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Napolitano all’Aquila: “Basta con le new town”, di Giuseppe Caporale

Le new town per i terremotati dell’Aquila realizzate dal Governo Berlusconi appena sei mesi dopo il sisma – e costate un miliardo e duecento milioni di euro per 4mila alloggi in 185 palazzi – furono un errore. «È tempo di pensare a ricostruire, dimenticando i progetti delle new town fuori dal centro storico. Ora mi pare si sia presa finalmente la strada giusta» ha detto ieri il capo dello Stato Giorgio Napolitano, arrivando nella città terremotata. L’occasione è stata l’inaugurazione dell’auditorium voluto da Renzo Piano e Claudio Abbado, e realizzato con il contributo economico (6 milioni di euro) della Provincia Autonoma di Trento.
«Ho ricevuto dal ministro Barca (che per conto del governo Monti sta seguendo la ricostruzione, ndr) una serie di elementi concreti relativi ai lavori in corso e ai finanziamenti decisi. Mi pare ci siano finalmente prospettive serie», ha proseguito Napolitano. E l’evento di festa nella città martoriata ha riacceso i riflettori sulla ricostruzione sbagliata, a tre anni e mezzo dal terremoto, con 3 miliardi e mezzo di euro già spesi in gran parte per l’emergenza e un centro storico ancora sotto le macerie e chiuso a lucchetto. E a rimarcare gli errori del passato è stato anche Renzo Piano. «All’indomani del sisma, provai a proporre una ricostruzione selettiva, per far ripartire subito il centro storico» spiega alla presentazione dell’auditorium. «Ma mi accorsi subito che la militarizzazione voluta dalla Protezione civile andava in una direzione opposta. Si scelse volontariamente di realizzare 19 nuove aree periferiche, contrariamente a quanto accade in tutto il mondo, dove si combattono le zone senza vita e affettività. Ciò è costato tempo e molto denaro. L’Aquila adesso è una città sofferente, ma non è morta. La sera, il centro storico, nonostante sia stato volutamente svuotato, torna a popolarsi di giovani… » assicura il celebre architetto. «Le scelte sbagliate del post terremoto, pesano. Ora occorre cambiare rotta, ragionare su una ricostruzione tollerante, che agevoli il ritorno degli aquilani nelle loro case».
E il primo tassello per la rinascita del centro storico è proprio l’Auditorium del Parco, collocato appena fuori dalla zona rossa. Il cubo “regalato” da Piano, dal maestro Abbado e dalla provincia di Trento è una cassa armonica costruita con l’abete pregiato della Val di Fiemme: 1.165 metri cubi di legno, seimila doghe con 21 colori diversi. «Quest’opera è la dimostrazione che non tutti i politici sono uguali, che non c’è solo la cattiva amministrazione della cosa pubblica» ha sottolineato Lorenzo Dellai, presidente della Provincia autonoma di Trento, «non tutti spendono i soldi dello Stato in festini privati… Il Trentino c’era appena dopo il 6 aprile ed è rimasto fino ad oggi». C’è poi spazio anche per le lacrime dell’assessore alla cultura del Comune dell’Aquila, Stefania Pezzopane, che racconta di come la domenica del 5 aprile 2009 fossero almeno 12 gli eventi culturali che contemporaneamente si stavano svolgendo all’Aquila. «Questa è una città che viveva di cultura. Abbiamo bisogno come l’aria di iniziative del genere». «Quest’opera è un inno alla gioia, un grande atto d’amore. La migliore risposta alla disperazione del terremoto. Uno scatto di reni… È incredibile vedere una struttura nascente in mezzo a tanta desolazione…» ha chiosato Roberto Benigni, ospite speciale

La Repubblica 08.10.12

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Per l’urbanista De Lucia era meglio optare per moduli provvisori da smontare dopo tre anni. “Ora serve un piano regolatore”

“Quartieri senz’anima, difficile tornare indietro”

«Sa cos’è oggi l’Aquila? Una periferia senza memoria. Le new town l’hanno rovinata, eppure dopo il terremoto del 2009 tutti erano d’accordo nel farle. Ormai il danno è fatto, ora bisogna concentrare tutti gli sforzi e i finanziamenti per ricostruire il centro storico. E l’Aquila si deve dotare al più presto di un nuovo piano regolatore». A parlare è Vezio De Lucia, decano degli urbanisti italiani.
Professore, dare un tetto agli sfollati dopo il sisma era la priorità. Quali altre soluzioni si potevano adottare?
«Sistemazioni provvisorie, moduli abitativi da smontare dopo 3-4 anni. Non certo quartieroni sconnessi l’uno dall’altro come sono oggi le new town, fatte oltretutto con un eccesso di misure antisismiche. Adesso sarà difficile recuperare una logica urbanistica unitaria della città».
Da cosa si ricomincia?
«Bisogna concentrare tutte le risorse, finanziarie e culturali, per mettere mano al centro storico. Adesso pare che ci siano le disponibilità finanziarie per farlo. Basta con la burocrazia, l’imperativo è ricostruire».
Come vede l’Aquila tra dieci anni?
«Io spero che il centro storico tornerà ad essere l’anima della città, anima culturale, intellettuale, commerciale e politica. E piano piano va risanato il disastro delle new town, che tra le altre cose hanno portato al caos della mobilità cittadina».
Bisognerà abbatterle, prima o poi?
«Sono costate troppo, lo stato ha pagato un prezzo tre volte superiore a quello dei moduli provvisori. È dura decidere di abbatterle. Ma di sicuro uno dei nodi da affrontare al più presto è l’adozione di un nuovo piano regolatore, che in tre anni e mezzo non è stato emanato».

La Repubblica 08.10.12