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“Lavoro, allarme Cgil per i precari”, di Luigina Venturelli

Anno nuovo, vita nuova? Non per i lavoratori precari, ai quali l’arrivo del 2013 porterà in dote il solito vecchio copione di contratti atipici, mal pagati e mal tutelati. Queste, almeno, sono le previsioni per i fortunati che si vedranno rinnovare i precedenti contratti. Perché molti di loro, invece, rischiano di restare senza posto di lavoro o di sentirsi proporre tipologie ancora meno garantite di quelle conosciute finora, quando con lo scadere del 2012 scadrà anche la maggior parte dei rapporti di essere ed entrerà in applicazione la riforma Fornero.
«NON RESTARE DA SOLO» È l’allarme lanciato dal Nidil Cgil la struttura sindacale del sindacato di Corso Italia che segue i lavoratori in somministrazione e quelli atipici che ha promosso la campagna «Capodanno 2013 Non restare da solo» con cui sta prestando assistenza ai giovani e meno giovani, sia nel pubblico sia nel privato, che da gennaio dovranno ridiscutere la propria posizione lavorativa. «Si presume che centinaia di migliaia di contratti di collaborazione scadano con la fine dell’anno» spiega la segretaria generale del sindacato, Filomena Trizio, «e che quindi vadano in vigore le norme della legge Fornero». Un passaggio che, secondo la dirigente Cgil, andrà vigilato con grande attenzione: «È auspicabile che queste norme siano applicate con una contrattazione di merito tra organizzazioni sindacali e impresa, senza la quale è alto il rischio che le aziende preferiscano la non attivazione di nuovi contratti o la loro trasformazione in tipologie ancora meno tutelanti». La legge Fornero, infatti, prevede che i nuovi contratti di collaborazione debbano rispondere a «progetti veri, con retribuzioni non inferiori ai minimi contrattuali, che determinino un risultato finale di modifica della situazione aziendale» e che possano essere attivati solo su mansioni che non siano ripetitive ed esecutive. Una stretta legislativa davanti alla quale i datori di lavoro potrebbero essere tentati da altre scorciatoie normative o, addirittura, da tagli occupazionali. Al Nidil, infatti, si stanno rivolgendo in questi giorni decine e decine di lavoratori: molte aziende «non stanno rinnovando i contratti o in alcuni casi, anziché trasformare le collaborazioni a progetto o le associazioni in partecipazione in lavoro dipendente, aggirano le norme con tipologie ancora peggiori come partite Iva, occasionali, e voucher». Secondo l’Istat, nel terzo trimestre dell’ anno i collaboratori in Italia erano 430mila, mentre i dati Inps parlano di quasi un milione e mezzo di persone che nell’arco del 2011 hanno avuto anche un solo contratto di collaborazione. E costoro non rientrano nemmeno nella proroga di sei mesi prevista dalla legge di Stabilità in base alla quale i precari della pubblica amministrazione con un contratto in scadenza a dicembre che ha superato il limite di 36 mesi potranno restare al lavoro fino al prossimo 31 luglio.
Giovani neoassunti: in cinque anni flessione del 20%. Solo uno su quattro ha avuto quest’anno un posto a tempo indeterminato
Che si tratti di un’emergenza generazionale, in grado di compromettere l’evoluzione sociale, prima ancora che economica del nostro paese, è ormai un dato di fatto: i giovani lavoratori italiani sono sempre meno, sempre più precari, sovraistruiti e meno pagati. Ogni ricerca non fa che confermare ed aggionare i numeri di questo spreco. Ultimo in ordine di tempo, il rapporto di Datagiovani che ha elaborato i microdati Istat della Rilevazione continua sulle Forze di lavoro, secondo cui nel primo semestre 2012 erano 355mila gli under 30 al primo impiego, vale a dire 80mila in meno rispetto al 2007, prima che esplodesse l’attuale crisi economica. In cinque anni, la flessione di posti di lavoro è stata ben del 20%.
L’ENNESIMA CONFERMA È stato ancora una volta il Mezzogiorno a pagare il prezzo più alto della recessione, con oltre la metà del «taglio» dei neoassunti (meno 24%), mentre nelle regioni settentrionali, dove si continua a creare la maggior parte dei nuovi posti di lavoro (44%), la contrazione è stata più contenuta (meno 12%). Oltre la metà dei neoassunti ha un contratto da dipendente a termine, mentre solo uno su quattro gode di un tempo indeterminato (meno 37% sul 2007). Tutto ciò nonostante cresca, nel frattempo, il livello di istruzione dei giovani, e con esso la domanda di professionalità più specializzate: il grosso della diminuzione dei neoassunti ha riguardato giovani con basso livello di istruzione (meno 46%). Nel 2007, quasi tre giovani su dieci al primo impiego si erano fermati al massimo alla scuola media inferiore, e il 53% al diploma o alla qualifica professionale, mentre nel 2012 la quota dei giovani con titolo di studio di basso livello è scesa al 19%, e sono cresciuti il livello medio (59%) e la laurea (22%). Molti laureati, dunque, vanno a ricoprire mansioni che tendenzialmente potrebbero essere occupate anche senza laurea. Tecnicamente, si parla di «overeducation»: quasi un laureato su tre neoassunto rientrava nel primo semestre 2012 in questa categoria, contro il 27% del 2007. E cresce anche la quota di chi lavora in periodi cosiddetti «disagiati» o «asociali»: la metà lavora anche al sabato (una incidenza sul totale degli under 30 al primo impiego aumentata di 5 punti rispetto al 2007) e quasi uno su quattro la domenica (con un incremento in termini assoluti di 4 mila giovani in più). Eppure la «qualità» contrattuale continua inesorabilmente a peggiorare: oggi sono 222mila i giovani al primo impiego precari, 7mila in più del 2007, e rappresentano il 62% dei neoassunti complessivi, mentre nel 2007 quando il 33% dei neoassunti aveva un contratto indeterminato, non il 26% del 2012 erano sotto il 50%. E peggiora anche l’aspetto retributivo: un under 30 neoassunto alle dipendenze guadagna mediamente 850 euro al mese, una somma inferiore di circa 180 euro alla media retributiva del complesso degli occupati con meno di trent’anni.
L’Unità 27.12.12
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“MEZZO MILIONE DI PRECARI IN BILICO RISCHIANO UN CAPODANNO SENZA RINNOVO”, di Valentina Conte
Mezzo milione di precari rischiano di essere ancora meno tutelati, se possibile. I loro contratti scadono con la fine dell´anno e i datori potrebbero non rinnovarli per evitare poi di convertirli in rapporti subordinati, in base alla riforma Fornero. Oppure di scivolarli verso forme ancora meno garantite, come partite Iva e voucher. Si tratta dei “collaboratori”, i più fragili tra i lavoratori precari, tra l´altro privi di qualunque forma di ammortizzatore, persino delle nuove Aspi o mini Aspi, al loro debutto il primo gennaio 2013.
L´allarme arriva dal Nidil, il sindacato dei lavoratori atipici della Cgil, che per l´occasione lancia una campagna ad hoc: “Capodanno 2013. Non restare da solo”. L´invito, rivolto ai “collaboratori” in scadenza, è di recarsi nelle sedi Cgil per valutare il tipo di contratto e studiare le vie d´uscita possibili. «Il rischio travaso, da sfruttati ad ancora più sfruttati, è serio e preoccupante», conferma Filomena Trizio, segretario Nidil. Nel mirino, all´interno dell´enorme galassia intermittente (2 milioni e mezzo più 5,5 milioni di partite Iva), finiscono i quasi 700 mila collaboratori (coordinati e continuativi e a progetto), di cui il 60-70% “scade” appunto tra quattro giorni. In base alla nuova legge sul lavoro varata a luglio, i nuovi contratti devono essere stipulati con estrema accortezza. Altrimenti scatta la trasformazione automatica in rapporti dipendenti.
Ma quali sono i nuovi e temuti requisiti? Il “progetto” deve essere vero, cioè specifico. Non può coincidere con l´oggetto sociale dell´azienda (una cassiera in un supermercato, ad esempio) né consistere in compiti meramente esecutivi o ripetitivi. Deve essere gestito in autonomia dal lavoratore e collegato a un ben determinato risultato finale. Queste norme, inserite dalla Fornero per scongiurare gli abusi e i lavori dipendenti mascherati, rischiano però in questa fase di peggiorare le condizioni di centinaia di migliaia di precari. Un datore posto di fronte all´alternativa se rinnovare o meno potrebbe essere spinto a rifiutare un altro contratto secondo i nuovi parametri o a proporre meno impegnative “partita Iva” e voucher. «Il punto vero è discutere su come vengono utilizzate queste figure “precarie”, distinguere le vere dalle false e mettere risorse per incentivare la conversione di questi contratti», incalza la Trizio. «Ma il governo Monti non l´ha fatto, decidendo di destinare invece due miliardi alla produttività. Così la norma Fornero, in sé corretta, senza strumenti di accompagnamento, ora potrebbe lasciare per strada mezzo milione di precari».
Senza lavoro e senza Aspi né mini-Aspi, dunque. Il nuovo ammortizzatore sociale, in vigore dal 2013, tutela i soli lavoratori privati dipendenti, apprendisti compresi, con almeno due anni di anzianità contributiva e un anno di contributi versati nel biennio. È pari al 75% delle retribuzioni fino a 1.180 euro mensili. Al 25% della parte eccedente per quelle sopra, fino a un massimo di 1.119, 32 euro. Dura 12 mesi per chi è sotto i 55 anni, 18 mesi per gli over 55. Ma dopo i primi 6 mesi cala del 15% e di un altro 15% dopo il primo anno. Pessime notizie, intanto, sul fronte occupazione: un rapporto di Datagiovani, anticipato da Repubblica.it nei giorni scorsi, riferisce che i neoassunti giovani del 2012 sono più precari e sovraistruiti, lavorano di più in orari “asociali” ma pagati meno. Rispetto al primo semestre 2007, tuttavia, le assunzioni sono diminuite del 20% e solo uno su 4 è stabile.
La Repubblica 27.12.12
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“TRE ANNI DA INTERINALE POI L’ADDIO PER EVITARE L’OBBLIGO D’ASSUNZIONE”, di Marina Cassi
Scaduto come lo yogurt. Conserva un poco di amara ironia Andrea. Ma sotto c’è molta delusione: «Sono arrivato alla fine dei tre anni con contratti interinali mese per mese e senza colpo ferire mi hanno lasciato a casa. Finito. Scaduto». Lavorava in una azienda piemontese dell’automotive. E ci sperava nell’assunzione. Anzi era quasi sicuro.
Ha 26 anni e un diploma da geometra con un sacco di specializzazioni di quelle che in teoria dovrebbero aprire le porte di un lavoro moderno e sicuro. E invece no. Andrea al massimo è riuscito a fare l’operaio. Racconta: «Nell’ultima ditta sono piaciuto molto. Al momento di dirmi, la vigilia di Natale, che era finita mi hanno fatto un sacco di complimenti. Sono efficiente, affidabile, sveglio. Grazie. E allora perchè sbattermi fuori? Semplice: perchè mi avrebbero dovuto assumere a tempo indeterminato», avendo superato 36 mesi tra interinale e tempo determinato. Andrea il dente avvelenato un po’ lo ha anche se, come molti della sua generazione, è pronto a tutto pur di lavorare. Nella fabbrica ha fatto per mesi il turno di notte e lavorato anche la domenica. Dice con un po’ di rimpianto: «Non sono mancato un giorno, mi sono adattato a tutto. Speravo finalmente di aver trovato un lavoro che potesse durare non dico la vita, ma almeno alcuni anni».
Andrea ha solo 26 anni, ma ha già fatto di tutto: «Operaio ovunque, magazziniere, trasportatore, postino. Mai un contratto di prospettiva. Ho fatto più cambiamenti io in sette anni di mio padre in una vita». Ma è la crisi che gli ha dato la mazzata: «Io sto messo così, ma peggio sono messi alcuni miei amici; uno è laureato in economia, ha fatto una stage per un anno a 300 euro al mese e poi grazie arrivederci a mai più». Lui, almeno, nei mesi con i turni di notte arrivava a 1300-1400 euro. E di quel lavoro in linea di montaggio adesso rimpiange persino i rapporti creati con i colleghi perchè tre anni in un luogo tutti di fila non li aveva mai passati e quel diventare parte di una comunità gli era piaciuto.
A casa a fine mese rimane anche Lucilla, 35 anni, videomaker che ha lavorato per un anno in una grande università del Nord-Est e adesso rimane a spasso anche lei con tanti complimenti. In lei la rabbia giovanile di Andrea sembra essersi affievolita. Non è inferocita più di tanto. Racconta: «Ho lavorato in quell’ateneo anni in tanti modi: contratti per mesi, collaborazioni a progetto fino all’ultima durata un anno. Adesso non si può rinnovare perchè c’è una stretta sulle causali dei progetti». Il suo lavoro con le mille specializzazioni che ha in Italia non esiste, nel senso che non è previsto nelle Università. All’estero sì, da anni. Ma così è. Adesso ricomincia la ricerca magari dalla aziende private che producono film per le tv italiane e estere, ma che non le hanno mai fatto un contratto per più di sei mesi.
La Stampa 27.12.12