attualità, politica italiana

Pdl: rinviare il voto di 15 giorni E blocca Stabilità e taglia-firme”, di Francesco Bei e Umberto Rosso

Allungare l’agonia della legislatura, guadagnare tempo, anche soltanto due settimane in più. Per votare il 24 febbraio o, addirittura, il 3 marzo. È questo l’ordine del Cavaliere: ha bisogno di martellare sulle televisioni prima che scatti la tagliola della par condicio. «Questa fretta di andare alle elezioni è una forzatura inutile», sostiene il Cavaliere da Vespa. Ammettendo poco dopo candidamente la vera ragione della melina: «Io punto al 40% ma dipende dalla quantità di ore televisive che posso avere».
I suoi uomini, puntualmente, mettono in pratica il catenaccio. Ieri il Pdl si è inventato il pretesto della legge di stabilità e del decreto “dimezza firme” pur di impedire a Monti di dimettersi e a Napolitano di sciogliere le Camere. L’offensiva, che non piace al Colle, parte in conferenza dei capigruppo a Montecitorio. Fabrizio Cicchitto
annuncia la novità: «Sulla legge di stabilità abbiamo intenzione di prenderci tutto il tempo necessario per esaminare bene il provvedimento». Quanto al decreto “dimezza firme”, il capogruppo Pdl insiste: «Lo vogliamo esaminare nelle virgole». Che si tratti di pretesti risulta evidente quando da via dell’Umiltà viene diramata una nota per chiedere lo slittamento delle elezioni adducendo un terzo motivo: la macchina per consentire il voto all’estero. Ma il Pd insorge. «Il Pdl – intima Bersani – non usi il Parlamento e la legge di stabilità per i suoi problemini ». Il capogruppo Franceschini su Twitter mette in chiaro quello
che è ormai evidente: «Berlusconi vuole rinviare le elezioni, anche a costo di fare del male al Paese, solo per avere due settimane in più senza par condicio in tv».
Benché non filtrino reazioni ufficiali dal Quirinale, una campagna elettorale lunghissima, sotto il segno delle polemiche laceranti e senza par condicio, non è certo quel che si augura il presidente Napolitano, che ha appena lanciato nel suo discorso alle alte cariche dello Stato l’appello a «non bruciare» nel fuoco della campagna per le elezioni la ripresa di credibilità italiana sui mercati europei. La road map a tempi stretti già delineata, con il voto entro febbraio
(il 17 era la data su cui ci si stava orientando), resta per il Colle la bussola da seguire. La melina del Cavaliere sul voto anticipato rischia oltretutto di riaprire la questione della “parlamentarizzazione” della crisi di governo, dando fiato a chi invoca un passaggio di Monti davanti alle Camere per un voto formale di sfiducia.
È polemica anche sul decreto “taglia-firme”. Per Sel e Lega, con Calderoli che accusa Napolitano di «attentato alla Costituzione per aver firmato il decreto», sarebbe un favore «ai centristi» e «agli amici di Monti nel Pdl» perché esonera dalla raccolta firme delle non meglio specificate «componenti politiche all’interno dei gruppi parlamentari». Sospetti che circolano anche nel Pd. Accuse che non trovano udienza al Colle: nessuna scialuppa di salvataggio offerta ai montiani. Le «componenti politiche » sono quelle del gruppo misto e, ogni caso, devono essere presenti «dall’inizio della legislatura».
La Repubblica 19.12.12
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“Liste pulite, primo via libera al Senato poi il Pdl ci ripensa e fa ostruzionismo”, di Liana Milella
Raccontano che Berlusconi, non appena ha saputo del fulmineo via libera di palazzo Madama sul decreto “liste pulite”, ha commentato: «E certo, è tutta colpa di “quello” Schifani». Il quale, del sì nelle commissioni Giustizia e Affari costituzionali dato in un soffio, si vanta dicendo che «il Senato ha fatto la sua parte». A Montecitorio è andata in tutt’altro modo. Liste pulite? Ancora un attimo. Meglio approfondire, analizzare, magari rinviare. Se proprio si perde la faccia senza approvare il decreto, allora lasciarlo passare ma a denti stretti, quasi fosse un sacrificio, o meglio quello che in effetti è, un sì obbligato.
Dal Pdl arriva l’ultimo stato di suspense sulla giustizia dopo una legislatura all’insegna delle leggi per proteggere inquisiti e condannati, Berlusconi in testa. Ora tocca al decreto con le regole per bloccare l’ingresso in Parlamento dei condannati definitivi. Brutta batosta per il Pdl, per la sua politica protezionista per chi ha avuto a che fare con i giudici. Si muove Enrico Costa, l’avvocato che ancora ieri sera chiacchierava a lungo con Niccolò Ghedini, l’avvocato del Cavaliere, seduto in un divanetto della Camera. Per carità, ragionamento giuridico il suo, ma che ha mandato il tilt le due commissioni riunite e ha provocato il rinvio. Lui assicura: «Giovedì si può votare, non scrivete che il Pdl frena perché non è vero. Scrivete che non vogliamo votarlo a scatola chiusa, come ha fatto il Senato, perché non possiamo cucirci la bocca di fronte ai rilievi fatti dagli stessi relatori, non solo la nostra Santelli, ma pure dalla Pd Ferranti che ha bocciato l’esclusione dei patteggiati ». Il Pdl frena perché Berlusconi potrebbe finire tra le prime vittime se arrivasse a sentenza definitiva il caso Mediaset? Ghedini smentisce: «Se la condanna a 4 anni fosse confermata, ma non lo sarà, scatterebbe l’interdizione, quindi per lui la legge non serve».
Costa parla, e Giulia Bongiorno, la presidente finiana della commissione Giustizia s’infuria. Esce e sbotta: «Adesso basta. Questo è un vecchio film, l’ho già visto un sacco di volte. È il tipico atteggiamento di chi ha sempre avuto da ridire sulle leggi che garantiscono la trasparenza». Poi: «Non si può buttare alle ortiche questo lavoro. Io stessa ho detto che il decreto è un po’ fiacco, ma tra dire così e non portarlo avanti ne passa ». Costa si arrabbia: «Come possono pretendere un nostro sì senza la minima eccezione? Le anomalie ci sono, e sono evidenti. C’è un manifesto eccesso di delega, perché quella votata in Parlamento parlava di reati fino a 3 anni che erano da individuare, invece loro non l’hanno fatto, per cui pure delitti come la diffamazione diventano motivo d’incandidabilità. È assurdo».
Senza la Lega, ben decisa a votare subito sì, il Pdl resta isolato ed è destinato a rimanere in minoranza se si vota. Per questo, alla fine, dirà di sì. Ma è ben deciso a tenere il punto fino all’ultimo. Perfino, per una volta, avanzando le stesse critiche del dipietrista Luigi Li Gotti. Il quale dichiara: «Quando si tratta di amici degli amici il governo è sempre di manica larga. Serviva un’inversione di marcia per garantire un Parlamento pulito, invece il decreto sull’incandidabilità esercita un eccesso di delega per aumentare la platea dei graziati perché anziché fissare l’asticella a 3 anni, come scriveva la delega, la porta quattro». Neanche a farlo apposta, in ambienti berlusconiani, ecco pronto l’attacco alla stampa: «Non ve lo siete chiesto il perché della modifica? Chi viene salvato con questo anno di abbuono? Se l’avesse fatto Berlusconi vi sareste scatenati, invece lo fanno Severino e Cancellieri e state zitti». Pure Bongiorno, proprio con Repubblica, aveva criticato la scelta di passare da tre a quattro anni. Dai ministri le polemiche non vengono raccolte. Quello della Giustizia Severino si augura solo che «la Camera si pronunci in tempi stretti» e annuncia che il governo «è pronto a intervenire », quindi a votare definitivamente il decreto. «Votare subito. Chiudere. Lanciare un segnale preciso sulle liste pulite» sostiene la Pd Donatella Ferranti. Questo potrebbe accadere se il Pdl non s’inventa qualcos’altro per mettersi di traverso.
La Repubblica 19.12.12