attualità, politica italiana

"La democrazia dell’anatema", di Nadia Urbinati

Molti cittadini hanno espresso il loro disappunto per l’anatema lanciato da Beppe Grillo contro i “traditori” che in Senato non se la sono sentita di considerare Schifani e Grasso equivalenti. Quei cittadini hanno messo il dito nella piaga di un movimento che crede che la democrazia implichi unanimità (salvo poi praticare la regola di maggioranza quando deve espellere i traditori!).
E hanno messo in luce una verità fondamentale: non ci può essere Parlamento senza libertà. Non solo libertà di parola e di associazione dei cittadini che devono poter fare campagna elettorale e tenere libere elezioni, ma anche libertà di decisione di chi siede in Parlamento. Come sanno bene i partiti, nemmeno la loro più ferrea disciplina può togliere al singolo rappresentante la libertà di decidere e votare secondo il proprio giudizio. E le espulsioni dal partito non si traducono in decadenza del mandato parlamentare. La nostra libertà come cittadini dipende da questa intraducibilità, e cioè dalla libertà dei nostri rappresentanti. Nel libero mandato sta la forza della democrazia elettorale. Senza il quale i deputati sarebbero dipendenti al servizio di un padrone che sta al di sopra dell’interesse generale.
Ha colto nel segno quel blogger che ha scritto, rivolgendosi a Grillo e alla sua minaccia di espellere chi ha votato Grasso, queste parole: “E voi sareste contro la partitocrazia? Ma è proprio questo! Limitare la libertà di scelta perché fa comodo al partito. Siete peggio dei peggiori partiti della prima repubblica. Viva la libertà di pensiero. Viva i cittadini che hanno scelto di dire no al padrone del partito. Così hanno reso un servizio alla
gente”.
La libertà dei rappresentanti si incontra con quella dei cittadini e,
se la prima viene meno, anche la seconda è violata. Il mandato libero, ripetiamolo a chi ne ha dato una definizione distorta e sbagliatissima, non serve a dare all’eletto la libertà di saltare i fossi e passare da uno schieramento a un altro — se questo avviene, non si deve concludere che la norma è sbagliata. Ad essere “sbagliato” – nel senso di eticamente riprovevole – è il comportamento del deputato. Ma meglio rischiare queste violazioni (e, se necessario, lasciare che la legge le punisca se il salto è stato pagato con moneta sonante) che volere una violazione fatale: quella che ci sarebbe se non ci fosse mandato libero.
La libertà di essere responsabili di fronte ai cittadini significa anche rendersi conto chi siede in Parlamento è come un pezzettino del popolo sovrano e che, quando si trova a dover decidere su questioni istituzionali, dovrebbe ragionare mettendosi dal punto di vista dell’interesse generale, ovvero del “come se” al suo posso ci fosse il popolo tutto. Un processo che potrebbe sembrare astratto, ma non lo è perché tutti noi siamo capaci di ragionare mettendoci dal punto di vista degli altri, anzi di tutti. Questa visione larga del giudizio politico che ci consente di pensare a noi come parte di un tutto grande è alla base della nostra capacità di cittadinanza. Il parlamentare si identifica certamente con una bandiera ma sa che perfino mettendosi dal suo punto di vista può riuscire a vedere il tutto, il generale. Un po’ come avviene con la prospettiva pittorica: certo, diversi punti di vista ci danno diverse visioni dello stesso luogo. Diverse idee politiche, anche opposte, ci portano a vedere una stessa cosa da diverse angolature e però sappiamo che si tratta della stessa cosa. Il disonesto non diventa onesto se visto da una diversa prospettiva. E quando si impongono scelte istituzionali (come quelle che portano all’elezione dei presidenti di Camera e Senato), scelte che dovrebbero interrogare proprio quel giudizio largo sull’interesse generale, questo lo si vede con facilità… a meno che l’identità di partito non faccia ombra al giudizio. È questo che Grillo si ostina a chiedere ai suoi che siedono in Parlamento.
Ed è questo che ha fatto il gruppo dei montiani, del quale desta particolare stupore la decisione di votare scheda bianca. Poiché la filosofia nel nome della quale è nata la lista montiana è la competenza e l’oggettività, la dirittura morale e l’onestà, contro le ideologie di destra e di sinistra. E quindi ci si sarebbe aspettati che non decidessero per ideologia, come hanno invece fatto votando scheda bianca. La similitudine di M5S e montiani è sorprendente: si sono entrambi candidati appellandosi all’antipolitica contro i partiti (nel nome della totale trasparenza, sia essa della moralità o della verità) ed entrambi si sono comportanti come i partiti, anzi i peggiori dei partiti: con ideologia e per disciplina di partito.

La Repubblica 19.03.13