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"Il ritorno alla realtà e il sogno fiscale", di Massimo Giannini

Bentornati nel mondo reale. Immersi nel fango della questione morale e nel carosello della campagna elettorale, i partiti della strana maggioranza si erano quasi dimenticati dell’emergenza economica italiana. La legge di stabilità del governo Monti è una scossa che riporta tutti al principio di realtà. Una scossa necessaria, se si guarda al grafico dell’indebitamento finanziario strutturale, che ci siamo impegnati a riportare in surplus già a partire dall’anno prossimo. Una scossa violenta, se si guarda alle drammatiche condizioni materiali di un Paese già stremato dai sacrifici. E dunque una scossa non proprio salutare per l’economia reale, ancorché mitigata da una piccola svolta, e cioè l’avvio di quel «percorso » di riduzione della pressione fiscale che il presidente del Consiglio aveva negato solo una settimana fa.
«Non è un’altra manovra», giura il ministro del Tesoro Grilli. Ma si fa fatica a definire in un altro modo un pacchetto di misure da 11,6 miliardi, che arriva appena dieci mesi dopo il decreto Salva-Italia da oltre 30 miliardi. Questa legge, nella forma e nella sostanza, è a tutti gli effetti una Finanziaria bis. La quantità degli interventi non è in discussione: se vogliamo portare al tavolo dell’Unione europea il pareggio di bilancio, questi sono i saldi da rispettare. Ma la qualità delle decisioni del governo soddisfa solo in parte.
La novità più rilevante, dunque, riguarda le entrate. La riduzione di 1 punto delle due aliquote Irpef più basse della curva è una prima inversione di rotta, sulla via della restituzione agli onesti di quanto finora è stato sottratto all’Erario dai disonesti. Si può fare di più e di meglio per sostenere il reddito delle famiglie meno abbienti, visto che a causa dello scandalo di un’evasione da 260 miliardi di euro l’anno la prima aliquota dell’imposta personale la pagano
molti imprenditori, artigiani e lavoratori autonomi che non nascondono le tasse. Ma è comunque un segno d’attenzione verso i deboli, che finora non sono stati proprio al centro dei pensieri di questo governo. E pazienza se per finanziare questo sgravio aumenterà l’Iva: un minor prelievo in busta paga si sente molto più di un alleggerimento dell’imposta sui consumi. Resta, sul fronte fiscale, il rammarico per l’introduzione effettiva dell’Imu sugli immobili ad uso commerciale della Chiesa solo a partire dal 2013, quando i comuni cittadini il prelievo sul mattone hanno già iniziato a pagarlo da giugno di quest’anno. Sul fronte dei tagli, le lacrime di coccodrillo dei governatori regionali non ci possono impietosire. Dopo quello che è successo e succede nel Lazio e in Lombardia, in Campania o in Calabria, il nuovo giro di vite sugli enti locali ci sta tutto. Si arrangino loro, con meno ostriche e meno consulenze. Quello che si fa fatica ad accettare, invece, è un ulteriore colpo sulla spesa sanitaria e sul pubblico impiego. Non c’era proprio alternativa al taglio di un altro miliardo ai bilanci delle Asl, con tetti di spesa già all’osso sul costo degli apparecchi e degli appalti e strette odiose sui permessi per l’assistenza dei disabili? Non c’era altra via per risparmiare risorse, se non congelando fino al 2017 i contratti degli statali, già bloccati nel triennio passato dal governo Berlusconi?
E non c’era altro modo di contenere i costi, se non fissando un nuovo vincolo del 3% l’anno al già risibile budget della spesa universitaria?
Con questi interventi, selettivi al contrario, la spending review assume i contorni dell’accanimento terapeutico. E ancora una volta, i tecnici dimostrano di avere più attitudine per la contabilità nazionale, meno per l’equità sociale. Detto questo, la Legge di Stabilità si porta dietro due implicazioni che impongono una riflessione.
La prima implicazione è economica. Proprio nel giorno in cui l’Istat fotografa una caduta del 4,1% del potere d’acquisto dei salari e il Fondo monetario certifica il crollo del 2,3% del Pil di quest’anno, la manovra aggiuntiva del governo conferma che l’Italia, come del resto la Spagna e in prospettiva la stessa Francia, ha ormai imboccato un sentiero che conduce ad Atene,
e non a Berlino. La spirale più recessione- più rigore sta dispiegando i suoi effetti micidiali. I tagli di spesa e i recuperi di evasione possono finanziare ben poco, oltre al maggior fabbisogno determinato dalla caduta del denominatore nel rapporto deficit/ Pil e debito/Pil. E l’aggiustamento, per un Paese che non può più neanche immaginare ulteriori inasprimenti d’imposta in stile Hollande, non può non avvenire ormai a carico del Welfare. Cioè attraverso la riduzione ancora più spinta del peri metro di una spesa sociale già di per se iniqua e squilibrata.
È la via “mercantilistica” alle correzioni di bilancio, che genera bilanci pubblici a impatto sempre più regressivo e recessivo. Vale per oggi, ma vale anche per domani. Stretta in questa morsa, e a dispetto di qualche previsione fin troppo generosa del premier, l’Italia non vedrà alcuna ripresa nel 2013. Se ne riparla nel 2014, se va bene. E se non ci fosse da piangere, farebbe sorridere la comicità involontaria di chi, nella Legge di Stabilità appena varata, ha inserito anche una norma per il risparmio energetico denominata «Operazione cieli bui». Mai formula fu più azzeccata, non solo per declinare qui ed ora un tocco di “austerity” da Anni Settanta, ma anche per tracciare l’orizzonte generale del Paese nei prossimi due anni. La seconda implicazione è politica. Al di là delle apparenze e delle esigenze imposte dalla fase, tra il governo Monti e i partiti che lo sostengono c’è un corto circuito sempre più evidente. A Pd, Pdl e Udc che vagheggiano suggestive riscritture bipartisan della riforma previdenziale della Fornero, il premier contrappone l’irriducibile coerenza dei saldi contabili e l’inevitabile cogenza degli impegni europei. È in atto uno strano paradosso: mentre i leader di una politica in affanno nel centrosinistra e in disarmo nel centrodestra lanciano Monti per la legislatura che sta per cominciare, lo contestano nella legislatura che deve ancora finire. Ma forse c’è una via d’uscita anche a questo paradosso. Il Professore, grazie al suo prestigio e alla sua autorevolezza, ha evitato al Paese la bancarotta, e lo ha riportato agli onori del mondo. Ma nella sua azione di governo ci sono luci e ombre, cose ben fatte e occasioni mancate. Come dimostra l’ultima stangata decisa in perfetta autonomia dall’Eliseo, per gli Stati di Eurolandia le «condizionalità» del risanamento concordato con la Ue, presenti e future, riguardano la fedeltà complessiva al patto comunitario, non l’adesione acritica a un unico modello di sviluppo. Investono l’equilibrio complessivo di bilancio, non le azioni specifiche necessarie per raggiungerlo. in questa chiave, quella che si sta innescando intorno alla cosiddetta Agenda Monti rischia di essere una polemica inutile e dannosa.
Le politiche economiche sono frutto di una scelta, non di un destino. L’Italia ha un solo vincolo invalicabile (ormai anche di rango costituzionale) che chiunque vinca le elezioni dovrà ricordare e rispettare: non si può finanziare più una sola spesa in deficit. Tutto il resto è politica, dunque arte del possibile. Anche dopo il 2013, il vero valore aggiunto è Monti, non la sua Agenda.
La Repubblica 10.10.12