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"L’insulto via web nuova arma antisemita", di Mario Pirani

Del fenomeno ce ne eravamo accorti ma senza avvertirne la pericolosità. Intendo riferirmi all’antisemitismo attraverso il Web, che ci sembrava ripercorrere sotto nuove forme il solito armamentario negazionista. Quel che era sfuggito ai più, noi compresi, era la potenza diffusiva esponenziale segnata dal passaggio dalla veste cartacea del messaggio antisemita a quella massmediatica. Il salto non è solo quantitativo, ma anche qualitativo. L’ingiuria e la calunnia contro gli ebrei negli immediati decenni postbellici avevano finito per essere considerati un atto biasimevole in sé, un gesto che i cittadini, anche i cattolici fedeli a una interpretazione veterotestamentaria, un tempo portatori dell’antica maledizione, ne avevano non solo rivisto il contenuto ideologico ma anche fatta propria la condanna formale. Persino il revisionismo fascista, ripensando al possibile percorso in fieri di una destra sociale democratica, premetteva ad ogni assunto, il respingimento dichiarato dei propri coinvolgimenti razzisti e antiebraici. La visita al Ghetto e al Gran rabbino era diventato un addentellato formale fisso per i nuovi leader della Destra nazionale.
Ebbene con la scoperta e l’uso di massa del “cyberspazio” ogni resistenza e reticenza sono via via saltate. Il vaccino preventivo che sterilizzava l’antisemitismo attecchiva sulle menti democratiche ed entrava naturalmente a far parte del loro bagaglio culturale. Non così per le giovani generazioni incolte, i gruppi estremistici alla ricerca di un nemico da colpire, i capipopolo delle curve sud, assetati di slogan tanto più aggressivi quanto più disponibili ad un ritorno in uso. Così, “se prima la condanna era automatica e generale, oggi è Internet che ha generato un ambiente atto a fornire una struttura relazionale all’odio, rendendolo socialmente accettabile” (Stefano Gatti da “Shalom” ag.– sett. 2012). Il ministro cattolico per la Cooperazione internazionale, Andrea Riccardi, ha levato molte volte la sua voce contro questa epidemia, la cui diffusione è stata resa possibile dal fatto che il Web è ormai diventato il palcoscenico privilegiato per la trasmissione del razzismo e dell’antisemitismo. La conseguenza di questa denuncia ha portato all’inserimento di Riccardi nella black list del principale sito “suprematista e bianco” dell’antisemitismo italico, “Stormfront”, con un suo quotidiano digitale con migliaia di contatti giornalieri. Da allora Riccardi viene bollato come “servo dei giudei, dei signori nasoni, che agisce agli ordini di Sion”. Dal 2010 la Polizia postale italiana, che è una delle più efficienti al mondo nel lavoro di monitoraggio e scoperta dei fenomeni più aberranti di razzismo e antisemitismo on line, non trova nell’ordinamento giuridico italiano provvedimenti e leggi specifiche per stroncare il diffondersi del fenomeno. Sarebbe già un grande successo se i direttori scolastici nell’ambito delle loro competenze tacitassero quegli insegnanti di animo razzista che hanno trovato nel Web uno strumento di penetrazione tra i giovani. Le calunnie e gli insulti hanno un ventaglio vastissimo: dal negazionismo all’accusa agli ebrei di essere gli organizzatori del commercio clandestino di organi umani. D’altra parte il governo italiano non ha ancora dato la sua ratifica al Protocollo addizionale, relativo agli atti di natura razzista e xenofobica, alla Convenzione di Budapest, promossa dal Consiglio d’Europa per un miglior coordinamento tra le varie polizie impegnate nell’opera di contrasto contro il crimine cybernetico.
Un altro settore è quello delle band dei “Nazirock”, una trentina, che oggi possono ampliare l’ascolto. Eccone un minimo estratto: “C’è una nave nel nostro azzurro mar… piena di negri ma che verranno a far? Voglion lavoro e un po’ di umanità… ma solo troie e droga porteran! No, no, no negri no, questa è la mia terra e la difenderò, no, no, no, negri no, questo paese è nostro e mai vi accetterò! I benpensanti li vogliono ospitar e suore e preti gli danno da mangiar, ma il nostro popolo mai accetterà… la loro puzza che invade le città!”.
La Repubblica 01.10.12