissima, mediamente 1, spesso 0, in pochi casi 2, si può dare il caso che un ordinario con un solo articolo in una rivista di fascia A possa essere commissario, e non possa esserlo un collega con 4 monografie nel decennio e 20 articoli standard. Idem per i candidati. Se si voleva evitare la presenza fra i commissari o i candidati di studiosi considerati “inattivi”, si legittima precisamente il contrario: se si appartiene a un buon sistema di relazioni accademiche basta pochissimo per essere in commissione o per presentarsi all’abilitazione. Ciò dà un colpo fortissimo alla reputazione dell’università italiana, e genera un paradosso più generale: i candidati all’abilitazione che hanno superato le mediane sono per definizione, dal punto di vista assunto dall’Anvur, già migliori, quanto meno perché più produttivi delle migliaia di ordinari di ruolo che non potranno candidarsi a commissario, non avendo raggiunto le soglie delle mediane. Allora perché dovrebbero anche essere giudicati in un concorso per diventare di fatto semplici abilitati a un ruolo che altri da decenni coprono con titoli inferiori ai loro?
Il Sole 24 Ore 05.09.12