attualità, politica italiana

"Il convitato di pietra al tavolo del dopo-voto", di Eugenio Scalfari

La legge elettorale ancora non c’è anche se se ne comincia a intravedere una possibile soluzione. Le primarie del Pd non sono ancora state effettuate e l’esito dello scontro tra Bersani, Renzi e Vendola è ancora incerto. Le sorti del Pdl sono appese al filo delle decisioni di Berlusconi; potrà rappresentare ancora un 15 per cento dei voti o implodere dissolvendosi come nebbia al sole. Il centro moderato per il quale lavora Casini è un’ipotesi che fatica a tradursi in realtà.
In un quadro così agitato aleggia l’immagine di Mario Monti, una sorta di convitato di pietra la cui figura è variamente interpretata dai protagonisti della scena politica e mediatica. Per alcuni è un salvatore della patria, per altri un demiurgo, per altri ancora un tecnocrate che ruberà il posto ai politici e per i più pessimisti un moderno Cesare che affonderà per sempre la democrazia parlamentare come fin qui l’abbiamo conosciuta.
A tutti questi elementi d’incertezza aggiungiamone un altro non da poco: al momento della scelta del nuovo governo e della nomina del futuro presidente del Consiglio non solo ci sarà un nuovo Parlamento ma anche un nuovo presidente della Repubblica. Napolitano finirà in maggio il suo settennato; chi ci sarà al suo posto?
Queste domande non preoccupano soltanto noi italiani ma anche – e forse ancora di più – i nostri alleati europei e tengono in fibrillazione i mercati. L’Italia, con la sua buona o cattiva salute economica e politica, rappresenta un elemento determinante per la solidità della moneta comune e per l’evoluzione di tutto il continente dalla attuale confederazione alla federazione, cioè alla nascita di un vero e proprio Stato europeo.
Un’Italia risanata è indispensabile e preliminare ad un’Europa federale, un’Italia perennemente ammalata blocca invece qualunque speranza di futuro europeo.
Ho la sensazione che questo nostro peso sull’evoluzione politica del continente non sia ben chiaro ai cittadini che andranno alle urne nell’aprile del 2013; soprattutto che non sia ben chiaro alle forze politiche, preoccupate soltanto o principalmente delle loro fortune elettorali.
In realtà il senso del voto che il corpo elettorale sarà chiamato ad esprimere sarà in primo luogo a favore o contro l’Europa unita, a favore o contro della moneta europea, a favore o contro la cessione di sovranità dagli Stati nazionali al nascituro Stato federale europeo.
Naturalmente ci sono anche altri elementi che caratterizzeranno quel voto e riguardano il colore politico che assumerà la futura democrazia europea: se sarà più orientata verso l’equità e la socialità oppure verso il liberismo; se sarà riformatrice o conservatrice; se privilegerà l’eguaglianza nella libertà o la libertà senza l’eguaglianza. Questioni certamente della massima importanza, ma destinate ad alternarsi come sempre avviene nelle democrazie funzionanti. La prima e fondamentale questione da decidere però riguarda il futuro dell’Europa e il contributo che l’Italia può e deve dare alla costruzione di quel futuro. Le forze politiche e i cittadini elettori debbono farsi carico del fatto che questa scelta precede tutte le altre e che sarà questa la domanda numero uno alla quale le urne dovranno fornire la risposta.
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Mario Monti è ben consapevole della necessità di questa scelta ed è per questo, per rassicurare i governi europei e i mercati, che si è dichiarato disponibile a servire il suo (il nostro) paese se questo sarà necessario e nel ruolo che sarà ritenuto opportuno. Le forze politiche hanno già dato le loro prime risposte, gli elettori le daranno tra sei mesi.
Noto tra parentesi che molti dicono e scrivono che bisogna sottrarsi all’influenza dei mercati. Dicono una banalità priva di senso. I mercati determinano il tasso di interesse oltre a molte altre grandezze. Il tasso dell’interesse è il regolatore del nostro andamento economico. Quindi liberarsi dal peso dei mercati è parlare a vuoto non conoscendo la realtà.
Chiudo la parentesi.
Alcune forze politiche sono decisamente contrarie sia all’Europa sia alla moneta comune. Grillo è contrario al 100 per cento, Di Pietro all’80 per cento, la Lega al 50 per cento.
Berlusconi va a corrente alternata: alcuni giorni parla contro l’euro, altre volte si esprime come Mario Draghi; oscilla tra Storace e Frattini; a volte vagheggia di andare in vacanza permanente ai Caraibi e altre volte di sedersi al Quirinale al posto di Napolitano. Insomma, è una carta coperta non per segreti calcoli ma per mutamenti di umore.
Casini e il centro moderato da lui vagheggiato sono favorevoli all’euro e all’Europa federata; il Pd anche, ma sia l’uno che l’altro danno grande importanza ai contenuti politici: Casini ritiene incompatibile il suo apporto ad un’Europa socialista, il Pd si ritiene incompatibile con un’Europa conservatrice.
Forse non hanno ancora messo a fuoco che nel corso dei prossimi cinquant’anni l’Europa potrà essere a volte guidata dai conservatori a volte dai liberali a volte dai socialisti, ma queste alternative avranno un senso se l’Europa esisterà come Stato. Altrimenti i singoli paesi (Germania in testa e figuriamoci noi) precipiteranno nella più totale irrilevanza. Di fronte alla competizione tra continenti gli staterelli europei non avranno alcuna voce in capitolo per quanto riguarda le scelte di fondo sui problemi della divisione internazionale del lavoro, delle politiche climatiche, dell’uso delle fonti di energia, dell’immigrazione, della bioetica, del commercio internazionale, delle politiche monetarie e valutarie.
Decideranno gli altri: gli Usa, la Cina, l’India, il Brasile, i paesi emergenti. Gli staterelli europei sono paesi di antica opulenza ma in declino; declino demografico anzitutto, ma presi isolatamente non avranno più la massa critica per discutere alla pari con le superpotenze e con le multinazionali. Saranno ammessi in anticamera ma non nella sala delle decisioni.
Queste verità vorrei che fossero capite, ma non mi faccio molte illusioni
in merito.
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Il nostro convitato di pietra può esser “richiamato in servizio” in vari ruoli se la nuova maggioranza emersa dalle elezioni lo vorrà. Potrebbe essere eletto al Quirinale oppure gli potrebbe essere affidata la presidenza del Consiglio in un governo di ministri politici e tecnici, o infine gli potrebbe essere offerto il ministero dell’Economia e degli Affari europei. Sempre che dalle elezioni future emerga una nuova maggioranza. Per esempio Pd-Centro. Questa sarebbe la maggioranza ideale per proseguire il percorso verso la messa in sicurezza dell’euro e verso un’Europa federata.
Se una maggioranza del genere fosse numericamente insufficiente, bisognerebbe estenderla a quanto resterà del Pdl, ma questa estensione è del tutto improbabile. Personalmente la ritengo addirittura impossibile per il Pd: la “strana maggioranza” ha avuto un senso e continuerà ad averlo fino alla prossima scadenza elettorale, ma dopo non più, sarebbe considerata un tradimento per gli elettori del Pd e non posso immaginare che i dirigenti di quel partito abbiano nella mente e nel cuore (sì, in certi casi c’entra anche il cuore) di commetterlo.
Quanto al ruolo da offrire al convitato di pietra, la mia sensazione (posso certamente sbagliare ed essere smentito dall’andamento dei fatti) è che Monti rifiuterebbe sia la scelta del Quirinale, che comunque dipende dal voto del plenum parlamentare, sia quella del superministero economico. In realtà non resta che Palazzo Chigi da offrire all’attuale inquilino.
Ha scritto Giorgio Galli su Repubblica di giovedì scorso: “Il montismo rappresenta l’archetipo della politica come autorità, non come potere. L’idea cioè che la politica sia affare serio che dev’essere gestito da persone autorevoli per competenza e saggezza; un’idea certamente elitaria ma non antidemocratica solo se per democrazia non si intenda la politica che asseconda o provoca la sguaiataggine e la devastazione del costume e del discorso pubblico. Il montismo è il contrario del politico populista e carismatico, è la rivoluzionaria restaurazione dell’immagine della politica da tempo perduta, dell’idea che è bene essere governati da uno migliore di noi piuttosto che da uno come noi o peggiore di noi».
Non saprei dir meglio di Galli e perciò condivido quest’immagine del montismo, comprendo la difficoltà che la politica professionale la faccia propria, ma auspico che sappia superare i suoi pregiudizi e i suoi limitati interessi. Il suo vero rinnovamento sarebbe proprio questo.

La Repubblica 07.10.12