attualità, politica italiana

“L´occasione dell´Italia”, di Thomas Schmid

Rieccolo, Berlusconi. Ma quel sabato, quando ha annunciato la sua intenzione di ripresentarsi, a mio parere non è stata una brutta, ma una bella giornata. Permettetemi di spiegare il perché. Da quando il Cavaliere ha scelto di ridiscendere in campo, uno spettro si aggira di nuovo per l´Europa. Molti pensano che se le sue indiscutibili doti di potenza e genialità nel condurre campagne elettorali dovessero riportarlo al governo, l´Italia e l´Europa intera rischierebbero la catastrofe. Perché, a differenza della più piccola Grecia, l´Italia, membro fondatore dell´Ue, è uno dei suoi Stati più importanti.
Effettivamente, se questo Paese dovesse ricadere in una condizione instabile, perdendo il capitale di affidabilità conquistato dal governo Monti, sarebbe un duro colpo per l´Unione europea. È noto che da qualche tempo la Commissione dell´Ue e il governo tedesco si preoccupano del futuro dell´Italia; a Bruxelles come a Berlino, molti si sono già chiesti – seppure in via ufficiosa e dietro le quinte – cosa accadrà dopo la fine del “governo tecnico”. Senza dubbio per Angela Merkel il ritorno dell´irresponsabile illusionista di Arcore sarebbe un vero incubo. D´altra parte, la cancelliera tedesca non è l´unica in Europa a vedere con qualche perplessità la prospettiva di un governo a guida Pd. È già accaduto infatti che governi di centrosinistra abbiano fallito a causa della loro dipendenza dall´appoggio di partiti della sinistra radicale e di gruppuscoli dalle mosse imprevedibili. A fronte di queste due alternative, molti in Europa ritengono che la soluzione migliore sarebbe una prosecuzione dell´esperienza del governo tecnico. Una cosa è comunque certa: Mario Monti sa bene qual è la posta in gioco. Ha sempre dato prova di rigore e di grande attenzione per l´economia, i mercati e la reputazione dell´Italia. E si rende conto che per il suo Paese esistono solo due alternative: compiere i grandi sforzi necessari per tornare ad essere un membro e pieno titolo, e uno dei motori dell´Ue, oppure rinunciare – probabilmente per sempre – al proprio rango nella compagine europea.
Detto questo, non credo che chi ha paura di Berlusconi sia ben consigliato. Le sue dimissioni, 13 mesi fa, non furono il risultato di un´azione della classe politica, e neppure della società civile italiana. Fu l´Unione europea a imporre le dimissioni di un uomo che era diventato qualcosa come un fuoco fatuo nella politica europea. Certo, una mortificazione per quei milioni di italiani che da molti anni manifestavano il loro dissenso nei confronti dello stile e dei metodi del Cavaliere. Se però oggi Berlusconi si ripresenta, gli elettori italiani hanno la possibilità di liberarsi di lui in via ufficiale, in un confronto diretto, una volta per tutte. Allora non potrebbe più filarsela da un´uscita sul retro del palazzo, come ha fatto tredici mesi fa, ma sarebbe semplicemente messo alla porta. Certo, è un azzardo. Ma lo ritengo necessario, in nome della dignità e dell´amor proprio degli italiani. Dal 1994 ad oggi, lo spirito berlusconiano ha pervaso la politica italiana. Ora è venuto il momento di porre fine in maniera corretta alle anomalie e all´imbarbarimento di questi due decenni.
Berlusconi ha fallito perché si è dimostrato incapace di fare esattamente ciò che con più insistenza aveva promesso. Non ha liberalizzato né svecchiato l´Italia, ma ha contrapposto alla vecchia partitocrazia una forma nuova e bizzarra di dominio, una sorta di autocrazia da fiction. Anziché modernizzare il Paese, ha portato avanti la battaglia obsoleta del suo ottuso anticomunismo. Eppure, all´inizio era partito da considerazioni del tutto condivisibili. Quello che mancava in Italia era una rivoluzione, o quanto meno un´apertura liberale. Berlusconi affermava di voler aprire nuovi spazi in questo senso, ma presto si è visto che il suo era puro e semplice illusionismo propagandistico. Il suo è un liberismo egoista, basato sul disprezzo dello Stato, che rivela in definitiva la sua natura nichilista, di negazione dei valori. E che ha lasciato il segno, come mi hanno sempre confermato gli italiani con cui ho avuto occasione di parlare: questo Paese si è abituato a toni sempre più rozzi, aggressivi e volgari.
I commenti a Nord dell´Italia, per quanto espressi a mezza voce, sono chiaramente udibili. Molti guardano al Pd con qualche perplessità. È l´effetto dell´antico scetticismo (peraltro non ingiustificato) verso la tradizione dell´ex Pci: il timore che qualcosa del suo avanguardismo e della sua megalomania tatticista sia tuttora presente. Sono preoccupazioni che in parte condivido; ma le critiche in questo senso mi sembrano eccessive e ingiustificate. Innanzitutto perché la recente esperienza delle primarie, con la straordinaria partecipazione di milioni di italiani, è stata un´occasione di dibattito e mobilitazione politica su cui pochi avrebbero scommesso, in questi tempi di opacità e rassegnazione. In secondo luogo, perché il vincitore di queste primarie, un uomo di sinistra come Bersani, si è dimostrato in grado di portare avanti anche riforme decisamente scomode. E in terzo luogo, perché il successo di Matteo Renzi ha conferito autorevolezza a un esponente del Pd che si è lasciato alle spalle ogni traccia di sentimentalismo o di folclore di sinistra. Ho l´impressione che il Pd sia sulla buona strada per diventare un partito saggiamente riformista. Un partito in cui un D´Alema giovane, malgrado le sue indubbie competenze, non troverebbe alcuno spazio. Certo, al tempo della crisi dell´Ue il nuovo premier si troverà ad affrontare responsabilità enormi; ma non vedo alcun motivo per temere che un governo guidato da Bersani si comporti in modo avventuroso. È accaduto altre volte che nei momenti cruciali, la sinistra si sia dimostrata pronta, nell´interesse comune, a portare avanti le più drastiche riforme. Lo dimostra l´esempio dell´Agenda 110 di Gerhard Schröder, senza la quale oggi la Germania sarebbe sicuramente in condizioni assai peggiori.
Già da tempo si ha sentore di diversi tentativi in direzione di una nuova legislatura con Mario Monti presidente del consiglio. È comprensibile. Ma sarebbe un bene per l´Italia? Monti e il suo governo non sono stati eletti. Una grande coalizione apolitica come quella che l´ha appoggiato potrebbe rivelarsi necessaria in caso d´emergenza, come lo è stata dopo che Berlusconi ha messo a rischio il suo Paese nel contesto politico europeo; ma a condizione di tornare il più presto possibile a un governo regolarmente eletto. E non solo perché il tecnico Monti ha rivelato di avere anche i suoi lati deboli, ma soprattutto perché in questi tempi difficili un governo deve essere legittimato dalla sovranità popolare. A mio parere, nulla vieta a Monti di candidarsi, non più in veste di tecnico, ma stavolta come politico. Mi sembrano però poco convincenti i tentativi di architettare una coalizione qualsiasi, per poi mettere avanti Mario Monti come galeone. Se è vero che la democrazia si affida a un´élite, quest´ultima deve però avere l´espresso consenso dei più. A questo non si può rinunciare, soprattutto in tempi difficili, quando la posta in gioco è alta.
Non c´è dunque da aver paura di Berlusconi. Anche perché i cittadini italiani potrebbero dimostrarsi assai più refrattari alle sue bordate antieuropee e al suo volgare populismo di quanto credano il cavaliere e i suoi media.
(Traduzione di Elisabetta Horvat)
L´autore è direttore di “Die Welt”
La Repubblica 13.12.12
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“Il Cavaliere della confusione”, di CONCITA DE GREGORIO
LE AMAZZONI, desolate, ammutoliscono. Si erano disposte in falange compatta, in trenta nelle prime cinque file alla destra del capo, ben visibili da Lui.
Una distesa di chiome bionde ad ogni gradazione di ossigeno, dal platino al miele, impegnate nella lunga attesa della Sua apparizione a carezzarsi vicendevolmente i capelli freschi di piastra, pronte a scattare in piedi nel “bravo” all´unisono alla notizia, imminente, della Sua e della loro ricandidatura. A un passo dal revival di giubilo, eccoci tutte qui come ai vecchi tempi, e invece guarda che scherzo. L´evviva si spegne in gola, alle confuse parole del Capo: potrei anche, se Monti, allora io, regista del rassemblement, tornare a dirigere, non penso che lo farà ma se lo facesse, non gli conviene certo ma semmai, nessuna obiezione a ritirare, candidatura a premier, potrei tornare a, passo indietro, in fondo ho avuto, De Gasperi peggio di me. Come? Che ha detto? Si incrociano gli sguardi nervosi di Micaela Biancofiore e Laura Ravetto, si sgranano interrogativi gli occhi di Alessandra Mussolini e di Stefania Prestigiacomo. C´è anche Rosi Mauro, in piedi da una parte, lei nera di chioma d´abito e d´umore. Nel senso che se si candida Monti si ritira? Ma non si sono insultati fino a stamattina? Cioè come: Monti dovrebbe fare il candidato premier di una coalizione guidata da Silvio? E noi? E poi Monti non lo farà mai… Serpeggiano fra le prime file domande non avvezze all´evidenza, sussurrate appena mentre Lui continua, fluviale. A professarsi europeista mentre denigra Von Rompuy («uno sconosciuto, uno che non c´entra niente con la storia d´Europa, un fantoccio voluto da Merkel e Sarkozy»), a minacciare la Lega di far cadere le giunte del Nord mentre ne afferma sicuro la lealtà nell´alleanza, a ritirare in ballo l´appena licenziato Alfano e liquidare come incandidabile il fidatissimo sodale della primigenia Sicilia, Marcello Dell´Utri, in un´olimpiade della contraddizione con se stesso, un campionato mondiale del non senso. Poi, dopo quasi venti minuti di monologo, smentisce Vespa. Il “caro Bruno” appena blandito come il migliore della specie. No, quel colloquio con Tremonti che riporta nel suo libro non è mai avvenuto. Vespa, seduto accanto a lui, imperturbabile conferma. È il sigillo dell´epilogo. La pietra tombale sulla festa che non c´è né mai più potrà esserci com´è stata ai tempi belli. Vespa, il caro Bruno, conferma: è Silvio che mente. Oppure, mitiga subito con atavico riflesso di prudenza, «non ricorda bene».
Ecco, è andata così. Il giorno della presentazione del ventiquattresimo libro di Vespa che doveva segnare la sesta candidatura di Silvio Berlusconi passerà alla storia come uno scampolo di Novecento finito nel Duemila, tutti i protagonisti e le comparse vestiti e truccati come in un film di fantascienza anni Settanta. Tra il pubblico anziani calvi con un residuo di caschetto bianco sulle spalle, vecchie fulve, giovani in pantacollant di similpelle. Il Candidato-che-oggi-non-lo-è parla dal palco con voce meccanica e confusa, ha ormai gli occhi a mandorla, lievemente asimmetrici. Attacca la magistratura rossa, il Capo dello Stato che «riposa il lunedì dalle fatiche del week end», la Corte costituzionale ed altre architravi dell´assetto democratico senza mai arrivare ad affondare il colpo. La claque aspetta per due ore il momento che non arriva mai. L´idea che l´odiato Monti, appena sfiduciato e dal Pdl indotto a dimettersi, possa diventare il leader di loro stessi non riesce a penetrare la capacità di comprensione delle amazzoni e lascia perplesso persino Vespa, che qualcosina obietta. L´unica cosa che risulta evidente, nello tsunami frusto di abusata retorica, è che Silvio Berlusconi ha una serissima difficoltà nella sua stessa coalizione di eventuale governo, che non sa su quali e quanti alleati può davvero contare, che i sondaggi non rispondono ai comandi. In sala lo capiscono tutti. Lasciare il cerino a Monti è una trovata mal riuscita, non fa breccia oltre la seconda fila. Forse era il giorno sbagliato, oggi, per presentare il libro. Aveva già rinviato e forse doveva rimandare ancora ma la casa editrice di sua proprietà avrà fatto pressione usando su di lui l´argomento principe: presidente, anche se non sa cosa dire dica qualcosa, lei è Maestro. Siamo a dodici giorni da Natale, sennò il libro non si vende. Ci stupisca come ha sempre fatto, vedrà che Le riesce.
La Repubblica 13.12.12