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"Il sindaco di Firenze dovrebbe pensare a terminare il suo mandato", di Enrico Rossi*

Se si voleva ridiscutere la linea del Pd la sede naturale era il congresso. Norma ad personam per Renzi Un cedimento alla prepotenza. Oggi sarò all’assemblea nazionale del Pd a discutere, ma non a votare perché sono solo un invitato permanente, del cambiamento dello Statuto che consentirà a Renzi di candidarsi alle primarie per le quali si è già impegnato, con il camper da settimane e sulle tv da anni. Lo farò molto malvolentieri, provando a portare un contributo solo per non peggiorare la situazione. Lo farò per senso di responsabilità. Penso che la modifica dello Statuto ad personam sia un cedimento alla prepotenza, costituisca una rinuncia all’autonomia della politica e scalfisca le regole per le quali si aderisce consapevolmente a un’associazione.
Ci sono in Toscana due precedenti che sono andati in senso opposto: Leonardo Domenici, che avrebbe gradito candidarsi in Parlamento nel 2008, dopo quasi due mandati da sindaco di Firenze. E Claudio Martini, che nel 2009, alla fine del secondo mandato da presidente della Regione, avendo una grande e riconosciuta esperienza in Europa, avrebbe voluto candidarsi al Parlamento europeo. A entrambi il partito mandò a dire che non se ne parlava nemmeno e che avrebbero dovuto finire il loro mandato, come da regola e nel rispetto dell’impegno preso con i cittadini. Vi assicuro che Domenici e Martini non avevano e non hanno nulla da invidiare a nessuno quanto a capacità politiche, cultura e consenso.
Cos’è cambiato nel mio partito per garantire a Renzi, da poco più di tre anni eletto sindaco di Firenze, il mestiere più bello del mondo, un trattamento opposto e di favore? A mio avviso solo un fatto: la spregiudicatezza con cui il giovane sindaco si è costruito una visibilità nazionale attaccando pressoché quotidianamente il Pd; non impegnandosi in un’opera di rinnovamento, ma criticando a palle incatenate e trovando in questo modo spazio sui grandi media che, per lo più, non accettano che nel nostro Paese esista un partito libero, forte e organizzato, che non risponda a oligarchie ma solo ai suoi iscritti e agli elettori. Cambiare lo Statuto ad personam è già un cedimento pericoloso e non giustificato dalla buona intenzione di voler così aumentare la partecipazione, che come sappiamo è sempre stata ampia anche quando il Pd ha sostenuto un suo unico candidato. L’idea poi che dovremmo
non avere regole per consentire agli elettori del centrodestra di essere determinanti nella scelta del leader di centrosinistra non solo lede i miei diritti di militante ed elettore di sinistra, ma non ha neppure un riscontro nelle democrazie occidentali e rappresenta il massimo del populismo a cui finora si è avuto la sfrontatezza di spingersi. Un populismo figlio di Berlusconi e di quella cultura con cui, non a caso, il giovane Renzi non ha saputo, né voluto intenzionalmente fare i conti.
Leggo oggi che Renzi, alternando vittimismo e arroganza, comincia ad accettare l’idea che qualche regola dovrà pur esserci. Penso che se avessimo cominciato prima a far valere le nostre ragioni, comprese quelle dell’educazione, probabilmente non ci saremo trovati oggi in questo pasticcio e Renzi avrebbe potuto continuare a misurarsi con un ruolo importante come quello di sindaco di Firenze, dove avrebbe messo effettivamente alla prova le sue capacità. Se poi avesse voluto dire la sua in politica, come è suo diritto e dovere, non ci sarebbe stata occasione migliore che fare un congresso, magari per tesi, seguito da una conferenza di organizzazione che avrebbe potuto toglierci dall’imbarazzo anche sul ruolo e funzionamento dell’assemblea nazionale. Cosa che mi provai a dire in un articolo del dicembre 2011 sull’Espresso. Si sarebbe così sentito Renzi parlare nelle sedi appropriate e avremmo ascoltato, magari ripulite dagli effetti speciali degli scenari della Leopolda, le sue proposte per spostare a destra l’asse del partito. A mio avviso non avrebbero avuto grandi consensi.

L’Unità 06.10.12

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