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"Arriva la Tobin tax anche senza Londra", di Maurizio Ricci

Alla fine, la Tobin tax, la tosatura fiscale sugli affari della finanza, arriva davvero. C’è chi dice subito, già nel 2013, come il governo italiano che, alla fine, si è schierato a favore. E c’è chi dice dal 2014. In effetti, il varo è avvenuto un po’ a sorpresa. Neanche la commissione se lo aspettava gia ieri: ora il programma è di approntare un testo entro novembre e di benedire la tassa entro dicembre. Ma sarà un percorso complicato: si tratta di decidere come pagarla e, soprattutto, cosa fare dei soldi. E anche di ridimensionare le ambizioni. Rilanciata (l’idea originaria è degli anni ‘70 e doveva colpire le transazioni valutarie) dopo la crisi del 2008, la Tobin tax aveva, sostanzialmente, tre obiettivi: ridurre la volatilità dei mercati, chiamare a contribuzione la grande finanza che aveva generato la crisi, assicurare un gettito (teoricamente di migliaia di miliardi di dollari se applicata a livello globale) che beneficiasse, anzitutto, i paesi poveri. Di fatto, quello che rimane è un gettito di forse 20 miliardi di euro a livello europeo, tutt’altro che disprezzabile anche se modesto, rispetto alle speranze, e che sarà probabilmente impiegato a pagare gli stipendi degli statali, in giro per l’Europa.
GLI SCHIERAMENTI
Voluta fortemente da Francia e Germania, la tassa è stata sottoscritta da Italia, Portogallo, Belgio, Slovenia, Austria, Grecia, Estonia, Spagna e Slovacchia. L’assenza di Londra, la seconda piazza finanziaria al mondo, dopo New York, il più importante mercato valutario globale e il capolinea di buona parte della finanza derivata, è decisiva per i numeri della tassa. La Commissione europea ha previsto un’aliquota dello 0,1 per cento sul valore della transazione se si tratta di azioni o obbligazioni e dello 0,01 per cento sui derivati. Il risultato sarebbe stato un gettito di circa 57 miliardi di euro l’anno, se la tassa fosse stata applicata in tutta Europa: per due terzi i soldi sarebbero arrivati dall’aliquota sui derivati e, in buona misura (metà del totale), su un particolare tipo di finanza derivata, che sono gli interest swap, cioè contratti in cui le due controparti si scambiano flussi di tassi d’interesse (uno fisso e uno variabile, ad esempio), normalmente come forma di protezione dal rischio. Il problema è che il grosso delle transazioni finanziarie, in Europa, in particolare per quanto riguarda i derivati, avviene a Londra: circa due terzi del totale, secondo le stime più diffuse. A Francoforte, Parigi, Milano, di fatto, in materia restano le briciole. Si può quindi ipotizzare che il gettito della Tobin tax europea arriverà a stento a 20 miliardi di euro l’anno.
INCASSI MAGRI
Potrebbe essere anche meno, perché, in realtà, la finanza, spaventata dalla tassa, si sposterà in massa? In fondo, non serve neanche arrivare a New York, basta Londra, dove la grande finanza tedesca, francese e italiana è già presente. E’ lo spauracchio che è stato agitato a lungo, contro la Tobin tax e anche il motivo ufficiale per cui Londra ha rifiutato di aderire: non perché non la ritenga utile, ma perché pensa che possa funzionare solo se tutti la applicano a livello globale. In realtà, gli esperti — compreso un recente studio del Fmi — non avallano questa tesi. Nella finanza globale di oggi, dominata dai computer e dagli algoritmi, la vicinanza geografica al mercato, paradossalmente, conta. Perché i millisecondi che un’offerta del mio computer impiega per raggiungere, attraverso il cavo, il terminale del mio interlocutore sono oro e più corto è il cavo meno sono i millisecondi necessari.
Oggi, il prezzo di un’azione a Tokyo arriva a Londra, attraversando, via cavo, Pacifico ed Atlantico o, viceversa Oceano Indiano e Mediterraneo, nel tempo di 188 millisecondi. Ovvero, 0,188 secondi. Ma è stato calcolato che, se il ghiaccio dell’Artico si sciogliesse e fosse possibile poggiare un cavo sottomarino al Polo Nord, il tempo necessario scenderebbe a 168 millisecondi. Per un computer, 20 millisecondi sono sufficienti a compiere qualche decina di contrattazioni. Chi usasse il nuovo cavo avrebbe un forte vantaggio competitivo su chi è rimasto con il vecchio. Francoforte è assai più vicina a Londra di Tokyo, ma, ugualmente, per operare su Francoforte è più saggio stare a Francoforte.
I DESTINATARI DELLA TASSA
Tuttavia, rimarrebbe qualcosa da trattare a Francoforte, dovendo pagare la Tobin tax? La risposta degli esperti è sì. Mercati come quello tedesco, francese, italiano sono, già oggi, occupati soprattutto da aziende nazionali. Ed è difficile immaginare Deutsche Bank o Volkswagen che abbandonano la quotazione a Francoforte per emigrare sul listino della City. La vocazione internazionale di Francoforte o Parigi sarebbe frustrata, ma l’emorragia sarebbe limitata.
Della nuova tassa, si sa che non riguarderà prestiti, mutui, assicurazioni, ovvero che non la pagheranno semplici cittadini e imprese, ma banche e finanziarie sugli scambi di obbligazioni, azioni, contratti derivati. E che scatterà se una delle due controparti risiede in uno dei paesi che l’ha introdotta. Ma dove finirà il gettito? Ieri si è parlato di convogliarlo verso il bilancio Ue o di utilizzarlo per rimpolpare il Fondo salva-Stati che lo utilizzerebbe, specificamente, per i salvataggi bancari. Ma è molto più probabile che rimanga nelle casse dei singoli Stati. Ieri, il governo italiano ha ufficialmente inserito la Tobin tax tra gli strumenti con cui coprire le spese della Finanziaria 2013.
La Repubblica 10.10.12