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"Il satyricon romanesco e l'egemonia di re lanterna", di Franco Cordero

Il Satyricon romanesco offre materia clinica d’alto interesse. Ognuno vede quanto abbia inciso nel costume Re Lanterna: in gusto e sentimento morale i baccanali rutuli fanno pendant alle serate d’Arcore; il genere delle persone presuppone criteri selettivi comuni; vale l’identica massima, che «legalità» sia parola risibile e «politica» significhi affari grassi. Ridotta all’osso, ecco la dottrina berlusconiana: le norme esistono affinché i furbi le eludano, con vantaggi determinanti nella corsa al profitto. Sotto quest’insegna, corrompendo a man salva, s’è fondato l’impero un bagalùn del lüster che altrove batterebbe le fiere, e chiama animali umani molto reperibili. L’Italia controriformista fioriva d’atonia morale, conformismo bigotto, furberie parassitarie: spenta presto l’illusione d’una metamorfosi postfascista, regna fino a sfinirsi una balena democristiana compatibile con la chiesa comunista: l’intuito banditesco craxiano s’incunea tra le due, sviluppando tecnologie del malaffare sotto le quali sopravviene il collasso. Qui salta sulla scena l’antipolitico erede del sistema. Riconosciamogli i talenti: abilissimo nel cogliere e usare i peggiori lati umani, è l’unico demiurgo nella storia d’Italia; nemmeno Mussolini, forte d’un culto ventennale, aveva un tale comando delle viscere collettive; e dissemina innumerevoli cloni, con minori abilità individuali. Tre volte presidente del Consiglio, miete due voti plebiscitari; e nonostante gravi bestialità (nella sua costellazione manca l’intelletto), sarebbe ancora in sella, puntando a una signoria caraibica, se le borse non l’avessero defenestrato in piena crisi economica planetaria: dove vigano serie regole del gioco, vale il due di coppe, formidabile invece nel sopraffare i concorrenti comprando chi le detta e applica. Da qualche tempo appare assonnato e logoro ma non consideriamolo quantité négligeable: è ancora padrone delle Camere; i soldi gli escono dalle orecchie; dispone d’una strepitosa macchina mediatica e sappiamo come l’adoperi. Grazie all’abominevole meccanismo elettorale (se l’era allestito nella previsione d’una sconfitta), ha molte chances d’essere consorte della futura maggioranza, restando l’uomo che era: basta vedere con che strenuo impegno difenda i malaffaristi, campione della privacy delittuosa, nella qual veste combatte le intercettazioni; è irremovibile il suo veto a misure effettive contro un vampiro che succhia sessanta o settanta miliardi l’anno, quantificati dalla Corte dei conti. Tiene un esercito sotto mano: corruttori, corrotti, evasori fiscali, avventurieri in cerca d’ingaggio, e gli bevono in mano masse decerebrate dai piccoli schermi.
Dispiace dirlo ma in termini «culturali» (nel senso opposto al letterale) l’egemone è ancora lui. Sinistra e centro non l’hanno mai affrontato sulle questioni capitali: padroni delle Camere 1996-2001, gli garantiscono «le aziende», ossia future vittorie elettorali; e l’accreditano autorevole interlocutore nella rifondazione dello Stato, al tavolo d’una nefasta Bicamerale, finché lui lo rovescia, avendo lucrato ogni possibile profitto. Era politica stupidamente furbesca. Nei cinque anni seguenti governa e legifera pro domo sua, consolidando il conflitto d’interessi con una legge da farsa: sebbene fosse molto vulnerabile, la polemica sta nei limiti d’una sussiegosa bienséance; mai che, chiamando le cose col loro nome, notino gli aspetti assurdi d’una gestione del potere quale non s’era vista nemmeno nel ventennio nero; anzi, vigono curiosi interdetti. Ad esempio, suona infandum, da non dire, qualunque riferimento agli avvenimenti tedeschi 1932-34, come se non esistessero analogie tra figure diverse: Hitler era un ideologo psicotico-lucido (non nascondeva niente nel
Mein Kampfed è gravissima colpa dei politicanti occidentali avere chiuso gli occhi); Silvio Berlusconi, pirata barzellettiere, fornisce oppio televisivo, avendo mani in pasta nei più vari affari; le sue SS sono parassiti ingordi in camicia, cravatta, cure cosmetiche. Ma esistono lati comuni: nessuno dei due ha il minimo rispetto del pubblico; l’adoperano, corpus vile; e sia lodato il Cielo se nei trucchi d’incantatore Emilio Fede o Augusto Minzolini valgono meno del dr Joseph Goebbels, philosophiae doctor. È o no affinità politicamente rilevante? Non obiettavano nemmeno vedendogli acquisire sostegno ecclesiastico mediante inauditi favori, lui promotore d’una asfissiante immoralità, né sfiorano la questione del conflitto d’interessi o disfano ignobili prodotti legislativi nei due anni in cui governano ancora, biennio da dimenticare. Trionfalmente reinsediato l’Olonese, rendono ossequio. Quando un mattoide gli scaglia addosso la miniatura del Duomo, salmodiano complimenti allo statista già cadente, mentre galoppini assatanati invocano leggi speciali. Ripetiamolo: non era merito dei blandi oppositori essersene disfatti; l’hanno rovesciato le borse. Prima d’allora l’odg auspicava «larghe intese». Gli scandali della regione Lazio presuppongono un clima omertoso. Sta bene avere riscoperto la legalità ma non è parola spendibile in vari sensi, secondo gl’interessi coinvolti: qualcuno ritiene meno importante sapere se vent’anni fa uomini dello Stato abbiano stipulato un modus vivendi con i vertici mafiosi; e cose simili avvenivano nel preludio alla commedia bicamerale. Fa poco onore alla sinistra soi-disante pragmatica avergli garantito gli strumenti con i quali rivince due volte a mani basse.
La conclusione non mette allegria. Anche diminuito e vecchio, Silvius Magnus tiene una mano sulle sorti d’Italia: non l’hanno combattuto dove bastano due dita a rovesciarlo, in termini d’idee, etica, gusto (eccome conta il profilo estetico); e calcoli codardi gli lasciano l’arnese d’una soperchieria che nessun paese evoluto tollera. Dati i precedenti, non stupirebbe che il berlusconismo sopravvivesse all’uomo. Un postideologo candidato alle primarie Pd vuol pescare nell’acqua elettorale d’Arcore: d’accordo, i voti «non olent»; ma come conta d’acquisirli? Le masse comuniste affascinate dal dr Goebbels erano rosse fuori e già brune in pectore. Il travaso elettorale 2013 postula un partito talmente berlusconoide, che i manovratori non s’accorgano d’esserlo.

La Repubblica 04.10.12

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