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"Il fuoco dell´estremismo sulla primavera araba", di Lucio Caracciolo

L´obiettivo strategico dei jihadisti che hanno assassinato l´ambasciatore americano a Tripoli è la strana ma efficiente alleanza Stati Uniti-Fratelli musulmani emersa dalla «primavera araba». L´identico bersaglio dei salafiti che nelle stesse ore si sono scatenati contro la sede diplomatica Usa al Cairo per protestare contro il provocatorio film su Maometto.
Un film prodotto da un oscuro uomo d´affari israelo–americano, sponsorizzato da donatori ebrei, cristiani copti egiziani e ultrareazionari protestanti americani. La coincidenza con l´anniversario dell´11 settembre e con l´avvio della fase decisiva della campagna per la Casa Bianca accentua l´eco di eventi già traumatici.
Poco importa se la coincidenza fra la diffusione in Internet di alcuni estratti del film antimaomettano, l´assassinio del diplomatico americano e le proteste nella capitale egiziana – destinate a diffondersi nel vasto arcipelago islamico – sia o meno frutto di premeditazione. Contano gli effetti, non solo in Nordafrica ma in tutto il Grande Medio Oriente. È troppo presto per stabilirli, non per ragionare sulla dinamica degli eventi in Libia e in Egitto, come sul modo in cui vorrà reagire l´America.
Partiamo dalla Libia. Il regime di Gheddafi è crollato, ma non ne è nato uno nuovo. Anzi, nelle ultime settimane la violenza si è riaccesa, non solo nel profondo Sud, dove ancora si asserragliano i reduci del colonnello. Il governo legittimato dal voto è tuttora in gestazione, mentre le milizie che hanno vinto la guerra civile non intendono disarmare. E spesso si sparano addosso. Recentemente a Tripoli sono tornate ad esplodere le autobomba. I salafiti – musulmani radicali – hanno dato l´assalto a siti storici di confraternite sufi, vocazionalmente pacifiche e moderate. In Cirenaica si concentrano i jihadisti, alcuni dei quali reduci dall´Iraq o pendolari da e per la Siria, tra i quali i responsabili della strage di Bengasi, probabilmente preparata da tempo. Presso Derna sono installati alcuni campi gestiti da qaidisti, sorvegliati dall´alto dai droni americani. Polizia ed esercito in ricostituzione non sono in grado di affrontarli. Le tribù locali girano al largo.
Alcuni osservatori occidentali preconizzano un nuovo Afghanistan alla nostra frontiera meridionale. Esagerano, probabilmente. Non più di quanto facciano i cantori della Libia democratica, che immaginano uno Stato libero e democratico dove invece regna l´anomia. Intanto i pallidi rappresentanti della “nuova Libia” accusano americani ed europei di averli abbandonati a loro stessi.
Quanto all´Egitto, è il modello dell´intesa Fratelli musulmani-Stati Uniti. Dopo averli bollati per decenni come terroristi, Washington ha deciso di puntare sugli islamisti quali provvisori sostituti dei dittatori amici liquidati dalle rivolte, in assenza di alternative al caos permanente. I rivoluzionari filo-occidentali della prima ora si sono rivelati troppo deboli e divisi, un po´ come i dissidenti dell´Est dopo il crollo del Muro. Quanto ai militari egiziani, infiltrati dagli islamisti, hanno dovuto accettare l´inversione dei ruoli nel flessibile patto di non aggressione da tempo stipulato con i Fratelli: oggi a dettar legge sono questi ultimi, guidati dallo scaltro presidente Mohamed Morsi, mentre le gerarchie dell´esercito mordono il freno.
L´ala estremista dei salafiti mal sopporta però il nuovo regime, così come, sul fronte opposto, la corposa minoranza copta. Il successo ottenuto dal partito salafita alle elezioni (un quarto dei voti) indica che la corrente più radicale dell´islam egiziano è un fattore con cui i Fratelli – e i militari – devono fare i conti. Se il clima dovesse infiammarsi, per causa dell´ennesima provocazione dei crociati antimaomettani, e se la crisi economica dovesse inasprirsi, gli equilibri allestiti in questi mesi potrebbero saltare.
Sempre che non ci pensino gli israeliani, attaccando l´Iran, a riazzerare l´intera partita mediorientale. Una mossa da roulette russa. Con i terroristi islamici che rialzano la testa, Gerusalemme potrebbe invocare una ragione in più per rovesciare il tavolo – e la mal digerita intesa Fratelli musulmani-Stati Uniti.
E l´America? Mentre Romney lo accusa di debolezza verso i terroristi, Obama esibisce il suo leggendario sangue freddo. Salvo stupirsi per il fatto che l´attacco sia avvenuto “in un paese che abbiamo contribuito a liberare, in una città che abbiamo salvato dalla distruzione”. Questo per il pubblico. Senza troppo clamore, è scontato che droni Usa bombarderanno le basi jihadiste in Cirenaica e qualche effettivo o presunto caporione qaidista sarà liquidato in stile israeliano. Di tutto ha bisogno Obama meno che di rimettere in discussione lo strombazzato successo contro al-Qaida, sigillato con lo scalpo di bin Laden – peraltro mai esibito. Ogni mossa del presidente, nelle prossime settimane, sarà unicamente calibrata sulla rielezione. Purtroppo storia e cronaca confermano che raramente i fatti si conformano all´agenda della democrazia americana.

La Repubblica 13.09.12

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“Quella irresponsabile parodia del profeta”, di ADRIANO SOFRI

CHE un film, anche il più grossolano, o un romanzo, o dei disegni satirici, possano scatenare furia di folle e linciaggio (e pretesti di guerre e guerre di pretesti) è solo un segno della durata strenua, e spesso della recrudescenza, dello stato ferino sopra il quale la civiltà è passata come una vernice trasparente. E la smisurata differenza fra i modi di sentire e di sfruttare l´esperienza religiosa non può essere ignorata.
Il cosiddetto reverendo Terry Jones, che si compiace periodicamente di farla grossa bruciando Corani in pubblico e si è precipitato ieri sulla nuova occasione, è un fanatico impostore, e ha una quantità di colleghi e concorrenti nella nostra parte di mondo. Ma nei giorni appena scorsi, quando si giocava il destino della bambina pachistana Rimsha, undicenne cristiana con la sindrome di Down, accusata calunniosamente di aver bruciato alcune pagine del Corano e incarcerata, non ci furono assalti alle ambasciate e nemmeno, salvo che mi siano sfuggiti, più misurate manifestazioni di sdegno di fronte a una simile infamia. Le differenze ci sono, e fanno sì che non si possa cavarsela una volta per tutte, in nome della libertà d´espressione da una parte, o del rispetto per i sentimenti altrui dall´altra.
La reazione che ha improvvisamente incendiato, in un 11 settembre, il Cairo e Bengasi, e contagerà altri paesi, è opera di farabutti professionali e di folle fanatizzate, e nessun pretesto basta a giustificarle. C´è però un cartello all´ingresso del pianeta di oggi, che avvisa del pericolo d´incendio, e avverte di non giocare con le scintille. Dunque guardiamo il film, anzi il trailer del film, che ha fatto da scintilla questa volta. Ha covato a lungo, del resto, poco guardato in un paio di siti YouTube, pochissimo in un cinema di Hollywood. Poi i piromani l´hanno scoperto.
Ad aprire il trailer (quasi 14 minuti sulle due ore del film intero) si ha subito l´impressione di aver sbagliato il filmato, e che qui si tratti di una parodia abborracciata. Invece è proprio lui, costato 5 milioni di dollari e tre mesi di riprese, dice l´autore: soldi e mesi buttati, quanto alla fattura tecnica. Titolo: “L´innocenza dei musulmani”, che vuol dire il contrario. Il proposito è di rivelare «la vera vita di Muhammad». Si apre con l´aggressione di un manipolo di islamisti fanatici a una farmacia gestita da cristiani copti, che assassinano una giovane donna e devastano il locale. La polizia egiziana, arrivata in assetto di guerra su una jeep, non interviene: non fino a che avranno completato l´opera, ordina il loro capo. Un vegliardo musulmano ordina a sua volta ai suoi giovani scherani di dare fuoco a tutto ciò che è cristiano. Il farmacista dice ai suoi di casa che la polizia islamica ha arrestato 14 mila cristiani per costringerli a confessare gli omicidi, e formula un´equazione secondo cui l´uomo più un fattore sconosciuto x è uguale al terrorismo islamico; il terrorismo islamico senza quella x è l´uomo. Che cosa è x, sta allo spettatore scoprirlo.
Dopo la premessa contemporanea, si passa alla nascita di Maometto. Sono spezzoni di racconto, com´è del trailer, e questo accentua l´effetto grossolanamente caricaturale. Un uomo giovane intima al padre di prendere il bambino con sé e di allevarlo, magari come uno schiavo. E di chiamarlo Muhammad, nome che significherebbe di padre ignoto – bastardo.
Scena successiva: le visioni del giovane Muhammad sono curate da una fanciulla. «Lo vedi?» «Sì». «Metti la testa fra le mie cosce. Lo vedi ancora?» «No». Segue una scena di investitura di un asino come primo animale musulmano. Un asino parlante, che risponde alle domande, per esempio se gli piacciano le donne: no, non gli piacciono. Ora viene dichiarato il proposito di Muhammad di fare un libro a metà fra la Torah e il Nuovo testamento, per cui si chiede l´aiuto del cugino, morto il quale Muhammad, disperato, vuole andare a buttarsi giù dalla montagna, o trovare un altro espediente.
Poi addestra a catturare donne bambini e animali, e uccidere tutti gli uomini. Dei bambini, usare e abusare. Quanto alla Costituzione, basta e avanza il Corano. Segue una lezione sull´eccezione per cui le donne, anche sposate, devono darsi a lui che è il maestro. Poi l´interpretazione del passo biblico sulla distruzione di Gerico: dunque ora tocca agli ebrei ritirarsi in Palestina o accettare l´estorsione. Chiunque non segua l´Islam del resto ha solo due scelte: pagare o morire. Adesso i suoi, dopo essere andati a procurargli la sposa bambina, si chiedono se non sia anche omosessuale. Un´anziana donna che ne denuncia le malefatte viene legata per le gambe a due cammelli e oscenamente squartata. Un giovane ebreo viene torturato e trucidato davanti a sua moglie, muore pregando che Dio se ne ricordi. Ora sono le sue donne che lo inseguono a colpi di ciabatta nella tenda, perché ha tradito Aisha.
Ho riassunto così dettagliatamente il trailer non perché pensassi che i miei eventuali lettori non l´abbiano guardato – l´avranno fatto, per lo più – ma perché a rileggere la sceneggiatura in compendio, sia pure accanto a trivialità troppo spinte, si scopre che gran parte delle notizie su cui è costruita appartengono da sempre alla controversia storica e alla polemica anti-islamica. Offensivo degli altrui sentimenti è il modo di trattarle. Il «rispetto» – il proposito di non dare scandalo – è parente stretto dell´ipocrisia, ma una dose di ipocrisia è indispensabile ai rapporti umani, quelli privati come quelli fra i popoli e gli Stati. Gli autori di questo ridicolo film sembrano essersi proposti come ideale la mancanza di rispetto e la cialtroneria. Decidendo di essere irresponsabili, se ne sono presi la responsabilità. «Non pensavamo…», diranno loro. Nemmeno l´allora ministro in maglietta di questa Repubblica, Roberto Calderoli, pensava che avrebbero assaltato il consolato italiano a Bengasi, e che negli scontri sarebbero morte 14 persone. Succedeva sei anni fa. Qualche giorno fa hanno revocato la scorta di otto persone che senza interruzione, anche in sua assenza, presidiava una sua villa nel bergamasco. La situazione del mondo è infatti tragicomica.

La Repubblica 13.09.12