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“Tre giorni, tre omicidi l’infinita strage delle donne”, di Michela Marzano

Aancora tre vittime. Che si aggiungono, nel giro di pochi giorni, alle tantissime donne che continuano a morire nonostante non si smetta più di denunciare in tutti i modi questa violenza inaudita e senza senso. Che cosa sta succedendo? Perché non si riesce a fermare il femminicidio? Che cosa non riusciamo
ancora a capire?Il problema, di fronte a questo tipo di tragedie, è che le ragioni e le spiegazioni non bastano mai. Perché non ha senso accoltellare una donna solo perché ci sta lasciando. Non ha senso ucciderla solo perché non la si sopporta più o perché non si riesce a controllarsi. Non ha senso. Almeno se si parte dal presupposto che anche le donne, come gli uomini, sono degli esseri umani. E che, in quanto tali, non possono e non devono essere trattate come dei semplici oggetti. Solo un oggetto può essere distrutto per un capriccio o per rabbia. Solo di fronte ad un oggetto ci si può lasciare andare alle pulsioni distruttive senza remore e senza rimorsi. Ma forse il dramma è proprio qui: alcuni uomini trattano le donne come semplici “cose”. Se ne invaghiscono. Fanno di tutto per averle. Le usano. E quando qualcosa va storto, se ne sbarazzano. Quando le donne non ubbidiscono, non sopportano il modo in cui vengono trattate oppure dicono semplicemente di volersene andare, allora questi uomini le buttano via e le distruggono. Come farebbe un bambino con un vecchio giocattolo che non funziona più.
Quando Primo Levi racconta l’orrore vissuto durante la Shoah, si chiede se colui “che non conosce pace” e “che muore per un sì o per un no” possa ancora essere considerato un uomo. Descrive con lucidità e coraggio quello che lui e gli altri prigionieri hanno subito nel momento in cui, arrivati ad Auschwitz, vengono definitivamente reificati. Non sono più degli esseri umani, sono dei semplici
stück, dei “pezzi”. Ecco perché i colpi che ricevono sono inferti con indifferenza. Ecco perché le SS non provano più alcuna compassione e si accaniscono contro di loro “senza alcuna ragione”. Nei campi di concentramento – come gli risponde una SS quando Levi si permette di chiedergli il “perché” di tanto odio – non c’è nessuna spiegazione. È così: terribile e semplice al tempo stesso. Perché quando l’umanità viene annientata, tutto diventa possibile. Al punto che le stesse vittime, pian piano, finiscono con l’interiorizzare il comportamento e il pensiero di essere “meno di un uomo”, come spiegherà poi anche lo psicanalista Bruno Bettelheim nel suo capolavoro La fortezza vuota.
Il male, anche quello radicale, è sempre banale, come direbbe Hannah Arendt. Non perché il massacro di un popolo o il femminicidio siano banali. Di banale, nella morte di essere umano, non c’è proprio niente. Il male è banale solo perché lo si compie banalmente. Soprattutto quando non si riconosce più l’umanità delle persone che si violentano, accoltellano e uccidono. È l’unica spiegazione che si può tentate di dare a questo moltiplicarsi di violenze contro le donne. È l’unico “perché” che si riesce a trovare di fronte a questi uomini che non tollerano di perdere il controllo sulle proprie mogli o sulle proprie fidanzate; che non accettano la possibilità di essere lasciati; che non capiscono come mai un “oggetto” possa sottrarsi al proprio volere. Uomini che riducono la donna ad una semplice “cosa” priva di dignità. Uomini che si illudono di conservare la propria virilità e il proprio potere distruggendo questi “oggetti” che considerano come una loro “proprietà”. Come se l’altra persona non contasse nulla. Non avesse alcun valore. Non fosse niente. Niente altro che una cosa da buttare via quando non serve più. Jacques Lacan direbbe che si tratta di “sadici che rigettano nell’Altro il dolore di esistere”. Forse ha ragione. Peccato che il “dolore di esistere” di questi aguzzini si trasformi poi, per troppe donne, nella tragedia di non esistere più.
La Republica 11.12.12