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"Un momento di riflessione", di Sergio Romano

Voglio provare a mettermi, per qualche minuto, nei panni di Silvio Berlusconi. Si ritiene vittima di una congiura giudiziaria. È convinto che le accuse contro la sua persona siano altrettante tappe di un percorso diretto a eliminare il presidente del Consiglio e il suo partito. Ha deciso di trasformare la sua difesa in una controffensiva politica. È una tattica a cui è ricorso più volte in questi anni, mai tuttavia come in una vicenda che coinvolge non tanto i suoi affari quanto la sua vita privata.

In questa prospettiva, Berlusconi si ritiene autorizzato a difendere se stesso in qualsiasi sede privata o pubblica, con video lanciati sul web, interventi telefonici durante i dibattiti televisivi e nelle conferenze stampa di Palazzo Chigi come è accaduto l’altro ieri in quella dedicata al programma del governo per il rilancio dell’economia nazionale. Rintuzzare l’aggressione di cui si ritiene vittima è ormai la parte più visibile della sua agenda politica.

Mi chiedo se si renda conto degli effetti che questa linea aggressiva e difensiva sta avendo per il Paese. In primo luogo pregiudica la credibilità delle sue riforme. Il decreto sulle intercettazioni (ieri momentaneamente rinviato), la legge annunciata in conferenza stampa sulle responsabilità dei giudici e la riforma dell’ordine giudiziario diventano agli occhi di tutti (anche di coloro che le ritengono utili per il Paese), soltanto forme di autodifesa e quindi viziate da un difetto di origine che le rende, nel migliore dei casi, sospette.

In secondo luogo Berlusconi sembra ricercare deliberatamente lo scontro, alternato a qualche occasionale schiarita, con tutte le maggiori istituzioni del Paese, dalla presidenza della Repubblica alla Corte costituzionale. Ha capito che siamo sull’orlo di un conflitto civile fra istituzioni, corpi e ordini dello Stato? Si è chiesto quali possano essere gli effetti di questa strategia per tutti coloro che sono chiamati ad assicurare imparzialmente il buon funzionamento della cosa pubblica? In terzo luogo la strategia di Berlusconi sta contagiando l’intera società nazionale, spaccata ormai tra due fazioni contrapposte: i berlusconiani e gli antiberlusconiani. Nessuna questione, ormai, può essere affrontata nel merito, senza che gli uni e gli altri si chiedano quali effetti avrà sulla sorte di Berlusconi.

L’Italia non può permettere che questo stato di cose continui ulteriormente. Siamo il giullare d’Europa, il miglior fornitore di indagini frivole, vignette satiriche, storie salaci e licenziose a tutta la stampa occidentale. Se questo Paese gli sta a cuore, Berlusconi dovrebbe almeno distinguere il suo ruolo pubblico dalla sua condizione di potenziale imputato. Si difenda nei luoghi in cui ha il diritto di farlo anche con argomenti, sull’uso sproporzionato delle intercettazioni, sulla difesa della privacy dei cittadini e sui rapporti dello Stato con la magistratura, che molti troverebbero convincenti. Ma non nei dibattiti politici, nelle conferenze stampa e soprattutto durante i viaggi all’estero. Ha fondato un partito che si chiamava Forza Italia. Cerchi di evitare che passi alla storia come il partito che ha reso il Paese rissoso all’interno e risibile agli occhi del mondo proprio nel momento in cui abbiamo maggiore bisogno di credito internazionale e di fiducia in noi stessi.

IL Corriere della Sera 11.02.11