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Tumore al seno, vincono gli "italian doctors", di Umberto Veronesi

Il New York Times due giorni fa ha dato ampio spazio in prima pagina all’annuncio di un nuovo progresso nella cura del tumore del seno: l’intervento chirurgico di rimozione dei linfonodi dell’ascella, anche se colpiti dalla malattia, non deve più essere lo standard per tutte le pazienti. A molti forse è sfuggita l’importanza di questo messaggio, che ha invece un significato speciale per le donne e per la ricerca scientifica italiana. Per le donne perché è dimostrato che sono le migliori custodi della propria salute: con la loro consapevolezza e determinazione sono in grado di far crollare la rigidità dei dogmi e scuotere la mentalità conservatrice di alcuni medici. Se sanno che esiste una cura migliore per loro, prima o poi la otterranno. Per la ricerca italiana, perché esattamente 30 anni fa sullo stesso giornale e nella stessa posizione, appariva la notizia della strada aperta da noi chirurghi italiani per le donne, di cui l’annuncio dei giorni scorsi rappresenta una nuova tappa. Nel luglio del 1981, infatti, proprio il New York Times (insieme ad altri quotidiani americani come Los Angeles Times ed Herald Tribune) riportava una rivoluzione fondamentale per le donne colpite da tumore del seno.

Il dogma della mastectomia (asportazione totale della mammella), che si poneva l’obiettivo di salvare la vita della paziente, era stato superato dalla nuova tecnica della quadrantectomia (asportazione di una parte, un quadrante, della mammella) che non solo salvava la vita, ma ne preservava anche qualità. Il risultato, spiegava l’articolo, era dovuto agli «italian doctors» che avevano appena pubblicato sul New England Journal of Medicine gli esiti di uno studio clinico durato sette anni e realizzato a Milano. Sono felice di avere fortemente voluto quello studio e di aver firmato quella pubblicazione scientifica, perché cambiando la direzione del trattamento del tumore del seno, ha cambiato la vita delle donne. Poi abbiamo capito all’Istituto Europeo di Oncologia che potevano spingerci più in là nella protezione dell’integrità del corpo della donna e, oltre alla mammella ci siamo chiesti se potevano salvare l’ascella, evitando ove possibile l’intervento di rimozione dei suoi linfonodi. Così abbiamo messo a punto la tecnica del linfonodo sentinella, vale dire quel linfonodo che è in grado di darci indicazioni sullo stato di tutti gli altri. Se è sano, l’ascella è sana, se è malato, l’ascella è malata. Abbiamo iniziato a effettuare gli interventi all’ascella solo in caso di linfonodo sentinella malato, risparmiando così operazioni non necessarie alle nostre pazienti, e evitando di privarle di una parte preziosa della loro difesa immunitaria. La notizia americana ci incoraggia e rafforza i nostri capisaldi, andando ancora oltre nella strategia della conservazione: la rimozione dei linfonodi dell’ascella, anche se malati, non deve necessariamente essere effettuato, per certi specifici tipi di tumori (pari al 20% circa di tutti i casi) perché non porta vantaggi nella cura.

Si profila sempre più chiaramente quindi il tramonto del concetto stesso di dogma in medicina. La cura si fa personalizzata e già siamo molto vicini a poter offrire ad ogni donna con tumore del seno un percorso di cura individuale. E per far crollare i dogmi, l’abbiamo detto, contiamo molto sulla forza delle donne.

La Stampa 11.02.11