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"Il M5S e quell'altezzosa voglia di non partecipare", di Giuseppe Grasso

Gli esponenti del M5S cominciano a farsi conoscere (o meglio riconoscere). Ieri, nel colloquio avuto con Bersani, ripreso in diretta streaming, un loro drappello ha espresso il suo no categorico a ogni tipo di appoggio. La cittadina Roberta Lombardi forse non sa che il Pd può essersi anche giocato la propria «credibilità» sulla ribalta della politica; ma il neonato Movimento di cui lei è portavoce – e su cui un terzo degli elettori italiani ha scommesso – dovrà tagliare il suo nastro, a un certo punto, se non vuole che la fiducia che gli è stata accordata possa sfuggirgli come sabbia tra le dita.
Non sapere non è una colpa. Diventa però difficile anche solo interloquire con chi è inconsapevole e crede di sapere mentre è vittima della più completa ignoranza. Sono stati i Cinque Stelle a voler andare in onda, e sembrava un nobile desiderio di trasparenza civica. In soli 31 minuti, invece, lo spettacolo si è fatto imbarazzante. Si è capito che non era un desiderio elevato. Era un bisogno, e di quelli più bassi e miseri, coatti, in stile Grande Fratello: l’esibizionismo degli impotenti. Bersani, seppur alla ricerca di un contatto, dinanzi all’equipollenza sciagurata che, con l’aria di chi la sa lunga, gli propina la Lombardi, sobbalza a tanta insensibilità verso un colloquio istituzionale: Nossignore! Non siamo a Ballarò di Floris. Si ribella il Presidente. La battuta è del tutto fuori luogo e non fa ridere nemmeno da casa.
La Lombardi, che ha scambiato questo importante appuntamento con la storia italiana per il gioco da tavola di una domenica uggiosa, sfodera oltre il suo improbabile talento da analista dei partiti: Voi politici siete tutti uguali! Anche Enrico Letta desiste: ha capito che non è aria di rispondere quando l’aria che tira è quella fetida della banalità del male. L’essere storditi dal successo può provocare di simili atteggiamenti – atteggiamenti che denotano, purtroppo, una scarsissima capacità di sostenere il risultato ottenuto alle urne. Il massimalismo, del resto, è una vecchia tara della sinistra radicale italiana che ha finito, col tempo, per rivelarsi perdente.
Vito Crimi, che sembra più possibilista, dà atto a Bersani della «bontà del suo impegno», ma poi lo incalza affermando che loro sono «la generazione che non ha mai visto programmi elettorali realizzati» e che, per questo motivo, si sentono «di dover respingere la responsabilità sull’eventuale non partecipazione al governo». Vaglieranno di volta in volta ogni «singolo provvedimento», vanno ripetendo da tempo i Cinque Stelle, e daranno il loro sostegno solo su «singole proposte condivisibili».
Intanto, senza una fiducia pur minima, è impossibile che un governo nel pieno delle sue funzioni possa nascere; e ciò non tanto per soddisfare questa conventicola o quella ma per il bene stesso del popolo italiano, che lo chiede con insistenza sempre più crescente. L’esecutivo ipotizzato da Bersani, probabilmente, non è il peggiore, nato com’è sotto nuovi auspici e la voglia di cambiare quella legge definita porcellum che grida vendetta. Ed è forse l’unico in grado di operare quel mutamento necessario tanto auspicato da Grillo.
L’intento destabilizzante del M5S è palese: prima fare tabula rasa di tutto l’establishment dei «padri puttanieri», poi ricostruire, sulle macerie della vecchia partitocrazia, una società molto simile a Utopia. Portare a casa il 100% dei consensi, come vagheggia Beppe Grillo, non ci sembra affatto politically correct. Riporta la mente a ideologie totalitarie che fanno rabbrividire. Nessuna volontà di occuparsi del governo del paese, nessun desiderio di affrontare la crisi e i problemi che lo attanagliano nell’immediato. Non sono loro che hanno creato i cassintegrati. Questo, in sostanza, il messaggio di chiusura dei cinque Stelle, stanchi di tanta monotona impunità e incaponiti in un veto pregiudiziale a ogni forma di esecutivo.
Però non si può continuare a raccontare la politica solo da quest’angolazione. Il Pd ne prenda atto e smetta di supplicare una fiducia in bianco a chi, reiteratamente, ha mostrato di non volerne sapere. Abbiamo ancora sotto gli occhi l’esempio dell’ultimo governo Prodi messo in scacco da Bertinotti e da Mastella. Se i Cinque Stelle avessero riflettuto, avrebbero fiutato l’occasione in qualche modo storica derivante dalla fiducia chiesta loro da Bersani. Avrebbero capito che sarebbe stata quella la carta vincente che il nostro Bel Paese si merita. È facile non sporcarsi le mani e trincerarsi dietro l’onorabilità del «nuovo»! Bersani – che pure ha fatto tanti errori di cui ora sta pagando il fio, sempre morbido e comprensivo con Monti – è comunque sceso a più miti consigli propugnando un esecutivo del «rinnovamento».
La supponenza e la voglia di sfondare potrebbero non premiare i cittadini del M5S alle prossime votazioni. Già se ne ha sentore nel web dove impazzano le critiche aspre degli elettori che reclamano un comportamento più costruttivo dei loro eletti e una partecipazione diretta nella gestione della cosa pubblica. Grillo gongola e lancia i suoi soliti improperi all’indirizzo dei partiti mentre gli esodati tradizionali e della scuola – caso paradigmatico di una più diffusa disperazione sociale figlia della riforma Fornero – fanno riecheggiare nelle piazze, come storni impazziti, il loro grido d’angoscia invocando equità sociale e rinascita economica.
Se è legittimo non credere nel Pd e nei partiti tradizionali, sul M5S si può solo scommettere, una passione, questa della scommessa, che tramuta lo stato in un ignobile sciacallo. Ai politici «impresentabili» e a quelli «non credibili» si aggiungono ora i grillini in-credibili, i quali, invece di mettersi al lavoro alacremente e di collaborare con il Pd, come è accaduto nella regione Sicilia, si stanno rivelando sempre più, con la delusione e il disappunto di molti, dei fanatici e inconcludenti venditori di fumo.

da www.tecnicadellascuola.it

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