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"Università, anno zero. La mannaia Gelmini", di Roberto Ciccarelli

Dei 14 mila pensionamenti pochissimi saranno sostituiti. Parla Luigi Biggeri, direttore del Cnvsu . Il blocco delle assunzioni e la legge Gelmini mettono a rischio il funzionamento degli atenei. «Non c’è programmazione», dice il direttore del Comitato di valutazione del sistema universitario. A impoverirsi di più sono le facoltà umanistiche. L’allarme della commissione Ue sul rapporto Ocse: il 21% dei ragazzi italiani non è in grado di leggere o scrivere un testo.

Per Luigi Biggeri, già presidente dell’Istat e oggi a capo del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu), il taglio di oltre 300 corsi di studio voluto dal governo per razionalizzare la formazione universitaria è avvenuto in assenza di un disegno strategico ed è basato su compromessi tra gruppi di potere. «Questi gruppi — afferma – dipendono dalla “forza” dei settori scientifico-disciplinari, e la loro prevalenza è dovuta alla mancanza di programmazione. A meno che non ci siano concorsi frequenti, un corso di studio verrà riorganizzato a partire dalla disponibilità del personale esistente. Nelle facoltà di scienze, dove andrà in pensione il 32 per cento degli ordinari di fisica entro il 2015, è inevitabile ,che i docenti che restano tenderanno ad aumentare i posti disponibili nelle loro materie».

Quanto peserà il taglio dl 1,3 miliardi di euro al Fondo ordinario degli atenei?
In maniera massiccia. Nei prossimi anni diminuirà del 13-14 per cento. Sarà in parte compensato dai pensionamenti di 14 mila docenti su oltre 57 mila docenti, ma purtroppo non ci saranno altrettanti nuovi ingressi di personale. Questa situazione costringe ad operare un taglio forzato e non in base ad una programmazione. Se poi consideriamo che le spese per la ricerca e la formazione, sono allo 0,8 per cento del Pil, si capisce in quale dramma ci troviamo.

E la messa in esaurimento entro il 2013 del ricercatori a tempo indeterminato?
Difficile dirlo. In Italia abbiamo i ricercatori più anziani d’Europa, la media è di 45-50 anni, anche se dal 1998 aumentano i 35enni. Tra i ricercatori si registra inoltre una crescita delle uscite, gran parte per limite d’età, ma anche per dimissioni volontarie. Nel 2010 i pensionati sono stati 437, 347 invece le dimissioni. Se pensa che le uscite erano 205 nel 2005 si capisce l’accelerazione in atto.

Per quale ragione si dimettono?
Verosimilmente, perché trovano una migliore occasione di lavoro. Perché I settori disciplinari più colpiti da questo processo di dismisslone sono quelli umanistici? Perché la maggioranza dei concorsi nel 1980, nel 1986 e nel 1990 sono stati svolti in queste aree dove oggi si prevede una forte ondata di pensionamenti. Il personale è una risorsa rigida, almeno per come è gestito in Italia. In questi settori ci saranno meno concorsi visto che andranno in pensione molti professori ordinari, gli unici che li possono chiedere.

La riforma del reclutamento prospettata nella riforma Gelmini aumenterà la soglia di accesso alla ricerca che già oggi è di 37 anni?
Spero proprio di no. Questa soglia così elevata dipende dal fatto che esiste una terra di mezzo in cui ci sono gli assegni di ricerca, le borse di studio e i contratti di ricerca. Ogni anno il sistema produce 12 mila dottori di ricerca, senza contare che gli assegnisti sono quasi 13 mila. Per come è congegnata la nostra università queste sono tutte figure in attesa di concorso. Senza una programmazione, che dovrebbe avvenire anche per settori disciplinari, si rischia che dei 14 mila pensionati solo pochissimi saranno sostituiti entro il 2015. Bisogna garantire l’entrata in ruolo entro 32 anni, se non prima. Purtroppo oggi non è così.

Chi dovrebbe svolgere l’attività di programmazione e quali i parametri seguirà?
Dovranno farla il ministero e l’agenzia nazionale di valutazione della ricerca. I parametri devono essere ancora definiti. Quelli che esistono sono troppo vaghi. Per ora l’Anvur è una scatola vuota.

Gli umanisti sono la maggioranza dell’accademia Italiana, eppure non sono rappresentati nell’Anvur. Come lo spiega?
Sono state fatte polemiche vane sapendo che i componenti del consiglio direttivo sono sette. Nell’analoga agenzia francese sono 25. Se si voleva una rappresentanza per territorio e per settore scientifico avrebbero dovuto essere di più. Non credo inoltre che gli esperti nominati per valutare l’efficienza degli atenei e della formazione orienteranno il lavoro in base alla loro provenienza scientifica. Il problema si pone sulla valutazione dei singoli lavori, ma non è questo il caso. Per fare questo l’Anvur avrebbe bisogno di assumere personale. In Francia ci sono 4 mila valutatori.

Quindi ci vuole un plano di investimento? Esatto. Solo per l’accreditamento dei 5 mila corsi di studio esistenti nel 2005 occorrevano 13 milioni all’anno. Ora saranno di più. Non li abbiamo mai ricevuti. Nessun ministro ha mai preso in considerazione questo problema.

Questa esigenza sarà presa In considerazione?
Me lo auguro, ma occorrono risorse. Al momento il personale previsto è un decimo di quello francese.

Quanto è stato stanziato per l’Anvur?
Cinque milioni, quelli a disposizione del Cnvsu e del Comitato di valutazione della ricerca che confluiranno nell’agenzia. In Francia si spendono 70 milioni all’anno.

da il Manifesto

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“Tredicimila assegnisti a rischio «sfratto»”, di Ro. Ci.

ATENEI Il combinato disposto di un articolo della «riforma» e dei tagli al settore pubblico
L’esordio della riforma Gelmini sta provocando il caos nelle università. Lo denuncia il Coordinamento dei precari della ricerca e della docenza (Cpu) secondo il quale l’abolizione degli assegni di ricerca stabilito dalla riforma sta spingendo gli atenei e il Consiglio Nazionale delle Ricerche a lanciarsi in interpretazioni fantasiose. Sono ormai numerosi i casi in cui le facoltà non procedono ai rinnovi dei contratti già previsti dai bandi originari. Arrivano anche notizie su quelle che hanno bloccato le procedure di svolgimento dei concorsi e la presa di servizio per i vincitori dei concorsi banditi prima del 29 gennaio, giorno in cui la legge è entrata in vigore.
Molto dipende dal fatto che un comma dell’articolo 6 della legge è scritto male e si presta ad interpretazioni diverse. Indiscrezioni dal ministero dell’università sostengono che la prossima settimana l’ufficio legislativo diramerà una nota che permetterà di risolvere il problema. Per allontanare il rischio di un licenziamento di massa sembra che il governo darà parere favorevole ad un emendamento al Milleproroghe che rinvia lo stop al 1 gennaio 2012, in modo da permettere agli atenei di trovare una soluzione. Resta tuttavia il rischio che questo provvedimento venga dichiarato inammissibile in quanto non pertiene al Milleproroghe risolvere questi problemi.
Al di là delle soluzioni di circostanza, i ricercatori precari denunciano l’esistenza di un più ampio disegno di compressione del numero degli assegni di ricerca, quasi 13 mila, che provocherà tra 10 mesi la graduale espulsione di decine di migliaia di precari con 5 o addirittura 10 anni di attività scientifica alle spalle. Questa misura rientra nelle linee approvate dalla finanziaria estiva voluta dal ministro Tremonti che stabilisce il taglio del 50 per cento delle collaborazioni nella pubblica amministrazione. In questo settore i contratti a tempo determinato sono almeno 430 mila, nella scuola sono 197 mila, il resto si divide tra le autonomie locali e nella sanità. Se questa misura non venisse abrogata, più di 200 mila contratti atipici verrebbero cancellati, creando una emergenza sociale nella scuola dove i tagli provocheranno conseguenze ancora non del tutto immaginabili. Naturalmente per queste persone non è previsto alcun sostegno al reddito.

da Il Manifesto