attualità, politica italiana

"Dai giudici un messaggio alla Casta", di Cesare Martinetti

Mentre la politica non riesce a riformarsi e tagliare finalmente quei costi che hanno portato agli scandali Fiorito e alla scoperta di insopportabili sprechi, i giudici di Milano sparano una cannonata: dieci anni di galera a un faccendiere amico di Roberto Formigoni, il doppio di quanto aveva chiesto l’accusa. Sentenza esemplare, s’è detto subito; sentenza «inusitata», secondo l’avvocato difensore del condannato, Pierangelo Daccò, perché tanta severità non s’era mai vista. Sentenza «ambientale», ci viene da dire, rispolverando quell’aggettivo che andava in uso negli anni di tangentopoli, quando fu l’allora pm Di Pietro a coniare la locuzione «dazione ambientale» per denunciare come il clima dell’«ambiente» era allora tale che non ci si poteva sottrarre al pagamento (dazione) di tangenti in qualsivoglia rapporto con la politica.
Teatro della vicenda è l’ospedale San Raffaele, la creatura di don Verzè, luogo simbolico di eccellenza sanitaria e della ricerca scientifica privata; ma anche terreno obbligato di scambio tra politica, affari e mondo cattolico lombardo.
Il milieu d’elezione dell’amministrazione regionale guidata dall’indagato Roberto Formigoni, un tempo detto il «Celeste». Daccò è a sua volta il faccendiere per eccellenza, il facilitatore dei rapporti tra pubblico e privato, il trafficone super introdotto negli uffici del Pirellone, l’uomo che pagava viaggi e vacanze su lussuosi yacht nel Mediterraneo e nei Caraibi (per un totale di favori il cui valore è stato conteggiato in 8 milioni) al governatore uscito dalla scuola molto pia ma anche molto pragmatica di don Giussani.
Ora questa sentenza ci pare «ambientale» perché è come se i giudici l’avessero scritta respirando l’aria di indignazione e di rivolta che sta investendo la classe politica con gli annessi di affari e affaristi, prebende e impunità. Una condanna a dieci anni per concorso esterno a una bancarotta non s’era mai vista, è possibile che venga anche riformata in appello. Ma intanto il segnale è partito, proprio nel giorno in cui i sindacati rivelano che in quel grande ospedale 450 posti di lavoro sono a rischio. Non c’è rapporto tra i due fatti, è ovvio, ma è come se la sentenza arrivasse insieme a denunciare gli effetti dello spreco criminale di denaro e a sanzionare il disastro sociale che ne può derivare.
Che la giustizia diventi giustizialismo è un rischio ben presente a Milano, dove sembra di respirare di nuovo qualche refolo del 1992, ma è a sua volta un prodotto non secondario di questo abisso nel quale ci ha portato una politica arrotolata sulla conservazione di se stessa, in un crescendo di rivelazioni dove i privilegi si sommano alle astuzie e naturalmente alle ingiustizie. Sempre ieri, la Cassazione, ribaltando una sentenza di condanna, ha assolto due giornalisti del Giornale che avevano denunciato la deroga che il sindaco di Roma Rutelli si era concesso per una tomba al Verano. Nelle motivazioni della nuova sentenza, i supremi giudici scrivono: «In un momento in cui l’opinione pubblica è particolarmente attenta a privilegi veri e presunti della classe politica…» ai media deve essere assicurato «un diritto di cronaca molto ampio». Rutelli non avrà il risarcimento che gli era stato riconosciuto: l’ironia dei giornalisti («il sindaco s’è fatto un mausoleo al Verano…») secondo i supremi giudici è giustificata dai privilegi che i politici sanno garantire a se stessi. Discutibile, ma pure questa è una sentenza «ambientale».
La scoperta dell’esistenza di Franco Fiorito e della sua vita che sembra un fotoromanzo, ci ha dato un volto e un corpo in cui specchiare simbolicamente astuzie e soprusi di una classe politica che certamente non è tutta come il Batman di Anagni, ma è ugualmente colpevole per non aver saputo rapidamente riformare se stessa tagliando in modo non simbolico quei privilegi che ne hanno fatto una casta oggi indifendibile.
Il Consiglio dei ministri presieduto dal professor Monti discuterà oggi i «tagli»: meno consiglieri, meno indennità. Già si sa che saranno «mini» tagli. L’importante è che siano «tagli», perché da qualche parte si deve cominciare. Incapaci di riformare se stessi, è bene che i politici siano riformati dai «tecnici» che non appena saliti al governo non hanno avuto esitazioni (appena qualche lacrima della professoressa Fornero) a intervenire sulle pensioni degli italiani. Sarebbe davvero paradossale che si fermassero davanti agli indecenti vitalizi che Franco Fiorito e i suoi colleghi si sono dati di nascosto dai loro elettori e di tutti gli italiani.
La Stampa 04.10.12
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“Quel giro di affari con il Pirellone”, di PIERO COLAPRICO
DI LUI, all’inizio dello scandalo, il presidente Formigoni diceva: «Mi pare faccia il consulente nel settore della Sanità». Poi emersero cinque lussuosi capodanni insieme. Yacht con equipaggio messi a disposizione. Cene senza limiti, eventi, feste. Da ieri sull’ex semisconosciuto Pierangelo Daccò sono piovuti 10 anni di carcere. CINQUANTASEI anni, residenza in Svizzera ma dalla metà del novembre 2011 detenuto a Opera, assiduo della Regione, del “capo casa” di Formigoni Alberto Perego, dello stesso presidente che ha beneficiato per vari milioni di euro, Daccò è stato dunque condannato per concorso esterno in bancarotta. Quella dell’ospedale San Raffaele. Una condanna pesantissima. Ma occorre dire subito che gli indizi contro Daccò, nell’altra indagine, quella sulla Fondazione Maugeri, in attesa di rinvio a giudizio, sono ancor più copiosi e pesanti: «Noi possiamo fare anche a meno delle sue confessioni, parli o no per le indagini cambia poco», è la frase che trapela al quarto piano del palazzo di giustizia milanese, dove i detective sono certi di aver aperto nel «sistema Daccò» vaste e perenni crepe.
Un retroscena è basilare. Il suicidio del numero due del San Raffaele, il brillante Mario Cal, aveva sconvolto il bergamasco Danilo Donati, il security manager dell’ospedale. Donati è stato poi arrestato. Ma aveva incontrato a lungo i magistrati del pool milanese come testimone. Il primo interrogatorio, cominciato alle 9.30 del mattino, era finito alle 3 di notte. E altri ne aveva resi. Donati, occupandosi di sicurezza, e quindi anche di proteggere gli incontri, sapeva molto dei contanti che Daccò riceveva da Mario Cal (in cambio delle sue raccomandazioni dentro la Regione per i rimborsi).
È una miniera d’informazioni, è lui a svelare che un costruttore, abituale fornitore del San Raffaele, proprio in quel periodo, aveva dovuto vendere la sua casa di riposo, della Fondazione Ombretta, intestata alla figlia morta, alla Fondazione Maugeri. Come intermediario immobiliare chi c’era? Il socio di Daccò, Antonio Simone, ciellino, ex assessore alla sanità ai tempi di Tangentopoli, uscito malvolentieri dalla politica attiva per gestirla da sullo sfondo. Solo per quella vendita, Simone incassa una commissione di 5 milioni di euro, finiti all’estero. Ecco profilarsi il «sistema Daccò».
Uguale per il san Raffaele e per la Maugeri. I pubblici ministeri seguono passo passo le tracce dei soldi pubblici che la Regione versa alla Fondazione Maugeri, eccoli che vengono «ritagliati» da Daccò, il quale intasca percentuali elevatissime. Prima del 25 per cento sui rimborsi regionali, poi del 12,5, e gira ogni volta la quota che spetta al socio Simone. La Regione ha assicurato di non avere nulla a che fare con questi maneggi, ma il primario pneumologo che coordina tutti i direttori sanitari della Fondazione Maugeri, il dottor Antonio Spanevello, sottoscrive cinque mesi fa un verbale che smentisce ogni versione minimalista: «Un giorno — ricorda il primario — mi sono incontrato casualmente con Passerino (il direttore generale, ndr), quando il presidente Formigoni era stato appena rieletto alle ultime elezioni regionali. Passerino mi disse di incominciare a pensare a dei progetti innovativi da presentare alla Regione al fine di ottenere nuovi finanziamenti. Egli mi fece chiaramente intendere che il “momento era propizio”».
Vengono quindi inventati tre progetti «in ambito riabilitativo (malattie rare, dolore cronico e trapianto)» e si apre una corsia speciale. Spanevello incontra infatti a Roma il direttore generale del ministero della Sanità Massimo Casciello, che gli dà i suggerimenti giusti per aggirare ogni barriera: «… Ho di sicuro riscontrato nei miei incontri in Regione Lombardia che sia Lucchina (Carlo, direttore generale sanità regionale), che Alessandra Massei (funzionario regionale, legata a Daccò, ndr), avevano già ricevuto i progetti essendone a conoscenza (…) Ricordo che Passerino mi chiamò nel suo ufficio e mi fece
vedere una bozza di lettera (…) Mi si chiede se sia corretto… «.
Corretto? «Effettivamente — ammette Spanevello — la procedura è stata anomala, anzi devo dire che è illegale (…) Ne parlai più volte al presidente Umberto Maugeri, evidenziando le stranezze della procedura adottata (…) Gli ho detto “per favore queste cose fatele fare a Passerino”».
I magistrati, nell’invito a comparire a Formigoni, puntavano il dito sul «sistematico asservimento della discrezionalità ammini-strativa » della Regione ai bisogni dei faccendieri. Come negarlo? A che titolo Daccò ha munto 80 milioni di denaro pubblico? È sparito in conti esteri, in parte prelevato in contanti: da dare a chi? È la domanda per ora senza risposta.
La Repubblica 04.10.12