attualità, cultura

"Rivoluzione a S. Pietro", di Ezio Mauro

Un Papa a sorpresa, venuto dalla fine del mondo quasi a dire basta agli intrighi e ai ricatti italiani della Curia e alla paralisi di governo che ha indebolito la vecchiaia di Benedetto XVI fino alla rinuncia. Ma un Papa che evidentemente la Chiesa preparava da tempo, se è vero che già nel 2005 Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, era uno dei due candidati forti del Conclave, sostenuto dai riformatori che poi lui stesso portò a convergere su Ratzinger, per evitare una scelta più conservatrice.
Per due volte a distanza di otto anni, dunque, due Conclavi hanno elaborato la candidatura a Papa del cardinale argentino, e bisogna tener presente che nel frattempo la composizione del Sacro Collegio è cambiata per quasi il 50 per cento. La considerazione di Bergoglio è dunque alta, forte e costante nei vertici della Chiesa universale. Ma questa volta gli scandali vaticani hanno pesato in suo favore. E hanno chiuso la porta al ritorno di un Papa italiano (cioè a Scola, il vescovo più qualificato e conosciuto) per metter fine a un sistema di potere simbolicamente impersonato dalle figure del Decano del Collegio Cardinalizio e del Camerlengo, Sodano e Bertone, che scadono con la fine della Sede Vacante.
L’addio al pontificato di Ratzinger ha dunque lasciato un “segno” visibile nel Conclave. La scelta di successione a Benedetto XVI rappresenta infatti un rovesciamento geografico e culturale del potere curiale vaticano talmente evidente e simbolico da diventare un gesto politico che scuote Roma parlando al mondo. Un gesto di apertura e di speranza che chiude un’epoca e porta il Papa fuori dai Sacri Palazzi, liberandolo dal potere per sperare di ritrovarlo pastore.
Questo significato del Conclave, che ha appreso fino in fondo il “mistero” dell’impotenza coraggiosa di Ratzinger, è stato potenziato ed ampliato dalle primissime mosse del nuovo Papa, ben consapevole fin dal suo apparire sulla Loggia di San Pietro della necessità di una rottura con un mondo e un modello di potere che ha finito per imprigionare se stesso, fino a consumare la stessa azione di Ratzinger, in una sovranità infine esausta perché immobile. Bergoglio infatti nelle sue prime parole non si è mai definito Papa (cioè sovrano e Vicario di Cristo) ma vescovo, quindi pastore, e ha annunciato che il vescovo di Roma e il suo popolo cammineranno insieme.
Un richiamo quasi giovanneo, tanti anni dopo, un conferimento della maestà alla comunità cristiana, una suggestione di collegialità, in quell’invito insistito e convinto – prima della benedizione apostolica del Pontefice ai fedeli – alla preghiera della piazza e del mondo per il Papa, per non lasciarlo solo, per dargli quella forza che deriva certo da Dio per chi crede, ma anche dalla convinta e fraterna partecipazione del popolo cristiano. Mentre questa preghiera avveniva in silenzio, per la prima volta durante il rito solenne dell’Habemus Papam Jorge Bergoglio ha curvato la maestà papale verso la folla, nell’umiltà di un inchino del Sommo Pontefice che sulla Loggia non si era mai visto.
Tutto questo senza titubanze e cedimenti, ma con la sicurezza spontanea di chi si sente pronto, il sorriso di chi chiede aiuto non per timore, ma per scelta. E la prova più grande di questa umiltà personale unita all’ambizione del cambiamento viene dalla scelta del nome, che nessun Papa aveva mai osato pronunciare per sé come successore di Pietro: Francesco. Un nome che è un progetto e un vincolo per il pontificato, quasi la denuncia programmatica della necessità di un gesto estremo, un ritorno alle origini, al Vangelo, all’Annuncio, alla missione di una Chiesa disincarnata dal potere e dalle sue pompe.
Quasi un punto e a capo, nella scelta di un nome che non ha precedenti nella lunga storia del pontificato, e che suona come una promessa agli ultimi e una minaccia ai potenti. L’indicazione di un Papa che sa di dover camminare tra i lupi, che è pronto a spogliare il Vaticano dei suoi ricchi mantelli, che proverà a rinunciare alle ricchezze occulte dello Ior, che testimonierà col solo risuonare del suo nome nei Sacri Palazzi quel sogno che spinse il frate di Assisi a Roma da Innocenzo III, dopo aver avuto la visione terribile del Laterano – sede del Papato – che minacciava di crollare disfacendosi.
È come se il Papa, già anziano nei suoi 76 anni, sentisse di non avere molto tempo di fronte all’irreparabile, la consunzione del ruolo della Chiesa attraverso gli scandali, le lotte di potere, i corvi, i peccati di Curia contro il sesto e il settimo comandamento, la rete di ricatti che da tutto ciò è cresciuta, avviluppando il visibile e l’invisibile della potestà vaticana e deturpandone il volto, come dice l’ultima drammatica denuncia di Ratzinger dopo la rinuncia. Papa Francesco potrà essere soltanto un uomo di rottura con questo viluppo di bassi poteri. Nel segno della preghiera come affidamento, della sobrietà come obbligo di coerenza coi valori di fede, della povertà come scelta. Quella croce semplice, di metallo su una veste tutta bianca era già la conferma di uno stile diverso anche per il Capo della Chiesa cattolica. In coerenza con la predicazione pratica del vescovo di Buenos Aires, ortodosso e fermo nella dottrina (la fede in Cristo come “alleanza” non solo “informativa ma performativa”, perché non è un semplice annuncio, ma un cambiamento di tutta la vita), rivoluzionario nella scelta di stare dalla parte degli ultimi, dei più poveri, degli sconfitti e degli “schiavi”, nella convinzione che su questo si svolgerà il Giudizio nell’ultimo giorno.
Questo avvento di pontificato che ribalta evidentemente la geopolitica eurocentrica della Chiesa, probabilmente grazie ad una convergenza su Bergoglio dei cardinali americani, avviene dunque nella scelta di un nome che è una profezia di cambiamento, come se dopo l’immediata preghiera con la piazza per Joseph Ratzinger il nuovo pontefice avesse fretta di voltare pagina. Il rinnovamento ha naturalmente un costo. Papa Francesco dovrà capire che nei suoi doveri universali c’è anche quello della piena trasparenza sui suoi rapporti con la dittatura militare argentina, sugli scandali di compromissione che lo hanno chiamato in causa come gesuita in vicende mai chiarite. Dovrà farlo per avere le mani libere. E poi, non potrà tornare indietro rispetto alla novità che rappresenta, al mondo finito che lo ha preceduto, alle necessità di rinnovamento dell’istituzione cristiana, al rapporto tra l’universalità della Chiesa e la chiusura del Vaticano. Al peso, al dovere e all’obbligo che deriva dalla scelta di chiamarsi Francesco.

La Repubblica 14.03.13

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Il gesuita amico dei poveri che nel Conclave del 2005 non volle diventare Papa”, di MARCO ANSALDO

DA QUEL momento in poi, con Benedetto Pontefice, Bergoglio si era ritirato in patria, parlando poco con i media, ma agendo molto. Con stile e comportamento tipico da gesuita. E anche quando Ratzinger decise, lo scorso 11 febbraio, di rinunciare al Pontificato, in pochi tornarono a pensare alla scelta di Bergoglio. Solo negli ultimi giorni, quasi nelle ultime ore, il nome dell’arcivescovo di Buenos Aires era circolato tra i papabili, dietro l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, e al porporato canadese Marc Ouellet.
Bergoglio è il primo Papa sudamericano. E un Pontefice che viene dall’America Latina ha un significato geopolitico e religioso molto preciso, con una scelta non solo rapida da parte degli eminentissimi (al quinto scrutinio, Ratzinger fu eletto al quarto), ma che punta a guardare a un continente dove la fede cristiana è in crescita e può prosperare laddove in altre zone, come l’Europa, appare in forte calo.
L’argentino Bergoglio è però anche il primo Pontefice gesuita nella storia del Papato. L’ordine fondato da Ignazio di Loyola nel 1534, pur essendo considerato come molto potente, non è tuttavia mai riuscito a dare un Papa, avendo fra le altre cose una gerarchia molto strutturata con in testa un preposito generale, tradizionalmente chiamato il “Papa nero”.
Bergoglio è un pastore, ma anche un intellettuale. È una persona che ama e serve i poveri, come spiegava ieri notte un suo confratello. Solito spostarsi in autobus, vive in un appartamento molto semplice ed è abituato a cucinare da solo i suoi pasti. In questi giorni, ai giornalisti che lo chiamavano, se non riusciva a rispondere subito, poco dopo arrivava comunque la sua chiamata di ritorno. Quando fu creato cardinale, alle persone che intendevano seguirlo a Roma per festeggiare l’evento, disse di destinare piuttosto quei proventi alla gente che aveva nulla.
È conosciuto come un personaggio molto spirituale, ma anche come un leader. È infatti stato Provinciale dei gesuiti in patria, e benché non abbia avuto incarichi nei dicasteri pontifici, sono in molti ora pronti a scommettere che mostrerà la voglia di mettere mano alla riforma della Curia per far ripartire la macchina vaticana. Scontrandosi se necessario con chi gli impedirà di farlo.
Il nuovo Papa ha persino conosciuto l’amore per una donna. Nel libro-intervista “Il gesuita”, infatti, scritto dai giornalisti Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin nel 2010, il capitolo “Mi piace il tango”’ è il capitolo più intimista con il porporato argentino. E in quel testo Bergoglio rivela di aver avuto una fidanzata: «Era del gruppo di amici con i quali andavamo a ballare — diceva — Poi ho scoperto la vocazione religiosa». Ma da buon argentino ama il calcio e il tango. La sua squadra preferita è il San Lorenzo di Almagro. Tra i suoi scrittori preferiti ci sono Jorge Luis Borges e il russo Dostojevski. Al cinema gli piacciono i film del neorealismo italiano. Non si sa se abbia visto “Habemus Papam” di Nanni Moretti.
Nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, Jorge Mario Bergoglio, è oggi il 266º Pontefice della Chiesa cattolica. Non un Papa giovanissimo, dunque, come molti forse si attendevano dopo le dimissioni per salute di Ratzinger. L’origine è quella di una famiglia piemontese, uno dei cinque figli di un impiegato delle ferrovie dell’astigiano, Mario, e di Regina Sivori, una casalinga.
È ordinario per i fedeli di rito orientale residenti in Argentina e sprovvisti di ordinario del proprio rito. Ha studiato e si è diplomato come tecnico chimico, ma poi ha scelto il sacerdozio ed è entrato nel seminario di Villa Devoto. È in questo periodo che ha gravi problemi respiratori, che lo portano all’asportazione di un polmone. Nel 1958 la sua decisione di diventare novizio nella Compagnia di Gesù. Il giovane Bergoglio ha poi compiuto studi umanistici in Cile e nel 1963, di ritorno a Buenos Aires, ha conseguito la laurea in filosofia presso la Facoltà di Filosofia del collegio massimo “San José” di San Miguel. Per mantenersi gli studi per un breve periodo ha lavorato anche come buttafuori in un locale malfamato di Còrdoba.
Fra il 1964 e il 1965 è stato professore di letteratura e di psicologia nel collegio dell’Immacolata di Santa Fe e nel 1966 ha insegnato le stesse materie nel collegio del Salvatore di Buenos Aires. Il 13 dicembre 1969 è stato ordinato sacerdote. Caratteristica dei gesuiti è di guardare ai bisogni della Chiesa universale. Con uno sguardo largo verso le questioni di carattere internazionale. E la sua elezione sembra andare verso il senso di una chiamata forte, e non di una ricerca di autorità e di potere.
Nel 1973 è stato eletto Provinciale dell’Argentina, incarico che ha esercitato per sei anni. Anni difficili, quelli della dittatura argentina. E sono controversi i suoi rapporti con il regime: di contrasto secondo alcuni, e di sottomissione secondo altri. Sicura è invece l’adesione, temporanea, alla Teologia della liberazione. Fra il 1980 e il 1986 è stato rettore del collegio massimo e delle Facoltà di Filosofia e Teologia della stessa Casa e parroco della parrocchia del Patriarca San José, nella Diocesi di San Miguel. Nel marzo 1986 è andato in Germania per ultimare la sua tesi dottorale; quindi i superiori lo hanno destinato al collegio del Salvatore, da dove è passato alla chiesa della Compagnia nella città di Cordoba come direttore spirituale e confessore. Giovanni Paolo II il 20 maggio 1992 lo ha nominato Vescovo titolare di Auca e Ausiliare di Buenos Aires. Il 27 giugno dello stesso anno ha ricevuto nella cattedrale di Buenos Aires l’ordinazione episcopale.
Ha scritto tre libri: «Meditaciones para religiosos », che risale al 1982, «Reflexiones sobre la vida apostólica» del 1986, e «Reflexiones de
esperanza» del 1992. Dopo la nomina cardinalizia da parte di Papa Giovanni Paolo II, il 21 febbraio 2001 è stato eletto a capo della Conferenza episcopale argentina, dal 2005 al 2011.
Ieri la stampa latinoamericana ha accolto con gioia e entusiasmo l’elezione dell’arcivescovo di Buenos Aires. Diversi sono stati però anche i titoli critici di alcuni quotidiani che hanno insistito su aspetti più polemici della storia e personalità del nuovo Pontefice o sui suoi rapporti politici in patria. E in Argentina il quotidiano progressista “Clarin” ha ricordato «l’aspra relazione di Bergoglio con i Kirchner», soprattutto con il defunto ex presidente Nestor.
Fermamente contrario al matrimonio gay, Bergoglio ha però guadagnato popolarità nel suo Continente per aver lavato i piedi dei malati di Aids. Schivo, colto, è sempre stato restio ad accettare ruoli curiali. Molti nunzi apostolici, però, lo apprezzano, e non da oggi. È infatti uno strenuo oppositore del lusso e degli sprechi.

La Repubblica 14.03.13

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Francesco, un nome che è un programma di Pierluigi Castagnetti

Finalmente è arrivato papa Francesco. Un nome che è un programma. Volevamo un papa italiano, è arrivato un italiano emigrato dall’altra parte del mondo. Quel suo esordio: “Fratelli e sorelle buonasera” ci ha portato improvvisamente alla mente l’immagine di papa Giovanni, così come il congedo: “Buonanotte e buon riposo”.

Sappiamo che Giorgio Mario Bergoglio era stato votato già nel Conclave precedente che elesse poi Benedetto XVI, e sappiamo che in quella occasione a un certo punto ha implorato i suoi confratelli di non insistere sul suo nome. Probabilmente questa volta attorno a lui si è formato un consenso larghissimo, forse unanime, che gli ha impedito ogni libertà rispetto all’accettazione della volontà del Signore.

Questa chiesa ha veramente mostrato con l’elezione di papa Francesco I la sua capacità di sorprendere il mondo, cambiando se stessa come era nell’auspicio del gesto finale di Benedetto XVI. Quelle dimissioni avevano in sé la richiesta e la forza del cambiamento che questo Conclave ci ha donato. Un Conclave che ha spostato l’asse della chiesa, portandolo fuori dall’Europa, là dove oggi vive la maggior parte dei cristiani cattolici, al centro della scena del mondo nuovo.

In quelle poche parole che papa Francesco ha pronunciato in Piazza San Pietro ieri sera si intravede già il segno dell’intenzione di aprire la chiesa a una gestione veramente collegiale, consapevole che – senza mettere in discussione il primato petrino – la chiesa non può rimanere chiusa dentro strutture troppo distanti dalla vita del suo popolo. Papa Francesco ha insistito a definirsi vescovo di Roma, rivolgendosi al popolo presente in piazza San Pietro come al popolo della chiesa di Roma, salutando, oltre al suo predecessore definito “vescovo emerito di Roma”, unicamente un altro vescovo, il suo vicario nella diocesi di Roma e, evocando Sant’Ignazio, ha parlato della chiesa di Roma come quella che presiede nella carità tutte le altre chiese locali.

Attendevamo una novità ed è arrivata, e molte altre se ne annunciano.

da Europa Quotidiano 14.03.13