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"Perché il Nord si fida ancora di questi due?", di Giovanni Cocconi

Il Pd vince le elezioni ma la Lega conquista la Lombardia e la parte più ricca del paese. Uno scenario insidioso. Può accadere davvero? E dove può portare? Premessa: questo non è l’ennesimo articolo sulla questione settentrionale. Si parte semplicemente da una domanda: se in Lombardia dovesse vincere Roberto Maroni (in leggero vantaggio nei sondaggi) il Nord in mani leghiste quali scenari potrebbe aprire per il centrosinistra al governo? Naturalmente nel guscio della stessa domanda se ne nasconde un’altra, che suona più o meno così: com’è possibile che, dopo vent’anni, il Nord si affidi ancora a quei due, Berlusconi e Maroni? Come si spiega che, nonostante un bilancio quasi fallimentare, la regione più ricca del paese possa credere ancora nel Carroccio, anche se nella versione ripulita e corretta dell’ex ministro degli interni?
Il nuovo leader leghista ha cambiato la strategia del movimento: lo ha allontanato da Roma e ha rimesso al centro la questione fiscale, ancora più centrale nelle fasi di recessione. Ripescata l’idea della “macroregione del Nord” per ammorbidire i dissensi sull’alleanza col Pdl, promette l’abolizione dell’Irap e il 75 per cento delle tasse sul territorio. Dalla secessione all’autonomia fiscale. Meno ambizioso ma più insidioso.
«Partiamo dai numeri – spiega il politologo Paolo Feltrin, – Lombardia, Veneto e Sicilia finiranno quasi sicuramente al centrodestra. La partita decisiva, anche per l’alleanza con Monti, si giocherà in Campania. Per fortuna per il centrosinistra il Pdl è un partito già morto e probabilmente si sfascerà mentre la Lega sarà l’unica vera opposizione. Il Nord potrebbe diventare l’opposizione del governo». Con quali scenari? «Due possibili. L’ipersecessionismo: si potrebbe moltiplicare per cento la situazione drammatica della seconda metà degli anni Novanta, con gli assalti al campanile di San Marco e le adunate sul Po, con un passaggio dal simbolico al concreto visto che la crisi è molto più grave di quella degli anni Novanta. Però c’è anche un’altra possibilità: Maroni è stato ministro degli interni e questo potrebbe attenuare eventuali propositi secessionisti, anche perché al Pirellone dovrà negoziare con banche, multinazionali e poteri forti».
«La vittoria di Maroni al Pirellone apre uno scenario che depotenzia e rende complicata la vittoria nazionale – è l’opinione del sociologo Aldo Bonomi – una situazione più complicata di quella delle parole virulente di ieri. Quando la Lega parla di “euroregione del Nord” il discorso non è più populista ma inserisce una contraddizione in una visione europea altra, dove la Lombardia guarda a Monaco e a Lione, e non a Roma. Certo, il forzaleghismo non esercita più le passioni di un tempo, sia l’individualismo proprietario che il sindacalismo di territorio fanno i conti con la crisi, ma i livelli di tassazione rilanciano la questione fiscale e per Monti l’Imu sui capannoni vuoti è una bomba dal punto di vista elettorale. Poi, certo, ci sono elementi di innovazione nel tessuto produttivo del Nord che guardano alla green economy e alle nuove tecnologie ma sono ancora delle avanguardie».
Il sociologo e studioso del Carroccio Roberto Biorcio non è così convinto del trionfo forzaleghista in Lombardia. «Fino a pochi anni fa non ci sarebbe stata storia. Oggi Berlusconi e Maroni non sono più così “vergini” politicamente e, anche al Pirellone, Ambrosoli potrebbe farcela. Certo, in fasi di crisi economica, le regioni più ricche tendono ad avvertire meno il richiamo alla solidarietà nazionale. In questo senso la Lega “alla bavarese” o “alla catalana” del progetto di Maroni è più insidisosa di quella di Bossi, gli può permettere di sostenere che ai lombardi converrà trattare direttamente con l’Europa invece che passando da Roma: da soli spuntiamo condizioni migliori».
Anche il senatore del Pd e costituzionalista Stefano Ceccanti evoca il rischio di uno scenario spagnolo: «Il parlamento avrà una maggioranza di un certo colore politico, il Nord di un altro colore. Due maggioranze, nazionale e regionale, che sembrano collidere senza che ci sia un luogo istituzionale di raffreddamento come un senato delle regioni».
In realtà, l’attuale Carta costituzionale non lascia alcuno spazio a possibili iniziative leghiste. I referendum in materia economico-fiscale non sono consentiti. L’articolo 116, terzo comma (evocato da Maroni) consente l’allargamento dell’autonomia tipica delle regioni a statuto speciale anche ad altre ma richiede l’approvazione delle camere a maggioranza assoluta dei componenti. L’articolo 138, poi, apre alla possibilità di una revisione costituzionale su proposta di cinque regioni ma qui parliamo di tre possibili regioni a maggiorana forzaleghista, quattro al massimo con il Friuli. L’unico spazio per Maroni potrebbe essere quello di referendum regionali convocati negli stessi giorni in tutte le regioni del Nord.
Però, alla fine, la domanda è sempre quella del titolo: perché il Nord – dopo vent’anni – crede ancora a Berlusconi e Maroni? Per Feltrin «in tutti i paesi moderni esiste un confronto tra una sinistra moderna e una destra moderna, in Italia per molti aspetti ancora no, e in fondo siamo ancora alla dialettica politica di trent’anni fa tra comunisti e anticomunisti, magari aggiornata a pro-Cgil e anti-Cgil. Anche Monti non è riuscito a sciogliere questo a contraddizione».
Per Biorcio «l’aver trovato un nuovo colpevole della crisi in Monti porta voti a Pdl e Lega, ma non so se basterà loro per vincere al Nord. Certo, senza il Nord è difficile governare».

da Europa QUotidiano 15.01.13